2 febbraio 2021
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27 novembre 2020
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Presentazione:
"Sirio, condizionato da innovative tecnologie elettroniche, a bordo di un elicottero militare, un BW139, ucciderà un uomo. Una storia intricata in cui entrano in gioco multinazionali degli armamenti e funzionari corrotti, forze potenti e prepotenti. Anche qui, come in altre storie di Sirio, i deboli, quelli che definiamo la gente comune, vale a dire noi, i più, si troveranno a lottare contro giganti dell’economia e del potere ai più alti livelli. L’angelo custode in abiti femminili di turno, per Sirio, sarà Patricia, una giovane computer engineer la quale, anteponendo sentimenti e prerogative umane a quelle che sono le nuove frontiere della insensibile, corruttibile Intelligenza artificiale…"
Be’, il seguito è tutto da leggere.
BW139
(Sublime Viminale)
L’elicottero militare, un BW-139, era
decollato dall’aeroporto di Piana Pontina, a circa settanta chilometri a sud di
Roma, alle ore diciassette e trenta di sabato dodici dicembre diretto alle
officine aeronavali di Forlì. L’atterraggio era previsto tra circa venti
minuti. La motivazione sul rapporto di volo era un laconico “Trasferimento di
servizio del generale Amedeo Deruggentis e attendente” ed era firmato dal
generale in persona; il che, ai fini delle procedure militari, era più che
sufficiente. Analoghe annotazioni ormai si susseguivano a ogni weekend da quattro
settimane; e tutto ciò poteva far parte del piano. In quel momento stavano
sorvolando lo spazio aereo della città si Arezzo.
Il pilota, Marco, un giovane
sottufficiale con oltre mille ore di volo, conosceva personalmente il generale
per averlo aerotrasportato in più occasioni.
«A quest’ora al vecchio
caprone piace concedersi un caffè» disse al copilota indicandogli di sollevare
le cuffie affinché potesse sentirlo «vedi se ne vuole e portalo anche a me,
prima che m’addormento.»
La sua voce giunse agli auricolari
del generale Deruggentis e di Sirio, che nella carlinga dietro la cabina di
pilotaggio sedevano su due panche fissate lungo le pareti, l’uno di fronte
all’altro. Lo spazio tra loro era vuoto. Il generale, a sentirsi definire caprone, non riuscì a trattenere un
sorriso. Il LED rosso sopra la porta scorrevole divenne verde e la testa del
copilota si affacciò nello spiraglio.
Sirio l’aveva fatto tante
volte; prima che il copilota entrasse o dicesse qualcosa, si alzò, sfilò la
Beretta dalla fondina, la puntò contro la fronte del generale ad appena due metri di distanza e fece fuoco. La
testa del generale Deruggentis venne scaraventata contro la carlinga
dell’elicottero, quindi rimbalzò trascinando il suo corpo massiccio fino ad
accasciarsi a faccia in giù sul linoleum verde del pavimento. Il finestrino
alle sue spalle, colpito dal proiettile, era esploso e una chiazza scura di
sangue si scioglieva da sotto la mano destra del generale abbandonata
all’altezza della tempia.
Sirio, con lo sguardo
inebetito, lasciò cadere la Beretta, tornò a sedere sulla panca e rimase
immobile a fissare il vuoto.
La testa del copilota si
ritirò di fretta, la porta scorrevole si richiuse e il LED tornò al rosso.
La telecamera celata nella
carlinga del BW-139 aveva ripreso ogni dettaglio e l’aveva trasmesso a un
software installato su due personal computer, uno a Piana Pontina, l’altro a
New York City.
«Che è successo là dietro?»
Chiese il pilota a voce leggermente su di tono per sovrastare il frastuono dei
rotori.
«Gli ha sparato…» Rispose
il secondo pilota ancora in piedi alle sue spalle.
«Come sparato… Chi?»
«Quello nuovo,
l’attendente, ha sparato al generale.»
Ci fu qualche istante di
silenzio sospeso, poi il pilota sibilò una bestemmia e attivò la comunicazione
radio: «Pronto base, qui BW-139… mi
sentite?»
«Forte e chiaro… che
succede?»
Il pilota dovette ripetere
due volte il messaggio, malgrado non ci fossero fruscii di disturbo. Poi la
trasmissione venne interrotta.
«Che fanno?» Chiese il secondo,
che intanto era tornato al proprio posto dopo aver serrato da questo lato la
porta di comunicazione.
«Sta chiedendo
disposizioni.»
Trascorsi alcuni secondi,
dalla Base vennero informati che
Polizia militare e autoambulanza erano stati allertati. Gli vennero fornite le
coordinate per l’atterraggio presso l’ospedale di Arezzo che era munito di
eliporto.
Toccarono il suolo alle diciotto
e sedici.
Una decina di militari
armati di mitragliatrice attorniarono il BW-139, spalancarono il portello e
prelevarono Sirio, che si lasciò ammanettare e trascinare fino a un’auto con i
vetri oscurati; due paramedici caricarono il corpo del generale sulla barella,
lo coprirono da capo a piedi con un lenzuolo bianco e lo spinsero fino
all’ingresso che portava all’obitorio.
La telecamera nella
carlinga riprese ogni dettaglio e l’indirizzò ai due personal, che in quel momento erano accesi; gli schermi osservati
da occhi attenti.
Anche una seconda
telecamera era in funzione, e inviava le immagini a un personal computer
situato in una abitazione privata di Forlì.
