lunedì 28 settembre 2020

Indagini sulla morte di Betty - Racconto






Indagini sulla morte di Betty

 

 

I faldoni che costituivano il fascicolo relativo alle indagini sulla morte di Betty gravavano minacciosi al centro dello scrittoio come un vulcano attivo su un’isoletta indifesa. Mancava una settimana a ferragosto e il giudice istruttore Corrado Dedubiis voleva andarsene in ferie. Di quei faldoni poteva affermare di conoscere ogni singola pagina.

Due anni prima i sommozzatori dei Vigili del Fuoco, come documentato dalle numerose fotografie inserite del dossier, avevano faticato non poco per estrarre il corpo della donna incastrato fra gli enormi, sconnessi cubi frangi-flutti che contornavano il porticciolo di Piranella, a sud di Cervia. Le ferite rile-vate dal medico patologo erano risultate compatibili sia con l’ipotesi di una caduta accidentale nello spazio fra quei massi sconnessi, ma anche – ed era questo che aveva richiamato l’attenzione dei media e destato raccapriccio nell’opinione pubblica – con la possibilità di un assassinio brutale.

All’epoca era stato avviato d’ufficio un procedimento per omicidio contro ignoti.

Le indagini avevano appurato trattarsi di Elizabet Schiller, quarantotto anni al momento del decesso, nata e domiciliata a Londra, figlia del magnate dell’industria siderurgica Robert Schiller.


La reazione della stampa anglosassone era stata immediata e feroce, la domanda si rincorreva sui network come una lugubre eco: È stata uccisa Elizabet Schiller? E perché?

La vita di Elizabet era stata ricostruita con una lente da microscopio. Affezionata frequentatrice della riviera romagnola, ben sette anni vi era tornata almeno due volte, in estate e durante le festività natalizie, sempre per periodi di due settimane, soggiornando in alberghi, sì lussuosi, ma ogni volta differenti. Negli ultimi tre anni le abitudini erano mutate. Veniva una volta soltanto e si tratteneva per i mesi di agosto e settembre, sempre presso l’hotel Jolie, una palazzina candida situata sul lungomare di Piranella, pressoché dirimpetto al porticciolo turistico.

Nelle fotografie da viva non era stata quel che si dice una bellezza da copertina. Esile, i capelli di un biondo slavato, un po’ curva, quasi dimessa. L’immagine più recente, un cartoncino da fotografo di strada, come attestava il timbro impresso insieme alla data sul retro, la ritraeva nel giorno in cui era arrivata a Piranella. Sullo sfondo il mare rilucente dei riflessi del sole e uno yacht lussuoso.

Immagini queste, tutte inserite nel dossier e in qualche modo rimbalzate da una testata giornalistica all’altra, da un talk show nostrano a quelli di Londra.

Le immagini da morta erano più numerose e custodite a doppia chiave nel fascicolo del giudice istruttore. La riprendevano intrappolata, scomposta, tra i blocchi di cemento; documentavano le operazioni che i sommozzatori aveva-no dovuto eseguire per poterla estrarre; e poi la mostravano distesa sulla strada sterrata al centro del molo, da varie angolazioni; fissavano ferite ed escoriazioni; evidenziavano il tatuaggio di un quadrifoglio sul braccio sinistro che conteneva in ogni petalo una lettera dell’alfabeto: “s-s-l-e”; e ancora il dettaglio della profonda ferita sulla fronte, quella che sicuramente l’aveva uc-cisa, compatibile sia con l’urto contro lo spigolo di uno di quegli infidi blocchi di cemento quanto con il colpo inferto da un corpo contundente.

Le indagini, esperite in sinergia tra la polizia italiana e quella anglosassone, coadiuvate persino dall’Interpol, avevano consentito di risalire, in patria, ad alcune frequentazioni maschili a vario titolo; ma non le si conoscevano relazioni sentimentali in Italia.

Moventi legati a motivi di gelosia o comunque di relazione erano stati accantonati. Inoltre, quando i sommozzatori erano riusciti a districarla dagli scogli, aveva ancora a tracolla una borsetta contenente documenti, gioielli e denaro, il che escludeva altresì il movente della rapina.

Il personale del Jolie, ove la Schiller aveva soggiornato fino al momento della morte, interrogato, si ricordava di lei, ma nessuno era stato in grado di ap-portare il pur minimo contributo alle indagini.

