Ogni plenilunio a mezzanotte
Massimiliano Martone era un vecchietto simpatico, sapeva raccontare con ironia, aveva un parlare ricercato, iperbolico, un po’ aulico: all’antica; ma riusciva a strapparti un sorriso anche quando la storia in sé era drammatica. Sia Sirio che il professor Anselmo Urbani, quanto don Pasquino Bonsangue, parroco della chiesa di sant’Agata, lo conoscevano da tempo. Con quel nasone cresciuto in maniera abnorme a causa della rosacea, difficilmente passava inosservato. E poi Massimiliano era di quelli che attaccano bottone per strada, e se gli dai spago non ti mollano più.
Una sera di ottobre, il venticinque per essere precisi, intorno alle nove si presentò in casa di don Pasquino. Voleva confessarsi e pretendeva il sacramento dell’estrema unzione da vivo.
Era un giovedì. La sera del giovedì don Pasquino e il professore la dedicavano al passatempo che più amavano: una partita agli scacchi senza limiti di tempo. Il professore vinceva regolarmente, altrettanto regolarmente don Pasquino ci si rabbuiava e borbottava innocue maledizioni, ma entrambi erano felici così. Sirio di solito si ritirava in una poltrona a preparare il prossimo esame. Le poltrone di don Pasquino, lasciti o donazioni dei parrocchiani, erano scompagnate: accozzaglie di stili ed epoche; come d’altronde la pendola a centro parete, il tappeto steso sotto il tavolino da tè e l’intero mobilio.
Sirio quella sera stava leggendo un librone dal titolo “Paranoia – Cause ed effetti psicosomatici”.
Quella sera Massimiliano Martone entrò agitatissimo. Chiese a don Pasquino di confessarlo.
Si ritirarono in un’altra stanza.
Quando uscirono don Pasquino chiese a Massimiliano:
«Perché, senza entrare nel dettaglio dei tuoi peccati, di cui hai chiesto perdono al Signore e Lui ti perdona… perché non racconti anche al professore, che ha esperienza e saggezza, perché non gli racconti questa tua storia? Sono certo che saprà aiutarti».
A Massimiliano gli si illuminarono gli occhi. Raccontare, lui amava raccontare… trovarne di gente che volesse ascoltarlo!
Si aggiustò sulla sedia e cominciò:
«Don Pasquino, professore… da un po’ morti e morti e morti nel mio palazzo…! È quel palazzone moderno, lo conoscono tutti, dalle parti dei quartieri nuovi; quel parallelepipedo alto undici piani e lungo dalla scala A alla M; quello con le antenne paraboliche sulla terrazza per ricevere i satelliti e coi ripetitori dei telefonini e la radio privata per trasmettere. Ma sì che l’avrete visto! Moderno e tecnologico… come pure riconoscibile passandoci davanti per via dei necrologi affissi lungo il muro della recinzione. Be’, professore… a don Pasquino l’ho già detto: è per questo che mi trovo qui questa sera. Questa notte tocca a me.»
«Calma, calma» tese le mani don Pasquino «racconta al professore, vedrai che esiste una spiegazione razionale. Vedrai, esiste.»
Massimiliano si strofinò il nasone spugnoso.
«Seguitemi con attenzione, e tenete a mente piano e scala. La prima, a memoria mia, è stata l’anziana signora Asti: piano primo, scala A. La sua dipartita risale alla notte fra i 4 e il 5 di gennaio. Aveva novantanove anni. Si disse: A quell’età… era tempo! Poi, intorno alla mezzanotte del tre di febbraio è venuto a mancare il professor Bertoli che abitava al secondo piano della B, cardiopatico da anni, stroncato da infarto. Il 5 marzo, durante la notte, mentre rincasava dal servizio è stato accoltellato a morte da ignoti davanti all’ingresso della scala C il brigadiere Cordiale dei carabinieri, abitava al terzo piano. Durante la notte del tre aprile, o forse era già il quattro, disse il patologo, si è data la morte col veleno la signorina Dandi, quarantacinque anni, a causa, si ritiene, di ripetute, insostenibili delusioni d’amore. La signorina Dandi abitava alla D, quarto piano.»
Massimiliano squadrò il professore con gli occhietti accigliati, sembravano piccoli rispetto a quel nasone…!
«Mi segue, professore? Capisce il dramma?»
Sirio, dalla sua poltrona in disparte coglieva altre coincidenze curiose e inspiegabili, oltre alla progressione piano-scala delle dipartite, per come le chiamava Massimiliano. Le tenne per sé. Intanto Massimiliano aveva ripreso:
«Maggio, mezzanotte precisa del due: il venticinquenne Ercolini Erasmo, promettente disc jockey e stimato presentatore radiofonico è stato fulminato in diretta da mal funzionamento degli apparati elettrici di trasmissione mentre annunciava il prossimo disco dall’appartamento al 5° piano della scala E del palazzo, sede di RadioE5. Milioni di persone hanno udito il suo urlo prima che le trasmissioni si interrompessero. Si entrava appena nel giorno uno del mese di giugno allorché il professor Fiorelli, già rappresentante di commercio, trovava finalmente sollievo dopo anni di continue insostenibili sofferenze causategli da male incurabile nel suo appartamento al piano 6° della scala F. Sempre a giugno, o forse si era già al primo di luglio, l’archivista a riposo ragionier Goffredi, residente al 7° piano della G, trapassava dal sonno terreno a quello eterno senza soluzione di continuità, a quel che ne riferirono la moglie e i due figlioli, adulti ma ancora conviventi».