Mancavano poco meno di tre
settimane alla fine dell’anno. I tempi erano stati assicurati. Presso
l’aeroporto militare di Piana Pontina, il maggiore Franco Ammassiti si appoggiò
allo schienale e portò entrambe le mani dietro la nuca. Si perse a immaginare
quanto spazio occupasse un milione di euro in banconote da cento e se fosse
sufficiente una valigetta ventiquattrore per contenerli.
Negli uffici di New York
della Rocklife & Monthgomery Corporation gli occhi di John Cassidy e Guy
Strephano si incontrarono un momento e subito si distolsero. Immagini
sanguinarie. Ma non c’era stata possibilità di scelta. Avvertirono impellente
il bisogno di qualcosa di forte. Stephano versò del bourbon in due bicchieri.
Dopo il primo sorso tornarono alle poltrone della zona relax. In silenzio se li
rotolarono a lungo tra i palmi delle mani, prima di tornare a bere di nuovo.
A Forlì, nel villino del
professor Anselmo Urbani quattro occhi preoccupati avevano seguito l’intera
scena e l’epilogo cruento.
Alle dieci di domenica quindici novembre il
sole di Forlì invitava ad andarsene in riviera, trovare un buon ristorante e
godersi la giornata fuori stagione.
Sirio e il professor
Anselmo Urbani l’avevano fissato già dalle previsioni meteo del giovedì precedente questo programmino; avevano in mente
una trattoria dalle parti di Cervia che ti sedevi per pranzo e ti alzavi molto dopo
l’ora di cena; e il conto l’avrebbe pagato chi avesse perso la prossima partita
agli scacchi, avevano scommesso. Sirio, certo di non poter nutrire speranze di
vittoria, aveva fissato fin da subito un limite di budget. Poi era giunta la
telefonata del generale e i programmi si erano dovuti adeguare al nuovo corso
degli eventi. In verità il professore aveva avanzato più di un tentativo di
coinvolgere il generale nel loro progetto così succulento, ma il generale,
senza fornire dettagli, aveva dichiarato che era fondamentale discutere le questioni che lo conducevano fino a
Forlì. Al ristorante ci sarebbero andati in una prossima occasione, promise.
In attesa davanti al
cancello del villino di Urbani, lo videro sbarcare dal tassì, il generale Amedeo
Deruggentis, un sessantenne corpulento d’un metro e novanta con i baffoni
striati di giallo dal fumo del sigaro. Urbani, con la sua corporatura da Poirot
televisivo si affrettò a sollevarsi sulla punta dei piedi per abbracciarlo,
mentre il generale si dovette quasi inginocchiare. Rimasero a darsi pacche alle
spalle tutto il tempo che Sirio impiegò a ritirare la sacca in tela mimetica
dal cofano del tassì, poi si avviarono abbracciati verso casa.
Dovevano essere almeno
vent’anni che non si vedevano ed erano entrambi emozionati ed avevano tante
cose da raccontarsi. Sul divano, con in mano un bicchiere di Ballantines, si
abbandonarono ad aneddoti e ricordi goliardici mentre Sirio supervisionava la
cuoca e il cameriere ingaggiati per l’occasione. Pranzarono con antipasti di
salumi e formaggi tipici della Romagna, con passatelli in brodo di manzo realizzati
in maniera semplicemente sublime e con porzioni abbondanti di faraona alla
cacciatora, il tutto accompagnato da Sangiovese in purezza e da un fresco,
secco Rebola dei vitigni attorno a Rimini; quindi, esaurito il dessert, un
delizioso Bustrengo confezionato come solo a Forlì sanno fare, il generale prese
sottobraccio il professore e se lo trascinò fuori, dove occuparono un paio di sedie
a dondolo di vimini sotto il patio, e accese il sigaro.
«Anselmo» esordì
appoggiandogli la mano sul braccio e soffiando in alto il fumo del sigaro «se
sono qui è per un motivo specifico. Specifico, delicato e molto, molto
confidenziale.»
«Ah» disse il professore. Si era portato
dietro il bicchiere del Ballantines e
l’aveva già vuotato per una buona metà. Dopo un pasto così…! Intanto Sirio stava
tornando per il vialetto dall’aver accompagnato cuoca e cameriere al cancello. Il
generale si schiarì la voce, accostò ancor più la bocca all’orecchio del
professore e aggiunse:
«C’è di mezzo il segreto
militare…»
«Ah…» esplose Urbani
contento «Sirio hai sentito?»
Sirio non aveva sentito,
ma l’espressione fra lo sgomento e l’incredulo del generale non lasciava adito
a dubbi, si affrettò a dirgli: «Generale… io posso andare…»
«Ma no, ma no» spiegò
Urbani al generale «Sirio è tutt’uno di me. Amedeo, non ti preoccupare, Sirio è
la persona più discreta e fidata del mondo, nonché un ottimo segugio. La tua
visita immagino abbia a che fare con la mia qualità di criminologo… e altrimenti
perché, dopo tutti questi anni? Per cui Sirio è la persona giusta e vedrai che
ti risolve il problema, qualunque esso sia.»
Il generale emise un
sospiro: «Be’, quand’è così… Accomodati, figliolo, qui, accanto a me.»
Urbani versò una dose
abbondante di Ballantines per tutti e
si disposero all’ascolto.
«Devo partire dall’inizio.
E l’inizio è qui.» Aveva estratto dal portafoglio il cartoncino di una piccola fotografia
in bianco e nero e la porse al professore.
«Una scolaresca» disse
Urbani «ma non la nostra.»
«No. È stato dopo. Scuole
medie. Vedi se riconosci qualcuno.»
Il seguito nel libro "La memoria della carta"
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