giovedì 3 ottobre 2024

Una vecchia stampa di maniera - Racconto

 



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UNA VECCHIA STAMPA DI MANIERA

 

Ho buona memoria, sempre avuta. A due anni ho imparato una filastrocca lunghissima da ripetere davanti al presepe; ma non pensavo a questo fuori dalla porta del bagno, in piedi davanti al quadro.

È una vecchia stampa, ingenua e di maniera, che quasi commuove per il piacere manifesto che dovette provare l’ignoto incisore nel far preciso tutto ciò che ci poteva entrare… questo esattamente pensavo.

C’è stato un grido e un tonfo. Poi strilli e risate.

Vengono dalla piscina.

Nel corridoio della villa in cui mi trovo, di qua e di là del muro su cui è affisso il quadro, ci sono due luminose portefinestre. Il sole di agosto usa i riquadri di vetro per accecarmi. Mi porto il palmo della mano sulla fronte e guardo fuori. Dall’acqua affiora una ragazza, ho sentito che si chiama Pamela, è un’amica della festeggiata. Si passa una mano sulla faccia grondante e allunga il braccio. Mostra il medio teso a quello che l’ha spinta in acqua. Lui è la versione rimpicciolita di Arnold Schwarzenegger, senza fucilone a raggi laser ma con bicipiti, pettorali e tartaruga al posto giusto. Tatuaggi dappertutto. Pamela si mette a ridere e tende la mano per farsi aiutare ad uscire. Anche mini Schwarzenegger ride, si accovaccia sul bordo, si protende per aiutarla a venir fuori dall’acqua. Tutti gli altri li fissano, sorridono, in attesa. Pensano che lei lo trascinerà in acqua a sua volta, ma non succede. Forse anche lui se lo aspetta e sta in guardia. Lei si siede sul bordo della piscina con i piedi ancora in acqua, poi si alza e lui l’abbraccia, mentre gli altri tornano a sorseggiare dalle cannucce, ad aspirare boccate dalle sigarette e dagli spinelli e a riprendere i discorsi di prima.

«Ti piace?»

Ha gli occhi verdi, grandi. Riempiono il campo visivo come quelli della ragazza afgana fotografata da Steve McCurry. Non l’ho sentita arrivare e non mi era stata presentata. Forse è venuta dopo.

Indica il quadro.

«Sì,» le dico, semplicemente, perché sul momento mi trovo spiazzato e non so cosa aggiungere.

«Ho notato che lo fissavi… eri pensieroso.»

«Stavi qui?»

Mi guardo attorno, nel breve corridoio.

Come ho potuto non accorgermi?

Lei tende la mano verso il dipinto. Una stampa, in verità, forse di fine ‘800, dietro al vetro in una cornice pretenziosa, dorata e con fregi in rilievo. Rappresenta due figure, un uomo e una donna, giovani, in una strada costeggiata da casette paesane, con le scale esterne, i muri scrostati, i gerani sui davanzali. I due indossano abiti d’epoca. Pantaloni annodati alla caviglia e un gilè, lui, lei una gonna lunga e un corpetto con i volant. L’uomo è sulla sinistra, frontale rispetto all’osservatore, ma la testa è girata verso la ragazza. Ha un’espressione interrogativa. Lei è di spalle, lo ha già superato, va verso il fondo di quella stradina altrimenti deserta, si allontana. Deve aver aspettato a voltarsi, di proposito, però adesso lo fissa con civetteria. I capelli scendono di lato lasciando scoperto il viso, ha il mento quasi adagiato sulla spalla, che la scollatura mostra nuda. Lo guarda maliziosa. Forse c’è un invito nascosto in quello sguardo.

«Mi ripetevo le parole di un racconto di Pirandello,» rispondo

«Conosci Pirandello a memoria?»

Sento le orecchie prendere fuoco.

«Certo che no. L’ho letto ieri! Le novelle per un anno, la filosofia dell’uno, nessuno e centomila, il teatro, la maschera…»

«Va bene, va bene, ho capito. Anche io studio, ma non è che ricordo tutto a memoria.»

Mi fa sentire uno scemo. Forse resto in silenzio troppo a lungo, forse lei vuole sdrammatizzare. Comunque aggiunge: «Va’ avanti, mi interessa».

Il seguito? Appena lo pubblico vi informo tramite social,  intanto leggete qualcos'altro, non manca da leggere, qui.

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