giovedì 3 ottobre 2024

Una vecchia stampa di maniera - Racconto

 

UNA VECCHIA STAMPA DI MANIERA

È una vecchia stampa, ingenua e di maniera, che quasi commuove per il piacere manifesto che dovette provare l’ignoto incisore nel far preciso tutto ciò che ci poteva entrare…

Un grido e un tonfo!

Strilli, risate.

Vengono dalla piscina.

Nel corridoio della villa in cui mi trovo, di qua e di là del muro su cui è affisso il quadro, ci sono due luminose porte-finestre. Il sole di agosto usa i riquadri di vetro per accecarmi. Mi porto il palmo della mano sulla fronte e guardo fuori. Dall’acqua affiora una ragazza, forse si chiama Pamela, è un’amica della festeggiata, naturalmente. Si passa una mano sulla faccia grondante e allunga il braccio. Mostra il medio teso a quello che l’ha spinta in acqua. Lui è la versione rimpicciolita di Arnold Schwarzenegger, senza fucilone a raggi laser ma con bicipiti, pettorali e tartaruga al posto giusto. Tatuaggi dappertutto. La ragazza che forse si chiama Pamela si mette a ridere e tende la mano per farsi aiutare ad uscire. Anche mini Schwarzenegger ride, si accovaccia sul bordo, si protende per aiutarla a venir fuori dall’acqua. Tutti gli altri li fissano, sorridono, in attesa. Pensano che lei lo trascinerà in acqua a sua volta, ma non succede. Forse anche lui se lo aspetta e sta in guardia. Lei si siede sul bordo della piscina e poi si alza, lui l’abbraccia, gli altri tornano a sorseggiare dalle cannucce, ad aspirare boccate dalle sigarette e dagli spinelli e a riprendere i discorsi di prima.

«Ti piace?»

Ha gli occhi verdi, grandi. Riempiono il campo visivo come quelli della ragazza afgana fotografata da Steve McCurry. Non l’ho sentita arrivare e non mi era stata presentata. Forse è venuta dopo.

Indica il quadro.

«Sì,» le dico, semplicemente, perché sul momento mi trovo spiazzato e non so cosa aggiungere.

«Ho notato che lo fissavi, eri pensieroso.»

«Stavi qui?»

Mi guardo attorno, nel breve corridoio. Come ho potuto non accorgermi?

Lei tende la mano verso il dipinto. Una stampa, in verità, forse di fine ‘800, dietro al vetro in una cornice pretenziosa, dorata, con fregi in rilievo. Rappresenta due figure, un uomo e una donna, giovani, in una strada costeggiata da casette paesane, con le scale esterne, i muri scrostati, i gerani sui davanzali. I due indossano abiti d’epoca. Pantaloni annodati alla caviglia e un gilè, lui, lei una gonna lunga e un corpetto con i volant. L’uomo è sulla sinistra, frontale rispetto all’osservatore, ma la testa è girata verso la ragazza. Ha un’espressione interrogativa. Lei è di spalle, lo ha già superato, va verso il fondo di quella stradina altrimenti deserta, si allontana. Deve aver aspettato a voltarsi, di proposito, con malizia, però adesso lo fissa. I capelli scendono di lato lasciando scoperto il viso, ha il mento quasi adagiato sulla spalla, che la scollatura mostra nuda. Lo guarda civettuola. Forse c’è un invito nascosto in quello sguardo.

«Mi ripetevo le parole di un racconto di Pirandello,» rispondo

«Conosci Pirandello a memoria?»

Sento le orecchie prendere fuoco.

«Certo che no. L’ho letto ieri! Le novelle per un anno, la filosofia dell’uno, nessuno e centomila, il teatro, la maschera…»

«Va bene, va bene, ho capito. Anche io studio, ma non è che ricordo tutto a memoria.»

Mi fa sentire uno scemo. Forse resto in silenzio troppo a lungo, forse lei se ne rende conto. Comunque aggiunge: «Va’ avanti, mi interessa».

«Niente,» faccio io, «l’autore immagina che i personaggi del quadro escano fuori e diventino vivi.»

Lei ride: «E pensavi che quei due potrebbero saltar fuori vestiti così e andarsene in giro? Te li vedi a presentarsi in piscina?»

Credo mi stia prendendo in giro. Lei mi da una spinta sulla spalla: «Scherzo, scemo».

Le faccio un sorriso, per formalità, più che altro. Vorrei filarmela, sto facendo la figura del secchione imbranato, come dice mio padre quando parla di se stesso ai tempi suoi. Ho ripreso da lui, a quanto pare, non dalla parlantina di mia madre. Invece lei non molla. Ha una borsetta a tracolla, di quelle estive, di filo lavorato ai ferri. Ci pesca due sigarette e me ne porge una, l’altra se la mette fra le labbra e l’accende subito. Fiata fuori il fumo, girando di poco la testa e storcendo la bocca. Non è tabacco.

«Come ti chiami?»

Già, le presentazioni. Avrei dovuto pensarci io.

«Paolo. Tu?»

«Marilena.»

Sto per tendere la mano ma mi trattengo, mentre lei mi fa scattare l’accendino a vuoto davanti al naso: «No?»

No!

Che ci vorrebbe a dirlo?

