Chi non è
disperato non cambia, pensava
Pietro negli ultimi tempi. Fino a due anni prima aveva lavorato in una
falegnameria, usciva la mattina presto e rincasava tardi la sera; ma da quando
è andato in pensione, la sua routine è diventata un tormento: l'ex moglie,
felice col nuovo marito, abita proprio nel palazzo di fronte. Vederli sul
balcone o incrociarli per strada è un supplizio; e la figlia, istigata dalla
madre, non si astiene dal dimostrargli apertamente il proprio disprezzo,
rifiutandosi di incontrarlo e perfino di parlargli. Così, lasciandosi
convincere dalla pubblicità di un’agenzia turistica, decide di partire per una
località solitaria, in Portogallo. Però il destino ha altri piani per lui. Già
in aeroporto conosce Lucia, una donna ancora piacente, che lo coinvolge in un
sentimento che credeva di non poter più provare.
Stralcio dell'incipit:
1. L’incontro
Nell'atrio delle partenze internazionali del Leonardo da Vinci, volti sconosciuti attraversavano lo spazio col passo deciso di chi sa esattamente dove andare e cosa lo aspetta. Mancavano ancora due ore, il mio volo non era comparso sul tabellone.
Mi
sono fermato a fissarlo a lungo, quasi che quell’assenza fosse un presagio
della nuova vita che mi attendeva, poi ho trascinato il mio piccolo trolley
fino al banco del check-in. La mia decisione da vecchio pazzo era così radicale
che avevo scelto di portare solo il minimo indispensabile per i primi giorni.
Un taglio netto, insomma, con tutto ciò che era stata la mia vita precedente.
L’addetta
al banco ha controllato i miei documenti di viaggio.
«Solo
bagaglio a mano?» ha chiesto, sollevando lo sguardo.
«Solo
questo,» ho risposto, indicando il trolley.
Lei
mi ha restituito biglietto e passaporto e mi ha spiegato che avrei dovuto
dirigermi verso il gate assegnato, però era ancora presto per l’imbarco.
La
sala d’attesa era piuttosto ampia, con una parete completamente vetrata che
dava sulle piste. Vi si scorgevano degli aerei, in lontananza, e dei carrelli
carichi di valigie che sembravano i trenini dei parchi giochi, ma tristi e
silenziosi. Una coppia di anziani guardava fuori e mi sono domandato se fossero
diretti a Lisbona per il mio stesso motivo. Le agenzie di viaggio facevano
sponsorizzazioni accattivanti, non potevo essere l’unico ad aver creduto alle
loro promesse.
Ma
forse no, erano ben vestiti, avevano accanto valigie griffate. Dopotutto chi
sta bene non cambia. Forse volevano soltanto trascorrere le festività imminenti
in una località diversa. Avrebbero soggiornato in un bell’albergo, visitato la
città, trascorso qualche serata in un ristorante dal profumo esotico e
sarebbero rientrati. Oppure andavano semplicemente a trovare i figli e a
coccolarsi i nipotini, a passare qualche giorno fuori dall’ordinario, per poi
tornarsene alla solita vita.
Un
viaggio definitivo è un’altra cosa. È una speranza, solo chi non ha altra
scelta decide di andare via.
Di
fronte a me sedevano due genitori con la figlia di una decina d’anni. La
bambina faceva domande, il padre le rispondeva; era immerso nel suo ruolo di
genitore-educatore e si vedeva. La moglie fingeva di essere presa dalla lettura
della sua rivista; la tradiva la rigidezza, il sollevare in alto gli occhi,
ogni tanto, quando non si trovava d’accordo con le risposte del marito. È un
meccanismo che conosco, per averlo sperimentato. A me è costato il matrimonio,
però non è una regola, forse per loro sarebbe stato diverso.
Con
l’approssimarsi della partenza, la sala si andava riempiendo. È entrato un
gruppo di suore, parlavano portoghese, sottovoce, sono andate a prendere posto
in fondo.
Sono
entrate due coppie di ragazzi tatuati, creando un po’ di scompiglio mentre si
liberavano degli zaini e si sedevano scomposti, parlando a voce alta. Gli
anziani vicino alla vetrata gli lanciavano occhiate infastidite; la mamma
insoddisfatta scuoteva la testa. È entrata la comitiva di un viaggio
organizzato, in testa una signora magrissima che subito ha ammainato la
bandierina di una qualche associazione cattolica. Ho immaginato fossero diretti
a Fatima. Da quando mi è balenata quest’idea di andarmene, mi sono un po’
documentato sul Portogallo, mentre prima ne conoscevo a malapena il nome.
Quarant’anni a piallare tavole in una falegnameria di Fiumicino, per otto ore
al giorno più quattro di viaggio, non ti lasciano molto tempo per altro. Molte
volte mi sono ritrovato a pensare che se non avessi abitato nella casa
lasciatami da mia madre, dove non pagavamo l’affitto, ci saremmo trasferiti,
io, Giulia e la bambina, e tutto sarebbe andato in maniera diversa. Poi mi
dicevo che diversa non vuol dire migliore. Se ti ripari dalla pioggia
sotto un cornicione, non ti bagni, ma nessuno ti assicura che ti salverai, se
crolla.
È
entrata un’hostess, ha annunciato in italiano e in inglese che era tempo di
avviarci e ci ha invitati a seguire la collega, che dalla parte opposta stava
aprendo il varco verso la pista. La coppia anziana vicino alla vetrata si è
avviata per prima, poi man mano tutti gli altri. Io sarei stato fra gli ultimi,
comunque mi sono alzato, in attesa del mio turno.
L’hostess
sulla porta verso l’aeroporto stava per chiudere, quando un ticchettio di passi
affrettati è risuonato sul pavimento, mentre una voce femminile ansimava:
«Aspettate…»