Tutto questo, unitamente ai referti necroscopici – che avevano appurato l’assenza di acqua nei polmoni – e alla documentazione fotografica dei reperti rinvenuti nelle vicinanze – cicche di sigarette, bottiglie di plastica… perfino un risciò sconquassato – tutto questo e altro ancora era contenuto nel corposo dossier appoggiato al centro dello scrittoio del giudice istruttore Corrado Dedubiis, il quale adesso lo fissava con la stessa preoccupazione che avrebbe rivolto a una bomba pronta ad esplodere.


Il professor Anselmo Urbani, docente in Criminologia e Psicologia Criminale presso l’università di Bologna, sede distaccata a Forlì, a sessant’anni conservava sufficiente spirito di autoironia da ammettere che somigliava più a un Poirot della televisione che non a un accademico. Stante le sue specifiche competenze professionali, delle volte riceveva incarichi di consulenza sia da parte del tribunale che dalla polizia investigativa.

A una settimana da ferragosto – il professore già pregustava di andarsene in ferie in qualche posto prossimo al Polo Nord – il giudice Corrado Dedubiis l’aveva convocato nel proprio ufficio presso il tribunale di Forlì.

Dedubiis era un giovane magistrato sulla quarantina dai capelli neri e la barba corta molto curata. A dispetto della calura, che il condizionatore mitigava appena, lo accolse in giacca doppiopetto in lino chiara e cravatta righettata.

«Professore le devo affidare un caso» disse, dopo aver esaurito sbrigativa-mente le formalità circa la reciproca salute «riguarda la morte di Elizabet Schiller, ne avrà sentito parlare.»

Urbani annuì con la testa. I telegiornali, a intervalli di tempo più o meno lunghi, riproponevano i dettagli e i dubbi riguardo la presunta uccisione della turista inglese. Per cui «certo» ne aveva sentito parlare.

«Ebbene» aveva spiegato il magistrato, siccome dopo ben due anni di inda-gini nessun elemento nuovo era intervenuto a convalidare o smentire la tesi dell’omicidio, tenuto conto delle continue pressioni dell’ambasciata d’Inghilterra, considerate le sollecitazioni dei familiari della vittima che invocano la verità e infine, ma non da ultimo, perché preoccupato dall’insistenza dei media, aveva deciso di chiedere il parere finale di un profiler accreditato.

«Professore» aveva concluso «capisco che siamo alla vigilia di ferragosto, ma lei deve fornirmi un parere circostanziato entro due settimane da oggi.»

«Due settimane? Dopo due anni di indagini inconcludenti?»

«Due settimane, non un giorno di più, perché fra due settimane, allo scade-re della mezzanotte, anniversario della morte della Schiller, io rischierò il linciaggio mediatico e la carriera, per cui mi dia la risposta che preferisce… incidente, assassinio, suicidio, intervento alieno o soprannaturale… insomma quello che più le aggrada, ma mi dia una risposta.»

Con gesto plateale il giudice Corrado Dedubiis sospinse verso il professor Anselmo Urbani due anni di inchieste, perizie, fotografie, promemoria, interpellanze, verbali, testimonianze e altro e altro ancora contenuti nel corposo dossier appoggiato al centro della sua scrivania.


Adesso, a una settimana da un ferragosto che si preannunciava rovente, Urbani decise che non valeva la pena di perder tempo a cercare una verità sul-la morte di Betty, considerato che due anni di indagini non avevano saputo trovarla, tanto più che il giudice Dedubiis era pronto ad accettare per buona qualsiasi verità. Decise che faceva troppo caldo per mettersi a lavorare. Decise che la povera Betty era accidentalmente scivolata e precipitata fra i blocchi di cemento. Decise che Sirio sarebbe stato felice di risparmiargli tempo e sudore buttando giù per lui una relazione che comprovasse questa tesi.


Tutto questo decise, il professore. Senza tener conto che se qualcuno prevede, non è poi detto che qualcun altro sia disposto a provvedere.

«La famiglia della vittima» aveva detto Urbani sospingendo l’incartamento in-contro a Sirio «invoca la verità, qualsiasi essa sia. Ma ritengo dovrà prendere atto che si è trattato di un incidente. Non ci sono elementi per affermare il contrario. Ti andrebbe di darmi una mano a buttar giù una relazione in questo senso?»

Sirio aveva chiesto di darci un’occhiata, al fascicolo, e se l’era portato a casa. E adesso, a ventiquattro ore di distanza, nel soggiorno del professore disse:

«Già dagli elementi contenuti nel dossier è lampante come sono andate le cose. Ma a questo punto sono necessari alcuni riscontri sul posto al fine di convalidare le ipotesi.»

Sul posto?