Invece afferro lo spinello fra pollice e indice come ha fatto lei e aspetto che lo accenda. Ho fumato, qualche volta, non è la prima. Fa subito effetto. Anche a lei, a quanto pare. Sembra un’altra persona, stringe la sigaretta tra le dita tese e atteggia la mano come certe dive retrò, l’agita verso la cornice, appoggiandosi sull’anca.

«E quando mi hai vista hai pensato che potrei essere io!?»

Non è una domanda, nemmeno un’affermazione. Riesco a mettere a fuoco la ragazza maliziosa del quadro: «Potresti, sì potresti, un po’ ti somiglia».

Sto ridacchiando, anche lei.

«E i vestiti? Come la mettiamo, coi vestiti?»

Ha fatto una smorfia con il naso. È carina.

Indossa la minigonna, la maglietta bianca, scollata, si tende sui seni.

«Non so. Una ragazza che può saltar fuori da un quadro può fare di tutto, immagino.»

È pensierosa, apprezza la risposta, sorride, ha un’espressione maliziosa e felice.

«E che succede, dopo che i personaggi del racconto sono usciti?»

«Cominciano a vivere. Parlano fra loro, hanno madri e mogli… tutto normale, come te e me.»

«Ah.»

Adesso riflette, tira una boccata, soffia il fumo. Da fuori arrivano gridolini, qualcuno urla Buon compleanno Viola, scroscio di battimani, Iuuh, iuuh, risate femminili, risate maschili, Viola, buon compleanno!

«E come finisce? Ricordi anche questo a memoria?»

Me lo ricordo, però esito, mi sento uno scemo. Lei mi incita: «Dai, su, mi sembri quello del quadro, indeciso anche se è chiaro che lei ci sta».

«Niente…»

Ho scrollato le spalle?

Ho scrollato le spalle, guardo lo spinello ormai agli sgoccioli, guardo fuori quelli che divorano tranci di torta e bevono dal collo delle Peroni, guardo il quadro, anche. Lei è maliziosa, lui insicuro. Di che?

Forse è meglio finire qui. Non val la pena stare ancora a far spreco di fantasia su questa vecchia stampa di maniera…

Lo penso soltanto, perché quando mi volto per dirlo lei è sparita.

Guardo da un lato e dall’altro il breve corridoio deserto. Il sorriso della ragazza del dipinto sembra adesso rivolto a me, sornione e sfacciato, ambiguo come quello della Gioconda, seducente come quello della Venere sulla conchiglia.

Entra mini Schwarzenegger. Forse si chiama Pamela è più bassa di lui. Per passargli il braccio sulla spalla deve camminare un po’ inclinata. Lui la cinge alla vita. Ha la testa nei suoi capelli per baciarla sul collo, mentre lei gli dice, «aspetta, la camera da letto è quella lì,» a voce bassa ma non abbastanza.

Si accorgono di me, però non rallentano.

«Scusate!»

Si fermano. Facce interrogative, impazienti.

«Avete visto dov’è andata Marilena? Minigonna, maglietta bianca, carina… occhi verdi.»

Non possono non averla incrociata: lei usciva, loro entravano!

Mi guardano come se fossi un fantasma.

«No, no…» tirano dritto.

Qualcuno bussa sul vetro della porta-finestra.

Marilena ride.

Indossa un bikini che Uauh!

Occhi verdi che riempiono il campo visivo.

Dice qualcosa, che non sento, perché gli altri, dietro di lei, attorno alla piscina, applaudono e gridano Auguri.

Agita la mano: Vieni!

La porta finestra è chiusa, devo arrivare in fondo al corridoio.

Vi è mai capitato di sentirvi osservati, voltarvi e non c’era nessuno? Ecco, così.

Vedo solo una vecchia stampa di maniera, prima di uscire per entrare in un’altra storia. O così spero.


lunedì 9 settembre 2024

Archivio interviste

 Intervista di @lafettadilibro (profilo Instagram) :

1)     Ci racconti qualcosa di te?

Sono nato nel 1951 in un paesino della provincia di Lecce, ho sempre vissuto a Roma e adesso, dopo il pensionamento, mi divido fra le due località.

2)     Da dove è nata l’idea del criminologo Sirio?

In passato avevo scritto dei racconti, solo per me, senza velleità di pubblicazione. Col vuoto della pensione ho deciso di scrivere un romanzo… ma, il genere?

Un giallo! ho pensato, ritenendo di semplificarmi la vita.

Invece: La trama, il delitto, il movente, il protagonista!

Di commissari, marescialli e investigatori privati ce n’erano quanti ne vuoi! E poi preti e casalinghe, avvocati e medici patologi, perfino antiquari, dotati di poteri paranormali e non, per non parlare di gente comune coinvolta per caso nei delitti. Io invece volevo un protagonista “inedito”, originale. Mi accorsi che, inspiegabilmente, il “posto” del criminologo era vacante.

A questo punto dovevo uscire dallo stereotipo: niente Poirot, Sherlock, o Maigret, per capirci. Ci voleva uno giovane, spigliato, soprattutto moderno. Ed ecco Sirio, un metro e ottanta di altezza per settantacinque chili di peso, fascinoso come la maggior parte dei giovani d’oggi e con una caratteristica fisica tutta sua: il setto nasale deviato a seguito di un pugno che gli conferisce un aspetto da farabutto.

3)     I tuoi libri rivelano una buona conoscenza del mondo delle indagini. Come mai?

Internet! Tanto Web e molto studio.

4)     Come mai tutti i tuoi racconti sono ambientati a Bologna?