Massimiliano Martone si passò la mano sulla fronte umida: «Professore ci siamo quasi… Ancora a luglio, durante la notte del ventinove, un giornalista inglese di nome Hoffman venuto i visita dalla sorella, deve aver sentito la necessità di uscire sul balcone in cerca di sollievo per via dell’afa, lui, abituato ai climi del nord. Ora, non ne aveva motivo, ma testimoni affermano che si è sporto dalla ringhiera in modo sconsiderato, il suo Help è riecheggiato a lungo mentre precipitava per gli otto piani della scala H. Era mezzanotte.»
Massimiliano si agitò sulla sedia. Don Pasquino, facendo uno strappo alla regola, recuperò dalla credenza una bottiglia ancora sigillata di Ballantines, ne versò in un piccolo bicchiere e glielo porse: «Su, su, per rianimarti».
Massimiliano mandò giù in un sorso. Don Pasquino scosse la testa, ma glielo riempì di nuovo.
Sirio notò che il professore ingoiava asciutto.
Massimiliano riprese:
«Come vedete, di pari passo coi necrologi sul muro della recinzione, si allungava la triste lista delle morti più o meno accidentali nel condominio. Molti passanti, notai, in quel punto cambiavano marciapiede, le donne di ritorno dalla messa si segnavano, qualcuno lasciava scorrere la mano sulla ringhiera di ferro fin quando si sentiva fuori pericolo. Né l’atmosfera era migliore all’interno. Nessuno ne parlava apertamente, è vero, ma un sospetto aleggiava negli sguardi, un timore formicolava sulle espressioni tirate. Difficile fosse sfuggita la cadenza mensile dei trapassi e nemmeno l’ordine alfabetico, come se la morte avesse chiamato l’appello prima di manovrare la falce. L’Hoffman in verità ci aveva colti di sorpresa, innanzi tutto perché non residente, in quanto ospite, secondo perché il prossimo commiato era atteso per il successivo mese di agosto. L’anomalia trasse in inganno gli Imperia, inquilini del nono piano della scala I, i quali imputando a mera indisciplina britannica il trapasso dell’Hoffman in un mese che non era quello giusto, sottostimarono il pericolo e prenotarono le ferie all’estero per settembre. Invece nella notte fra il ventisette e il ventotto di agosto accorse l’ambulanza per accertare il decesso per trombosi cerebrale della Imperia Irma, di anni quarantanove, casalinga, intervenuto allo scoccare della mezzanotte. A questo punto… lo capite, mi si imponeva una indagine puntuale e accurata, dal momento che l’immaginaria linea diagonale che attraversava il parallelepipedo partendo dal primo piano della scala A e fino al nono della I, luogo rispettivamente del primo e dell’ultimo accidente, correva diritta incontro a me: Massimiliano Martone, scala M, undicesimo piano! Una mattina mi piazzai davanti al muro della recinzione e ripassai tutti i necrologi. Le dipartite si erano invariabilmente verificate di notte e, ne ebbi conferma dai familiari, sempre alla mezzanotte! Mezzanotte, capisce professore? E lei non sorrida don Pasquino, l’ora tradizionale dei fantasmi, o dei vampiri… di qualsiasi creatura delle tenebre insomma! Dopo lo sgomento iniziale mi considerai sciocco, oggi, nel ventunesimo secolo, in piena era tecnologica, a sospettare che davvero qualche spirito malvagio potesse aggirarsi per il mio palazzo ad assassinare condomini secondo un ordine preciso nelle notti di luna piena! Notti di luna piena? Cercai un calendario: le date, tutte, coincidevano… anche dell’Hoffman! Eppure no. mi rifiutavo di crederci. Una spiegazione scientifica doveva esserci. Ma come e dove appurarlo? Intanto, per tacitare la coscienza, misi sull’avviso i Lalli, che stavano al decimo piano della L e gli rivelai la data fatidica, che secondo i miei calcoli sarebbe caduta alla mezzanotte del ventisei settembre, plenilunio! Essi, per sicurezza, partirono con ampio anticipo il diciannove e anche io… visto mai qualche pasticcio nei calcoli come nel caso dell’Hoffman, me ne andai il venti a campeggiare sul confine con l’Austria. Rincasai il ventotto, il carro mortuario con le spoglie del povero Lalli Lino arrivò subito dopo di me. Anche lui, se pur lontano, era stato raggiunto da morte violenta, sopravvenuta per impiccagione non si sa se volontaria o per mani altrui, nella notte del plenilunio. A questo punto professore, caro don Pasquino… nessun ostacolo, nessun condomino fra me e la morte. A questo punto, venticinque ottobre, luna piena, un minuto alla mezzanotte…»
La pendola sul muro di fronte diede il primo rintocco e Massimiliano Martone ebbe una smorfia di dolore e si portò entrambe le mani al petto; si accasciò nella poltrona.
Don Pasquino si precipitò verso la credenza, il professore si districò dalla poltrona, Sirio rimase seduto. Don Pasquino accorreva con l’ampolla dell’olio: «Ego te absolvo a peccatis tuis…»
Il professore cercò con due dita l’arteria giugulare sotto il mento: «È vivo!»
Don Pasquino si bloccò, Sirio si grattò la fronte, Massimiliano Martone si alzò ridendo dalla poltrona col nasone che fremeva: «Mi riesce ogni volta, dovreste vedervi… che facce avete!»
Incespicò nel tappeto. Precipitò con la tempia contro lo spigolo di marmo del tavolino da tè. Uno sbuffo di sangue. Cadde sul tappeto con gli occhi sbarrati.
La pendola diede l’ultimo rintocco.