Immediatamente nell'immaginazione del professore si accesero visioni di soli infuocati, di panorami marziani riverberanti calore, di respiri schiacciati da colonne d’afa.

«Ma no… la verità, ne convieni anche tu, è nel dossier. Due righe di relazione, Sirio, la povera Betty, forse un colpo di sole, è precipitata. Tragico incidente. Giudice contento, dolore della famiglia ridimensionato, stampa tacitata…»

«Professore, la conclusione cui è giunto lei non è una verità, ma una resa».

Il professore si risentì: «Che intendi?»

«Che qualsiasi indagine presuppone innanzi tutto una ricognizione sul luogo di ritrovamento della vittima. Me lo ha insegnato lei…!»

Urbani gli rivolse uno sguardo perplesso: «Non crederai davvero di poter trovare un qualche elemento sfuggito a non so quanti esperti della scientifica e investigatori, sia nostrani che anglofoni… E dopo due anni!»

«Suvvia professore, siamo in agosto e un po’ d’aria di mare non può farci che bene!»

Sirio lo stava fissando con quell’espressione da innocente farabutto che gli procurava un certo successo con le matricole del primo anno, ma che il professore trovava irritante. Si pentì di averlo messo a parte del dossier. Avrebbe fatto prima e meglio a scriversi da solo la relazione per Dedubiis nell’ambiente condizionato della propria casa. Invece adesso, come arginare l’esuberante entusiasmo da giovane profiler di Sirio?

«Scriverai la relazione?»

«Certo.»

«Cerchiamo di far presto però…»

«Oh, ci basteranno poche ore. Piccole conferme.»

Il professore sollevò gli occhi al cielo, verso il condizionatore impostato al massimo.

«E sia» si rassegnò «andiamo a Piranella.»


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venerdì 18 settembre 2020

I bambini devono ridere - Racconto






Anteprima:

I bambini devono ridere

 

Sirio notò che il modo di camminare era cambiato. Marta era scesa dal SUV metallizzato della Mercedes e veniva verso i tavolini del bar sul marciapiede ingombro di turisti.

Sirio sapeva che al primo contatto il cervello registra automaticamente dei dettagli rilevanti e si concentrò a focalizzarli. L’energia con cui Marta spingeva avanti le gambe, come se camminasse decisa e sicura sopra un asse d’equilibrio, cancellò di colpo il ricordo della ragazza dagli occhi brillanti e i modi festosi che era stata al primo anno di università.

Sirio si alzò per andarle incontro. Nello sguardo, appena si sfilò gli occhiali da sole, sorprese la stessa tristezza che le aveva velato la voce la sera precedente, quando l’aveva chiamato al telefono. Marta gli porse la mano e Sirio la trattenne fra le sue mentre si protendeva per baciarla su entrambe le guance.

«Ciao Marta.»

«Sirio… ciao. Mi osservavi, sono cambiata molto?»

«Sì, in meglio.»

«Anche tu sei cambiato, hai un’aria… efficiente.»

Due lievissime rughe d’espressione a lato della bocca le rattristavano il sorriso.

Sirio le chiese: «È passato un mucchio di tempo… come mi hai trovato?».

«Ho chiesto in facoltà. Così ho anche scoperto che sei diventato un professore… docente in criminologia… E così ce l’hai fatta. D’altro canto chi più di te poteva meritarlo?»

Il loro era stato un amore giovanile, peraltro molto breve. Marta aveva scoperto di non essere tagliata per sondare le menti criminali e aveva cambiato facoltà e città. Si erano persi di vista.

Sirio la guidò sul marciapiede del lungomare fino al tavolino del bar prendendola sottobraccio, l’invitò ad accomodarsi, fece un cenno di richiamo a un cameriere. Intorno a loro Cervia si crogiolava dell’animazione di una domenica assolata di fine giugno, assaggio delle ferie.

Ordinarono degli analcolici.

«Così» disse Sirio «ti sei sposata, hai una figlia e un nuovo marito, mi accennavi al telefono.»

«Troppe cose per una di trentasette anni… vero?»

«Be’, no, sembrerebbe una situazione ideale.»

«Sembrerebbe… sarebbe potuta esserlo… se non ci fosse il sospetto…»

Si bloccò, l’espressione imbarazzata. Sirio la sollecitò:

«Ti va di raccontarmi dall’inizio?».

Marta abbassò gli occhi, prese a giocherellare con le stanghette degli occhiali sul tavolino. Poi si riscosse con un piccolo fremito.