Bella domanda: sono nato vicino Lecce, ho vissuto a Roma, come mai Bologna?

Dunque, ho accennato, cercavo il mio protagonista. In principio pensavo a un giovane poliziotto di secondo ordine, l’autista di un pubblico ministero, ad esempio, (un archivista della polizia no, già utilizzato da Scerbanenco) o qualcosa di similare. Casualmente sono incappato sul sito della facoltà di Criminologia di Bologna. Ci ho passato giorni e alla fine Sirio è entrato a far parte del corpo docente.

5)     Qual è la cosa più difficile, secondo te, per chi scrive gialli?

L’originalità.

Ormai il “mercato” è talmente inflazionato, fra letteratura, cinema e telefilm!

Per fortuna, ci insegna Calvino, la fantasia è un posto in cui ci piove dentro.

6)     Cosa non può mai mancare in un buon giallo, a tuo parere? 

Mi ripeto: L’originalità.

Porto un esempio. Ho riletto in questi giorni “Maigret e il produttore di vino”, di Simenon.

Ora, i componenti di un giallo sono: una vittima, un colpevole (con o senza alibi), un movente, la scena del crimine, l’arma del delitto e per finire un investigatore che conduca le indagini. Nel libro che ho citato, l’elemento originale si focalizza sul movente: l’assassino ha ucciso perché è stato umiliato, per così dire, “oltre misura”. È evidente che era necessaria la perizia di Simenon per far reggere questa trama, laddove la ragione di un omicidio è sempre o passionale o d’interesse.

A questo punto consentimi un po’ di auto pubblicità, anche se svelerò qualche piccolo segreto. In “Una lavagna di candida pelle” lo spunto originale verte sulla vittima, non dirò come e perché. In “ODIO”, sulla brutalità gratuita, l’assenza di empatia di certe menti deviate (il movente, quindi). In “La vittima” e “Il terzo movente”… be’, il titolo è già una risposta. In “Indagini nel web oscuro” è nell’indagine stessa. In “Violenza privata” la depravazione, in “Chi muore si salva” gli intrighi (sempre e ancora il movente, quindi). Nei racconti, spesso, lo spunto di originalità è affidato al coprotagonista, non di rado un bambino o un ragazzo autistico (ma questa è un’altra storia…)

7)     Quali sono i tuoi autori preferiti? Ti sei ispirato a loro nello scrivere i tuoi gialli?

Rispondo prima alla seconda domanda: qualsiasi giallista si è giocoforza ispirato a Sir Conan Doyle. Qualche esempio: Umberto Eco, nella scena del puledro Brunello fuggito dal convento, in “Il nome della rosa”, dota Guglielmo da Baskerville dello stesso intuito geniale di Sherlock, per non parlare di Poirot. Perfino in Jack Reacher di Lee Child ho trovato passi che me lo hanno ricordato. Venendo alla prima domanda, sono praticamente onnivoro: ho letto tutto (o quasi) di Moravia, Kundera, De Carlo, Grisham, King, Scerbanenco, Christie, Hesse, etc etc etc.

8)     Ci saranno altri romanzi delle avventure di Sirio?  

Dopo undici libri? Lo spero. Intanto, per riassumere, il primo è stato “Una lavagna di candida pelle”. Sono arrivato all’auto pubblicazione dopo cinque anni di lavoro. Pensa che con i vari capitoli “scartati” ho realizzato (riadattandoli) la raccolta “Indagini sulla morte di Betty”. Negli appunti (mi piace chiamarli zibaldone) ho trovato materiale per scrivere il seguito, “ODIO”. E ne avevo ancora per un terzo romanzo (di cui ho scritto le prime cento pagine circa). Chi sa se riuscirò a metterlo in stampa?

giovedì 29 agosto 2024

Archivio interviste

 

Intervista di Debbyna a Romano Greco

la trovate sul sito:

 Prima domanda: Come è nato il personaggio di Sirio?

 Avevo scritto dei racconti, anni prima, quando il lavoro mi concedeva ben poco spazio per altro. Poi, arrivato  al pensionamento, ho deciso di avventurarmi nella stesura di un romanzo e ho pensato a un thriller. Ma, a questo punto, chi sarebbe stato il protagonista? Volevo un personaggio originale. Sai che intendo, ci sono in giro troppi commissari e marescialli, troppi investigatori privati, troppi preti e arzille vecchiette e antiquari e medici patologi occupati a risolvere delitti. Casualmente sono incappato sul sito dell’università di Criminologia di Bologna ed è scoccata la scintilla. In letteratura, che io sapessi, non c’era alcun criminologo, quel “posto” era “vacante”. Si trattava adesso di dare al mio protagonista un nome, un aspetto fisico e una personalità. Lo volevo giovane e piacente ma non troppo perfetto (da qui il naso da pugile) e poi spigliato e arguto quanto basta per intuire trame scabrose.
 
Seconda domanda: Sirio cambia donna a ogni racconto o romanzo, c'è un perché al fatto di aver creato un criminologo Don Giovanni?
 
In effetti le ragioni sono due. La prima di coerenza formale: Sirio, simpatica canaglia, piace. La seconda è di necessità narrativa. Mi spiego: Il giovanotto è un professore, non un poliziotto o un magistrato, in teoria non dovrebbe prendere parte attiva a indagini di polizia. Può avere incarichi di consulenza (dal pubblico ministero o dalla difesa) ma, consegnata la relazione, “arrivederci e grazie”. Ecco dunque che a ogni nuova storia mi trovo nella necessità di studiare un “artificio” affinché abbia un motivo per indagare. In “Una lavagna di candida pelle” viene chiamato in causa in prima persona, dal momento che la vittima è sua sorella. In “ODIO” interviene, in vece del suo amico e mentore Anselmo Urbani, per scagionare un magistrato accusato ingiustamente di corruzione. In “Indagini nel web oscuro” assiste casualmente al recupero di un cadavere dal Tevere. In “Chi muore si salva” una sua ex allieva, divenuta giudice, lo coinvolge in maniera non ufficiale. In “Violenza privata” è un’assistente sociale (sua compagna del momento) a chiedergli aiuto. Vedi bene che se fosse un maresciallo o un commissario tutto sarebbe più semplice.
 
Terza domanda: Sirio è il protagonista di tutti i tuoi libri, come mai a un certo punto hai deciso di scrivere sia romanzi che racconti? E cosa ti piace scrivere di più tra i due generi?
 
Per scrivere “Una lavagna di candida pelle” ho impiegato cinque anni. Puoi immaginare le difficoltà. Per una vita avevo lavorato in un ambito ben lontano dalla letteratura e dal mondo della polizia giudiziaria. Problemi a ogni riga, credimi. Questo ha comportato un gran numero di tentativi, pagine su pagine scritte e poi, per un motivo o per l’altro, non utilizzate nel romanzo. Molto di questo materiale, rimaneggiato, è entrato a far parte dei racconti di “Indagini sulla morte di Betty” e molto altro per avviare la stesura di “ODIO”. Personalmente preferisco lavorare sui romanzi. Partire da una parola, da una sensazione per costruire una storia complessa, è stimolante. I racconti! Ho già spiegato la genesi di “Indagini sulla morte di Betty”, per “La signora americana” lo spunto mi è stato dato da un libro che avevo appena letto (“Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon – libro bellissimo che consiglio) e che parla di un bambino autistico determinato a scoprire chi ha ucciso il suo “amico”. Anche per “La memoria della carta” l’imput mi è stato dato da libri che avevo letto: del maestro Camilleri, questa volta; più precisamente dalle indagini che lui definiva “sul filo della memoria” (in “Il cane di terracotta” e in due racconti de “Gli arancini di Montalbano”, se ricordo bene). “Piccoli crimini innocenti” sono invece 19 racconti che avevo scritto in passato e che ho riadattato per Sirio (Se sei curiosa, sul mio blog – https://romanogreco.blogspot.com/search/label/Una%20collina%20sospesa%20-%20Racconto – trovi la versione originaria de “Una collina sospesa”, scritta prima che Sirio nascesse! Poi rielaborato e confluito nella raccolta).
 
Quarta domanda: Hai mai pensato di ambientare i tuoi scritti anche fuori Italia?
 
In effetti in “Indagini nel web oscuro” il nostro Sirio è costretto a correre un bel po’ per l’Europa. Contrariamente a quanto verrebbe da credere leggendo il titolo si tratta di un romanzo d’azione. In breve (in effetti si tratta di un libro di 360 pagine), la trama è questa: Si susseguono omicidi di giovani hacker in Italia, Francia e Spagna e Sirio si ritrova a dar la caccia ai killer che ne sono gli autori.
 
Quinta domanda: Scriverai altri libri con un protagonista diverso?
 
Ho in mente una storia. Me la sto costruendo nella testa, come faccio sempre prima di mettermi alla tastiera. Intanto sto lavorando al seguito di “ODIO” (ho scritto un centinaio di pagine e ne mancano – immagino – almeno duecento) e dopo? chi sa?
 
Sesta domanda: Com'è il tuo rapporto con noi lettori e blogger? Hai trovato difficoltà nelle collaborazioni o con qualche recensione?
 
Sarò fortunato? Ho incontrato sempre persone carinissime. Certo, su Amazon, qualche stellina solitaria a volte capita, ma poi la media si avvicina sempre alle 4 su 5. D’altra parte non si può essere nei gusti di tutti, immagino.
 
Settima domanda: A leggere recensioni negative cosa provi? Cioè accetti ben volentieri pareri negativi?
 
Esamino le recensioni con grande attenzione. L’opinione dei lettori è importante e mai da sottovalutare. Sono convinto che si impari molto dal senso critico delle persone.

lunedì 26 agosto 2024

Archivio interviste

 

Intervista di Maria Guidi a Romano Greco

La trovate sul sito:

https://consiglilibrosi.wordpress.com/2023/09/18/intervista-a-romano-greco-2/

 

18 settembre 2023

Romano Greco, che abbiamo già avuto modo di conoscere qualche tempo fa (trovate la precedente chiacchierata qui) ha pubblicato nel frattempo diversi nuovi romanzi, sempre dedicati al criminologo Sirio.

Andiamo a scoprire qualcosa di più.

 

Domanda: Ciao Romano, è appena uscito il tuo nuovo romanzo, “Chi muore si salva”. Il protagonista è il criminologo Sirio. Ci parli un po’ di lui e di questa nuova avventura?

 

Risposta:

Sirio!

Tre sillabe: Si-ri-o.

Cinque lettere d’alfabeto, di cui, tre vocali e due consonanti.

Quasi una simmetria, l’asse centrale fissato sulla R, affiancata dalle due I: s-iRi-o.