«Ecco, l’inizio.» Adesso sembrava distratta da quelli che passavano sul marciapiede e dalla musica che proveniva dai chioschi di bevande sul lido. «C’è mai un inizio? Si tratta di proporzioni semmai. Da uno stato di felicità si passa all’infelicità cedendo ogni giorno un po’ più di sorrisi a favore di maggiori incertezze e preoccupazioni, e anche dolori… ed è così lento il processo che nemmeno te ne accorgi. Ma hai ragione, ti ho cercato per parlarti di me e chiederti aiuto e dunque da un punto qualsiasi devo incominciare.»

Abbandonò gli occhiali sul tavolo e disse:

«Martina… sì l’ho chiamata col suo stesso nome, piccola Marta… a undici anni, ancora bambina, non rideva più. Io alla sua età ancora ridevo, i bambini devono ridere, non credi anche tu?»

Sirio non rispose e Marta riprese:

«È cambiata all’improvviso quando il mio nuovo marito è venuto a vivere con noi».

«Non capisco… Vi siete sposati senza aver avuto un periodo di convivenza?»

Marta scosse la testa.

«Adesso vedo che tutto è così assurdo… sul momento mi sembrava perfettamente normale. Gianni, quest’uomo che ho sposato, era un mio dipendente… dico era perché adesso mi ha pressoché soppiantata, di fatto è diventato il padrone della mia azienda. Vedi Sirio, dopo aver lasciato Forlì mi iscrissi alla facoltà di medicina, a Milano, in verità senza grandi risultati. Ma ai miei, a Torino, sembrava non importare. I miei erano divorziati e non avevano quasi contatti fra loro; mia madre conviveva con un altro e mio padre pensava unicamente alla sua azienda; e non davano a vedere gliene importasse qualcosa se diventavo un medico o un minatore. A quel tempo frequentavo Sandro, figlio di un imprenditore di Novara, e anche lui non era un gran che come studente. I soldi non ci mancavano e ce la spassavamo… tu sai che intendo.»

Sirio accennò di sì.

«Martina è nata prima o dopo il vostro matrimonio?»

«Dopo, ma era stata concepita prima. Ancora non so spiegarmi come sia accaduto, ma in quel periodo ci facevamo di tutto… uno sballo continuo. Non so, avrò dimenticato di prendere la pillola… comunque è successo. E Sandro, quando gliel’ho detto… la felicità fatta persona… Cominceremo una nuova vitaTi amerò per sempre… Ed era sincero, povero Sandro; subito disintossicazione per me e per lui, subito in chiesa a giurarci fedeltà eterna e reciproco amore fin che morte non ci separi. Quanti buoni propositi, ma poi è sempre il destino che decide per noi.»

Marta fece ondeggiare il bicchiere vuoto.

«Per favore, Sirio, ordinamene un altro.»

Sirio fece un segnale a un cameriere.



Marta sorseggiò dal nuovo drink e accavallò le gambe. Gambe davvero bellissime. Aveva rimesso gli occhiali scuri e spostava la testa, come attratta dal viavai variopinto dei turisti. Appoggiò gli occhiali sul tavolino e prese fra le sue la mano di Sirio.

«Subito dopo il matrimonio con Sandro» disse, lisciandogli distrattamente le dita «prima che Martina nascesse, mio padre è morto. Infarto, fulminante. Era in piedi, assieme ad alcuni dipendenti… mi hanno detto che stava ridendo. È crollato a terra ed era morto.»

«Mi dispiace…»

«No, no» l’interruppe Marta «credo sia stata una bella morte, se mai può essere bella la morte. Se ci pensi… stava bene, era nella sua azienda, che credo sia stata il suo unico amore, addirittura rideva… Nessuna agonia o lunga sofferenza, semplicemente un discendere l’ultimo gradino…»

Marta tornò ad appoggiarsi alla spalliera e scosse di nuovo lentamente la testa.

«Mio padre produceva calzature, scarpe di pregio che esportava perfino in America… Un’azienda piccola ma molto ben condotta. L’indomani del funerale una delegazione di funzionari capitanata da Gianni, quello che sarebbe diventato il mio secondo marito, si è presentata a casa mia. Una mancanza al vertice così improvvisa… ordini da evadere, fornitori che si dovevano pagare… le maestranze allarmate dalla possibilità di perdere il posto di lavoro. Mia madre aveva la sua vita e non ne voleva sapere, così, con la pancia di sette mesi, ho fatto il mio primo  ingresso nell’azienda di mio padre. È stata dura. Un mondo estraneo, sconosciuti che mi consigliavano di vendere questo e comprare quest’altro, roba da decine di migliaia di euro e io che non sapevo se e di chi fidarmi… Poi è nata Martina.»

Marta sorrise, con quell’espressione un po’ amara che le conferivano le due piccole fossette di lato alla bocca; giocherellò qualche istante con le stanghette degli occhiali sul tavolo.

«Sarebbe dovuto essere un momento felice, e forse lo è stato, ma giusto un momento. Con Sandro i rapporti si erano incrinati dopo la morte di mio padre; io tutto il giorno in azienda; e quando rientravo ero stanca; e lui mi accusava di essere scontrosa, e probabilmente aveva anche ragione. Ma la verità è, secondo il mio punto di vista, che anche lui era un figlio di papà allevato nella bambagia com’ero stata io, e adesso non riusciva a crescere, o meglio, non era costretto a crescere, come invece era accaduto a me. Ma basta, per farla breve mi ha mollata e se n’è tornato non so dove a fare la sua vita da studente mantenuto.»

Diede una spinta agli occhiali sul tavolo.

«Scusa, mi sono lasciata andare.»

«Non preoccuparti» le sorrise Sirio «è uno stato d’animo comprensibile. Piuttosto, è mezzogiorno, se hai appetito possiamo spostarci da qualche parte a mangiare qualcosa.»

«Un ristorante? No, no… ti ringrazio, davvero non sono in vena… ma se ti va puoi ordinare due panini da mangiare qui. Preferisco andare avanti a raccontarti la mia storia.»

 

 

La tenda bianca distesa sopra i tavolini del bar a momenti frusciava come una vela. La calura riverberava sull’asfalto dopo il passaggio delle automobili. Qualche tavolo più in là una ragazza rise forte per qualcosa che avevano detto i suoi amici.

«Il mio Sirio» disse Marta dopo aver finito il panino e bevuto un sorso di prosecco «il mio Sirio dal naso sbilenco e la faccia da mascalzone… e col cuore da bambino buono. Te le ricordi le risate che ci facevamo? Che dici, era l’età o eravamo noi?»

«Penso entrambe le cose» sorrise Sirio.

«Eravamo ancora bambini… o almeno io lo ero. Quando si cresce non si ride più.»

Sirio si protese e le strinse la mano. 

«Spiegami questa cosa, Marta. Spiegami perché Martina ha smesso di ridere.»

Marta appoggiò l’altra mano su quella di Sirio e prese ad accarezzargliela soprappensiero:

«L’ho cresciuta da sola, e credo di averle dato un’infanzia felice, malgrado il lavoro, malgrado il tempo che dovevo passare fuori di casa. Ho vissuto per lei, devi credermi. Mai… non dico un uomo, ma uno svago, per sei anni. Poi è successo, e non so nemmeno io spiegarmi come e perché. Gianni si occupava della contabilità. Accadeva rimanessimo in azienda oltre l’orario per discutere qualche problema dell’amministrazione, anche da soli io e lui… e senza che me ne rendessi conto deve essersi insinuato nei miei pensieri e nei miei desideri. Tutto sommato è un bell’uomo… un po’ ingessato… non so se mi spiego, di quelli ogni momento in self-control… Poi una sera è successo. Non chiedermi com’è andata, non saprei risponderti, so che a un certo momento eravamo distesi sul tappeto e lui mi ripeteva di amarmi, di avermi sempre amata e che mi avrebbe amata per sempre. Che dire… all’improvviso ho ritrovato l’allegria, la felicità e la voglia di vivere… e Martina sembrava contenta anche lei e sembrava che Gianni le piacesse. Così, nemmeno un anno, e l’ho sposato.»

«E quando hai notato il mutamento di umore, in Martina?»

«Ecco, questo è il punto» disse Marta «le avevo fatto conoscere Gianni fin da subito… fin da quando il nostro rapporto aveva assunto una sua stabilità, intendo, e lei lo aveva accettato, facevamo delle gite nei fine settimana, io, lei e Gianni, e Gianni passava da noi le serate… e io li vedevo giocare e scherzare assieme. È questo che mi ha tranquillizzata e fatta decidere per il matrimonio. Ma appena Gianni è entrato in casa tutto è cambiato… come ti ho detto.»

Era tornata a distrarsi col viavai della gente e Sirio tornò a stringerle la mano sul tavolino del bar.

«Marta, che cosa mi stai nascondendo?»

«Nulla, ti ho cercato proprio per parlartene… ma non è facile. Una notte mi sono svegliata, forse avevo sete o dovevo andare in bagno… non ha importanza… e Gianni accanto a me non c’era. L’ho sorpreso nello studio davanti al portatile… È stato tutto così rapido… ha abbassato lo schermo e si è voltato a guardarmi, ma rimanendo seduto. Ha accavallato le gambe… Dovevo controllare una cosa sui bilanci, ha detto, mi ha detto di tornarmene a letto che mi avrebbe raggiunta subito…»

«E…?»