La parola si insinua, come un sussurro, come un sospiro, scorrendo semplicemente sulla esse iniziale, si adagia sulla piccola I, la vocale minutina, piccina, piccolina, che contrasta in maniera prepotente – quasi un ossimoro – con la successiva R, la consonante rude, ridondante, roboante, quella che rotola nel palato, che gonfia il petto mentre pronunci: “Riccardo cuor di Leone”!

La I successiva stempera il suono della voce, le dà musicalità, si pospone per blandirla e fa da anello di congiunzione con la O in chiusura di parola, l’anello finale della catena, il lucchetto serrato.

La scelta del nome, per il proprio personaggio principale, è importante, ne converrete. Basti pensare alla cura di Svevo nello scegliere “Zeno” per il suo protagonista (l’ultima consonante dell’alfabeto, contrapposta alla prima vocale, la A di Ada, Alberta e Augusta, le coprotagoniste femminili) o a Salvo e Augello di Camilleri (il riassunto, in una sola parola, del carattere dell’uno e dell’altro). Per il mio eroe volevo un nome inusuale, non scontato. Ho trascorso ore a sfogliare siti internet alla ricerca di quello giusto e li ho scartati tutti.

“Sirio” è arrivato per caso, forse al risveglio. È il nome di una stella e, che io sappia, nessuna persona si chiama così.

Criminologo!

Volevo un personaggio originale. Basta commissari, marescialli, preti e pensionati molto bravi a dipanare matasse per venire a capo di esecrabili delitti. Anche questo aspetto mi ha tenuto in sospeso per diverso tempo, poi, scorrendo l’immancabile Internet, ho scoperto che Forlì è sede di una prestigiosa facoltà di Criminologia. Incredibilmente nessun investigatore dei romanzi, a mia memoria, era un criminologo!

Giunti a questo punto, però, mancava ancora qualcosa, una descrizione fisica, una fotografia, per così dire, nonché un modus cogitandi, una personalità, delle caratteristiche peculiari che lo rendessero unico. Doveva essere perspicace, acuto e intuitivo almeno quanto Holmes, questo era inevitabile. Eroico, anche, ma di un eroismo nostrano, non un Rambo ammazzasette all’americana. Insomma un personaggio realistico, o almeno verosimile. Fisicamente immaginavo un trentasettenne intorno al metro e ottanta, castano chiaro, sui settantacinque chili di peso. La descrizione fisica di molti uomini che puoi incontrare per la strada, a dire il vero, con l’unica caratteristica specifica del naso schiacciato, ricordo di un pugno ricevuto nell’adolescenza da un rivale geloso.

Ora, prima di passare al mio ultimo romanzo “Chi muore si salva”, è necessaria qualche premessa relativa alla costruzione della trama.

Per i vari commissari Maigret, tenenti Colombo e marescialli Rocca è abbastanza scontato che vengano coinvolti nelle indagini afferenti un omicidio. La difficoltà sorge per un personaggio come Sirio, che in definitiva è soltanto un docente in criminologia. Può essere chiamato dagli inquirenti in qualità di profiler, poi, esperita la consulenza, l’inchiesta torna nella competenza degli investigatori istituzionali.

Insomma, l’autore deve escogitare sempre nuovi espedienti per fargli avviare, svolgere e portare a compimento un’indagine.

In “Chi muore si salva”, il sesto romanzo della serie, tutto ha inizio nel momento in cui Marianna, giudice al primo incarico e amica di vecchia data del nostro protagonista, si trova nella situazione di dover emettere una sentenza di colpevolezza a carico di un pensionato che, non avendo rispettato il semaforo rosso e malgrado non ci sia stato l’impatto fra i veicoli, è imputato di aver provocato la morte di un motociclista.

Nel visionare al rallentatore le immagini di una telecamera stradale però, la giudice nota che il centauro aveva abbandonato il manubrio e riversato indietro la testa in una maniera innaturale ancor prima di arrivare all’altezza dell’incrocio. Non le sembra la reazione istintiva di chi cerchi di evitare un ostacolo imprevisto, quanto piuttosto la caduta incontrollata di una persona raggiunta da un colpo di fucile. Allorché tenta di approfondire, scopre che il corpo della vittima è stato cremato, il casco smaltito in discarica e la motocicletta rottamata, come se una regia occulta si fosse preoccupata di eliminare qualsiasi possibilità di verifica postuma sul corpo e sugli altri elementi di indagine. Una serie di circostanze inquietanti, dunque, che lei non può ignorare, tanto più che Marco, l’uomo deceduto, era stato un suo amore adolescenziale e faceva parte del mondo della malavita.

 

D: In meno di un anno hai pubblicato ben tre libri: “La vittima”, “Il terzo movente” e “Chi muore si salva”. Come ci sei riuscito?

 

R: Se, come dice Calvino, “la fantasia è un posto dove ci piove dentro” la mia deve essere priva di qualsiasi riparo o copertura e deve trovarsi sotto un acquazzone. A volte basta una parola o una frase per scatenare immagini in successione.