«Non ne sono sicura, non sono sicura di niente… è stato tutto così veloce… mi è sembrato ci fossero dei bambini nudi sullo schermo prima che lo abbassasse… e lui era eccitato, ha cercato di nasconderlo incrociando le gambe… ma non sono certa di niente, ripeto.»

«Di sicuro è un sospetto terribile il tuo, di esserti portata in casa un pedofilo avendo una figlia di undici anni. E dov’è Martina adesso?»

«Da mia madre… e Gianni probabilmente in azienda. Adesso capisci in che situazione mi trovo? E c’è dell’altro che debbo dirti.»

 

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mercoledì 26 agosto 2020

Commenti dei lettori - Lascia un tuo commento




Sabrina Oddo

Recensito in Italia il 16 marzo 2021

Sirio, docente di criminologia, si troverà a condurre, parallelamente alla polizia, un'altra pericolosa indagine che vedrà implicata l'amata sorella.
"Naso di pugile" non si risparmierà: resterà vigile e attento, nonostante il coinvolgimento emotivo. Perspicace, astuto, si fiderà dell'istinto, allenato dall'esperienza, che lo porterà all'autore di una delirante tracciatura compulsiva.
Complimenti a Romano Greco che è riuscito, con la sua scrittura fluida e interessante, a tenermi incollata alle pagine del suo libro.

martina a.

 Molto bello. Consigliatissimo!

Recensito in Italia il 10 aprile 2021

Un giallo davvero appassionante e ricco di suspense, che non annoia mai, anche grazie ai diversi filoni narrativi, che si ricongiungeranno alla fine. Il protagonista, poi, è davvero interessante. Davvero consigliato!

Rosy

 Bellissimo!!!

Recensito in Italia il 11 marzo 2021

Un insegnante di criminologia dell'università di Forlì, furbo e intelligente, con una memoria fotografica e fiuto per gli indizi; un tentato omicidio che lo tocca da vicino; e una vittima, sulla cui pelle l'assassino incide dei segni lasciando la sua firma lì, in basso a destra, come fanno gli artisti con i loro capolavori.

Ed è così che Sirio, assetato dalla fame di vendetta e dalla necessità di scoprire la verità, comincia ad indagare. Indagini che svolge parallelamente a quelle ufficiali da cui è esonerato; compiute secondo i metodi più tradizionali, dove "le tracce vanno seguite subito, finché sono calde, perché poi evaporano" : quelli che il testo definisce come "i cari, collaudati metodi di investigazione".

E sulle tracce rinvenute da Sirio (moderno Sherlock Holmes a bordo di una Kawasaki 750), tra lucidità e delirio psicopatico, sono stata condotta fino all'ultima pagina godendomi il viaggio. Una scrittura semplice, scorrevole, veloce e capace di imprimere al romanzo quel filo di suspense che da un thriller pretendiamo; una storia ben articolata dove ci si imbatte in "gialli nel giallo" che affiorano anche sotto forma di flashback, senza nulla togliere alla trama principale.

Anna E.

 Recensito in Italia il 4 maggio 2021

Sirio, il protagonista, è un docente di Criminologia all'università di Forlì. La sua esistenza viene sconvolta dall'arrivo di una telefonata: sua sorella è stata vittima di una violenta aggressione, ma solo quando Sirio sarà sul posto, scoprirà che non è un semplice atto violento. Il serial killer responsabile di questo abominio ha infatti usato il corpo di sua sorella come una vera e propria lavagna, incidendo sulla pelle, con un pezzo di vetro dei segni riducendola in coma. Sirio quindi inizia una vera e propria indagine sfruttando indizi e tracce lasciate dall'assassino; il tutto naturalmente in segreto e parallelamente alla polizia. Il libro è veramente piacevole grazie alla presenza di molteplici filoni narrativi che, alla fine, come fili di un ordito, si avvolgono, e accompagnano il lettore verso l'epilogo.

daniela l.

Leggetelo, merita!