“La vittima”. Riporto quale sia stato il percorso mentale per costruire la trama. Partendo dal presupposto (del tutto mio, non l’ho letto da nessuna parte) che Moravia cogliesse ispirazione da una parola (noia, disobbedienza, indifferenza, disprezzo, disperazione) e traslando l’idea nell’ambito del poliziesco avrei potuto scegliere “movente”, “testimone”, “arma del delitto”… ho scelto “vittima”. A questo punto è subentrato Poirot, in quanto protagonista de “Assassinio sull’Orient Express”, dove la vittima…

Non posso aggiungere altro! Premesso che a parte lo “spunto” per mettere in moto la mia trama non ci sono analogie fra i due libri, devo fermarmi qui. Se siete curiosi di sapere il come e il perché non vi rimane che leggere il libro.

“Il terzo movente”. Può valere lo stesso discorso, tutto parte dalla parola “movente”, ma, ragionando sulla trama, mi sono ritrovato a dover scegliere fra due moventi per così dire canonici: Amore e avidità, oppure, se preferite, sesso e soldi! Ma, a ben vedere, la trama di qualsiasi giallo, poliziesco o thriller che dir si voglia – e anche della maggior parte dei romanzi, in verità – si basa su uno dei due. Ecco allora che un rovescio improvviso di pioggia ha irrorato la mia fantasia, indirizzandola a immaginare un… terzo movente.

“Chi muore si salva”. Ne ho già accennato nella risposta precedente. Qui vorrei aggiungere solo una curiosità. All’inizio, nelle mie intenzioni, il romanzo si sarebbe dovuto intitolare Il calderone del diavolo, inducendo per vie subliminali l’immagine di un liquido scuro, viscoso e putrido in cui rimestare in cerca di verità; cosa che in effetti, fuori metafora, regolarmente avviene nel libro. Poi, a metà stesura, pur essendo consapevole che si tratta di una contraddizione in termini, ho deciso di cambiarlo in “Chi muore si salva”. Leggendolo ne capirete il motivo.

 

D: Stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Sarà sempre Sirio il protagonista?

 

R: Ho iniziato un altro romanzo. Sempre Sirio! Il titolo, al momento, è “Violenza privata”. L’ispirazione, al contrario degli esempi precedenti, mi è stata fornita da due eventi di cronaca (molto raccapriccianti) di questi ultimi giorni. Il venirne a conoscenza, mi ha indotto due immediate considerazioni. Prima, come diceva Pirandello a proposito del suo “Il fu Mattia Pascal”, è che la realtà supera sempre la più sfrenata fantasia. La seconda è se la letteratura (con ciò intendendo non solo l’editoria ma anche la cinematografia) fomenti o sia uno specchio della violenza, insomma: chi emula chi? A meno che non si tratti di un circolo vizioso in cui l’una si alimenta dell’altra. Comunque, per quanto mi riguarda, immagino che nessun criminale sia mai stato fomentato dai cattivi assassini inventati da Agatha Christie, da Simenon o da Poe. Tanto meno dai miei.

 

D: Finora hai scritto gialli e thriller. C’è un genere a cui vorresti approcciarti, ma che non hai ancora avuto modo di affrontare?

 

R: Ho già avuto occasione di dire, proprio nel corso della tua precedente intervista del 21 settembre 2021 (già due anni!) che ho amato Pirandello, Moravia, Kundera e tanti altri. Ebbene, ho sempre desiderato di scrivere almeno una storia come una delle loro. Sì, ci ho pensato, ci penso, chi sa?

 

D: Che cosa fa Romano quando non scrive? Quali altre passioni hai?

 

R: Da 72 anni mi sforzo di dare ordine alle mie giornate. Alzarsi presto, colazione, scrivere per almeno tre ore, pranzare senza appesantirmi, una passeggiata, lettura, dedicare qualche ora ai miei figli e ai nipotini, frequentare una palestra eccetera. Alla fine faccio tutto questo, ma in maniera altamente caotica e casuale.

Ringrazio Romano per la sua disponibilità; vi ricordo che potete trovarlo sul suo blog, mentre i suoi romanzi sono disponibili su Amazon.

Archivio interviste

 

Intervista di Maria Guidi a Romano Greco

La trovate sul sito:

https://consiglilibrosi.wordpress.com/2021/09/21/intervista-a-romano-greco/

21 settembre 2021

Dopo aver letto “Piccoli crimini innocenti”, mi è venuta voglia di conoscere meglio l’autore.

 

Romano Greco, classe 1951, oltre alla serie dedicata al criminologo Sirio, ha all’attivo anche due romanzi e tre raccolte di racconti.

Andiamo a scoprire qualcosa di più su di lui!

 

Domanda: Ciao Romano, a che età e in che modo ti sei avvicinato alla scrittura?

 

Risposta: Innanzi tutto grazie Maria, per l’opportunità che mi offri di farmi conoscere per me stesso, oltre che come autore, a quanti amano lettura e letteratura. Questa premessa impone una micro biografia. Sono nato nel ’51 del secolo scorso in un paese salentino, dove adesso vivo per metà dell’anno. Nell’infanzia, cagionevole di salute… ecco: “Capitani coraggiosi”, “L’isola del tesoro”, “I tre Moschettieri”, “Vent’anni dopo”, tutti gli indimenticabili romanzi di Jules Verne… quante avventure per un bambino con la febbre nel letto. Poi, adolescente, scorpacciate di “Selezione dal Reader’s Digest” (per i più giovani, che non li conoscono, erano volumi a pubblicazione periodica che contenevano almeno quattro romanzi condensati, la traduzione di quelli stranieri era impeccabile, ottima palestra per imparare – a orecchio – la nostra lingua madre). Il passo, come molti di voi sanno, fra leggere, amare i libri e voler scrivere è breve. Ho cominciato, come molti di voi, con piccoli racconti, poesie, cose modeste rimaste soltanto mie e di cui conservo vaghi ricordi. Ma, come voi sapete, la vita spesso decide per noi, mi sono ritrovato a fare un mestiere diverso e distante dalla letteratura. Il sabato, la domenica, durante le ferie o le festività, sì, a volte buttavo giù qualche racconto; ne pubblicai anche un libro, a mie spese, che l’editore mi recapitò in numero di mille che giacciono ancora negli scatoloni intonsi su in soffitta. Poi, arrivato al vuoto della pensione, mi sono scatenato, l’ho riempito di storie e fantasia.

 

D: Con sette libri all’attivo, ti consideri ancora un esordiente?

 

R: Come dicevo mi sono scatenato: sette libri in sei anni, eppure sì, sono tuttora un esordiente. Inutile dire che la differenza, purtroppo e a dispetto delle più ottimistiche ambizioni di noi esordienti, la fa il mercato, la fa la lettrice o il lettore che spostandosi fra gli scaffali della libreria esclama: “Romano Greco ne ha pubblicato un altro!”

 

D: Hai scritto dei thriller e delle raccolte di racconti, due generi molto diversi. Cosa ti spinge verso l’uno o verso l’altro?

 

R: Piccola premessa: In tutti i libri il protagonista è Sirio, un giovane docente in Scienze criminologiche e psicologia criminale. I tre romanzi sono prettamente dei thriller, le quattro raccolte di racconti dei polizieschi a vario titolo. Per tornare alla domanda, ebbene, è diversa la genesi. Il romanzo, nel mio caso i tre thriller, appunto, hanno trame complesse, le quali costruisco sia mentalmente che mediante annotazioni per un certo lasso di tempo, finché mi sembra che tutti gli ingranaggi funzionano, allora comincio a scrivere. Il racconto invece nasce da una intuizione, una sensazione, un’immagine, una parola o una frase, a volte mi si presenta alla mente completo, altre devo giustapporre gli eventi, comunque mi ci metto subito a lavorare. Porto un esempio concreto: “Una collina sospesa” (lo trovate sul mio Blog nella versione originale scritta negli anni ’90 e in “Piccoli crimini innocenti” nella versione adattata alle finalità del libro) è nato percorrendo in automobile la litoranea a ridosso di “Porto Selvaggio” (Salento, posto bellissimo che vi invito a visitare) ebbene, forse la luce di quel momento del giorno, forse il leggero andamento collinare alberato… è stato un attimo, la storia era lì nella mia fantasia, completa di virgole e punti. Sono arrivato a casa e mi sono messo a scrivere.

 

D: Come mai hai scelto la strada del self publishing?

 

R: In due battute: Ho settant’anni, sono un impaziente. Volendo spiegare: Non so se mi resta il tempo di aspettare l’esame e i responsi degli editori (sempre a trovarne di interessati), così ho optato per la scorciatoia.

 

D: C’è un libro che ti piacerebbe aver scritto tu?

 

R: Praticamente tutti i libri che ho letto (tutti di Pirandello, Moravia, Calvino, Svevo, Camilleri, Faletti, De Carlo, Hesse, Kundera, Larsson, Follett, Grisham…) e vorrei arrivare a scriverne almeno uno come uno dei loro.

 

D: Qual è, tra quelli pubblicati fino a ora, il libro cui sei più legato? Perché?

 

R: Ogni libro, la metafora è inflazionata ma non me ne vengono di più calzanti, per l’autore è come un figlio. Preferisco parafrasare Manzoni: Al lettore l’ardua sentenza!

 

D: Stai già scrivendo qualcosa di nuovo? Puoi anticiparci qualcosa?

 

R: Sto costruendo (ma è ancora un lavoro soltanto mentale, se si escludono una ventina di pagine per lo più di appunti e scene scomposte) un romanzo a due trame. Devo fare una premessa: Ogni storia, affermo una cosa scontata, attrae e avvince se racconta un contrasto, una contrapposizione, una lotta interiore o contro un avversario; ebbene, qui, nell’idea, la prima delle due trame sarà un delitto nell’alta finanza, l’altra in una comunità di recupero dalla tossicodipendenza; due mondi agli antipodi. A Sirio, avversato come al solito da chi conduce le indagini ufficiali, il compito di sbrogliare le due matasse. Poi c’è da scrivere – dovrò decidermi – il seguito di “Odio”, dal momento che Sirio è sotto il mirino della mafia, la quale, si sa, non dimentica.

 

Ringrazio Romano per la disponibilità e la gentilezza e vi ricordo che tutti i suoi libri sono disponibili su Amazon.

 

– Una lavagna di candida pelle

– Odio

– Indagini nel web oscuro - IO, ILnIO

– Indagini sulla morte di Betty

– La signora americana

– La memoria della carta

– Piccoli crimini innocenti

 

Potete trovare l’autore sul suo blog.

giovedì 18 gennaio 2024

Violenza privata - Romanzo

 



Prologo

 

 

Il terrore le aprì gli occhi.

L’odore fu violento, le tolse il respiro.

Dubitò di avere gli occhi aperti, non vedeva.

Avrebbe voluto urlare, non poteva.

Qualcosa, come una grossa spina, forse una lunga scheggia di legno, le si era conficcata nel petto, sotto il seno sinistro – o così le pareva – e faceva molto male. Provò a spostarsi, ma il dolore aumentò. Dovette rinunciare.