Recensito in Italia il 30 aprile 2021

Avete presente le Matrioske? Le bambole di legno russe che contengono, una dentro l’altra, bamboline sempre più piccole? Beh, il romanzo giallo “Una lavagna di candida pelle” di Romano Greco me le ha fatte venire in mente! Questo autore ha infatti la straordinaria capacità di saper tessere tante diverse trame noir all’interno dello stesso romanzo, quasi fosse la fitta rete circoncentrica di una ragnatela. E riesce a rendere intriganti anche i protagonisti minori della storia proprio perchè ce li descrive nel dettaglio, aprendo delle parentesi o giocando di flash back, che mantengono alta la suspense narrativa e donano veridicità alla trama principale che scorre veloce lungo le pagine del libro.

Di questo autore ho letto recentemente anche “La signora americana”, una raccolta di racconti noir che mi è piaciuta molto. Ma “Una lavagna di candida pelle” ha di gran lunga superato le mie già alte aspettative! Tanto che Romano Greco adesso è entrato a pieno titolo nella mia personalissima Top10 dei migliori scrittori di romanzi gialli, al fianco di John Le Carrè, Agatha Christie, Andrea Camilleri e Gianrico Carofiglio, per citarne alcuni. E dunque a lui auguro di ottenere altrettanto successo! Ma veniamo alla trama di questo romanzo, di cui è protagonista ancora una volta Sirio Bonanni, un affascinante docente di Criminologia.

Questa volta Sirio è costretto a investigare su un fatto di cronaca nera che lo tocca molto da vicino. Sua sorella Emma, infatti, è stata aggredita e ridotta in fin di vita. La polizia segue la pista dell’ex fidanzato. Ma Sirio, da bravo criminologo, capisce subito che non si tratta di un crimine passionale, bensì della fredda aggressione di qualcuno che ha tutte le caratteristiche psicologiche del serial killer. Non trovando il supporto delle forze dell’ordine, Sirio dovrà svolgere le proprie indagini da solo e in segreto, in una sincopata lotta contro il tempo per individuare il colpevole prima che colpisca ancora.

Tassello dopo tassello, Sirio riuscirà a mettere insieme il puzzle investigativo, portando alla luce la vera identità dell’aggressore di Emma e con essa anche una fitta rete di personaggi legati alla mafia, alla massoneria e a società finanziarie create ad hoc per riclare denaro sporco. L’indagine di Sirio ci condurrà dunque a Roma, Milano, Palermo, Torino e sul Lago di Garda, in un crescendo di colpi di scena che vi terranno col fiato sospeso fino all’ultima pagina. Leggetelo, merita!

E.F.

 Letteralmente divorati

Recensito in Italia il 30 marzo 2021

Ho anche letto “La memoria della carta” del medesimo autore. Devo dire che li ho divorati in poco tempo, la lettura è stata scorrevole ed avvincente e mai banale. Cinque stelle meritate!

Davide Albertin

Recensito in Italia il 28 maggio 2021

Mi piacciono i gialli e i polizieschi e qui ho una storia che si abbina proprio ai miei gusti !! Sono davvero colpito dalla trama,molto avvincente e con colpi di scena e suspance. Complimenti all'autore che ha saputo farmi entrare nel personaggio e viaggiare insieme a lui in questi luoghi incantati attraverso il racconto di un poliziesco ricco di pathos.

 

E.F.

Recensito in Italia il 10 aprile 2021

Ho già letto "Una lavagna di candida pelle" e "la memoria di carta" di questo bravissimo autore. Non potevo farmi scappare la lettura di questa ultima recente creatura nata dalla sua penna. Voto: 5 stelle meritate. Conoscendo i precedenti non avevo molti dubbi, ma sono molto felice di non aver avuto delusioni sulle aspettative.

 

Giulio Scarlino

Ottimo libro

Recensito in Italia il 6 maggio 2021

Nella Signora Americana, il criminologo Sirio si trova a indagare su alcuni omicidi che grazie al suo intuito investigativo riesce a risolvere in maniera brillante. Il lettore viene coinvolto da una narrazione ricca di particolari che rendono il libro interessante e coinvolgente fino all'ultima pagina.




venerdì 7 agosto 2020

ODIO - Romanzo




ODIO: Romanzo (Italian Edition) 

By Romano Greco (Autor)

"Per Sirio di questo si trattava, di pura curiosità, di scoprire spigolature nascoste sotto la maschera che indossano gli esseri umani e le storture che ne derivano".

Versione cartacea, copertina flessibile – Pagine 385 - €. 10,50

Da oggi in promozione a ........................................... €. 9,15

Kindle Edition - Pagine 311 -
Da oggi in promozione a ........................................... €. 0,90
 



Anteprima:

Cap. 1°

Venerdì ventitré ottobre, davanti al cristallo della biglietteria, Cindy, dopo quanto era accaduto, non si trovava dell’umore giusto per fare conversazione; soprattutto con uno che voleva attaccare discorso. Per lei non si trattava esattamente di una gita di piacere.