L’uomo le aveva piegato il braccio, ricordò, il dolore l’aveva fatta svenire. Sì, doveva essere andata in quel modo: era svenuta. Ma adesso?

Riconobbe l’odore: plastica. Un sacco nero di plastica.

Riconobbe il tanfo: rifiuti rancidi!

Le venne un conato di vomito, ma riuscì a fermarlo in gola. L’urlo che avrebbe voluto lanciare fino alle stelle rimase strozzato.

Nell’oscurità in cui viveva – o in cui stava morendo – riconobbe il ronzio di un’automobile di passaggio.

I piedi. Poteva muovere le gambe, sì, soltanto le gambe, trattenute ma non bloccate dalla plastica nera del sacco. Scalciò. Sentì lo scossone ripercuotersi contro il cassonetto, sentì anche un sordo rintocco, flebile, inutile.

La macchina era passata ed era tornato il silenzio.

Immaginò che fosse notte, nessuna strada di Bologna era così silenziosa di giorno. Immaginò che il sacco non fosse stretto e chiuso, perché riusciva a respirare. Poi avvertì il ronzio di un altro motore e dopo qualche minuto di un altro ancora. Si rese conto che sollevando in alto gli occhi riusciva a vedere qualcosa.

Il braccio destro doveva essere fratturato all’altezza del gomito, non riusciva a muoverlo e non gli faceva male, non più. Era come se non l’avesse.

Il braccio sinistro: provò a spostarlo. Era bloccato e dolente ma sentiva di averlo. Era piegato sotto di lei, incastrato fra qualcosa di rigido e tagliente che, mentre cercava di liberarlo, le lacerava la carne. Forse sollevandosi sarebbe riuscita a tirarlo via. Ci provò, ma la fitta al petto la fece urlare.

Si impose di respirare adagio, per recuperare la calma e lasciar passare il dolore.

Piano, si disse, fai piano.

Inspirò ed espirò. Fece dei respiri brevi, trattenuti, senza gonfiare il petto, tenendo gli occhi chiusi, ignorando il braccio inerme che non sapeva dove fosse e l’altro intorpidito incastrato dietro alla schiena. Si concentrò a pensare che voleva vivere, che se avesse perso la calma, se si fosse agitata, sarebbe morta. Soltanto la calma poteva aiutarla a sopravvivere.

Il cuore smise di pulsare nelle orecchie, si era calmato.

Bene, adesso doveva ragionare.

Adesso doveva trovare il modo di liberarsi, di richiamare l’attenzione. Qualsiasi cosa, pur di salvarsi.

Punta i piedi e sollevati. Un poco, solo un poco, si disse.

Con piccoli spostamenti, centimetro dopo centimetro, riuscì finalmente a districare il braccio. Subito lo tese al disopra della testa e allentò l’orlo della busta. Entrò aria, fetida quanto si vuole ma aria. Da respirare! Ed entrò luce, dei lampioni stradali ma luce: il colore della vita. Tornò la speranza.

Non che fosse cambiato molto. Il dolore al petto rimaneva in agguato, ridestandosi al minimo movimento. Le impediva di muoversi. Non avrebbe potuto liberarsi da sola, ma avrebbe potuto urlare. Qualcuno si sarebbe pur avvicinato, prima o poi, e l’avrebbe salvata.

Trascorse del tempo.

Qualche vettura passava frusciando. Anche qualche camion, col motore che rimbombava. Lo spostamento d’aria faceva tremare il cassonetto.

Era rimasta immobile a lungo, respirando adagio, e non avvertiva più le fitte alle costole. Bene, forse sarebbe riuscita a sospingersi più in alto e portare la testa fuori. Forse.

Puntò i piedi e fece pressione.

Urlò.

Lottò per non svenire di nuovo e rimase immobile, grata a Dio per il fatto di riuscire ancora a respirare. Rimase immobile e attese.

Trascorse altro tempo, passarono automobili, camion, qualche scooter.

Lei attese. Attese che qualcuno arrivasse per restituirle la vita.

Riconobbe il frastuono. Il camion della raccolta doveva trovarsi a una ventina di metri. Vuotato quel gruppo di cassonetti, sarebbe venuto da lei. Sentì il motore che andava su di giri, il ruzzolare delle rotelle sull’asfalto, il colpo secco dei ganci che afferravano il cassonetto, il soffio degli stantuffi che lo sollevavano, lo sbatacchiare del portello mentre veniva vuotato, il sibilo della pressa che comprimeva i rifiuti nel cassone. Ecco, si spostava, veniva verso di lei col potente motore diesel quasi ansimante. Si era fermato e borbottava, ma lei non riusciva a vederlo per via del coperchio. Cominciò a urlare. Ignorando il dolore al petto continuò a gridare. Quel maledetto motore saliva di giri, copriva la sua voce. La stavano spostando, le ruote sotto di lei traballavano e la sbatacchiavano. La bocca le si riempì di sangue. La costola aveva perforato il polmone. Avvertì lo schiocco dei ganci e capì che la stavano sollevando. I pistoni idraulici stavano per scaricarla tra i rifiuti e la pressa si stava posizionando.

Per un attimo vide il cielo dell’alba, celeste, trasparente, pulito. Poi il terrore le fermò il cuore e tutto fu nero.


Racconto

Una vecchia stampa di maniera - Racconto

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