«Va bene» disse «se diretto da Bologna per Palermo non c’è, farò scalo a Roma. Mi faccia le prenotazioni. Posto singolo su tutt’e due i treni» precisò.

L’operatore oltre il cristallo della biglietteria consultò il suo schermo ben informato: «Oggi è venerdì, nei fine settimana c’è sempre il pienone, mi dispiace, non è possibile».

E se ti dispiace, che ci trovi da ridere?

Cindy trattenne la voce: «Come dice? Che cosa non è possibile?»

L’operatore, con gli occhiali da miope calati sulla punta del naso, stava indicando qualcosa sul monitor, qualcosa che vedeva soltanto lui:

«È rimasto un unico posto da Roma per Palermo sul treno in coincidenza, ma è contrapposto a un altro. C’è il ripiano nel mezzo… ma potrebbe non essere un male, a volte si incontrano tipi simpatici, si fanno amicizie…»

E avanti così.

Alle spalle di Cindy non c’era fila e questo, nel cervello dell’operatore, un tipo sui cinquanta dagli occhietti furbi, uno di quelli che con le donne lasciano cadere qui e là battutine a doppio senso, doveva rappresentare un ottimo incentivo per provare ad attaccare discorso. Nell’attesa che i suoi apparecchi stampassero i biglietti non la finiva più. Lei invece non era in vena di ascoltare fesserie. Appena glieli porse, ritirò i ticket e gli voltò le spalle.

Il Regionale veloce delle nove e quarantacinque da Bologna per Roma aspettava sul binario.

Individuò il proprio posto a metà vagone, rifiutò con un grazie la proposta di aiuto da parte di un tipo tozzo palestrato e sistemò da sé la piccola valigia sulla cappelliera. Si mise comoda e accavallò le gambe. Sul marciapiede di stazione gente che andava e gente che aspettava, trolley trascinati, fidanzati che si scambiavano piccole effusioni.

Il treno si avviò, uscì di stazione serpeggiando sugli scambi e prese velocità; Cindy chiuse gli occhi: suo fratello giaceva in una bara.

Ventidue anni!

 

Sirio, il ventitré di ottobre, si trovava ancora a Roma, mentre a Forlì il professor Anselmo Urbani, lisciandosi pensieroso nel pugno il pizzetto candido seguiva i percorsi intricati di un labirinto invisibile fra credenze, tavoli e sedie del soggiorno di casa. Erano quasi le undici, il tempo stringeva e l’impazienza lo sollecitava a telefonargli, mentre la prudenza lo frenava. 

La mattina precedente, più o meno a quest’ora, l’aveva chiamato la giudice Ornella Peres, la sua affascinante amica romana, dirigente superiore della sezione Audit, come veniva chiamato con termine moderno l’ufficio di controllo sull’operato dei magistrati allocato presso la Corte dei Conti. Si conoscevano da svariati anni, nel corso dei quali Ornella si era avvalsa a più riprese delle sue competenze criminologiche.

«Anselmo» era entrata in argomento, dopo qualche scambio di battute sul carico di lavoro e il tempo, che a Roma si manteneva sul bello, mentre a Forlì era perfettamente allineato alla stagione «avrei bisogno del tuo aiuto per una consulenza professionale.»

Il professore si era allertato. Il tempo uggioso al di là dei vetri gli si ripercuoteva nell’umore e nelle ossa: «Certo, di cosa si tratta?»

«Una verifica, su un magistrato, ma riservata. È un mio amico… a Palermo.»

A Palermo…?!

Il professore si era affrettato a tossire.

«Cos’è, sei raffreddato?»

Un colpo di tosse più forte: «Ornella, sì».

«Hai febbre?»

Pro bona causa est, aveva ragionato il professore, e aveva seguitato a mentire: «Oltre quaranta!»

«Oh… mi dispiace. Allora, quand’è così…»

«No no, Ornella, aspetta.»

Non poteva deludere Ornella, la loro lunga amicizia.

«Sirio» aveva promesso «è a Roma. Sarà felice di passare da te… lo conosci, è capace… spiega tutto a lui.»

La risposta aveva tardato qualche secondo ma era arrivata: «Va bene, se me lo suggerisci tu…! Digli di venirmi a trovare allora, lo aspetto. Tu riguardati».

Gli era scappato di tossire di nuovo, per l’imbarazzo questa volta: «Grazie Ornella».

 

Tutto questo ieri, giovedì ventidue all’incirca a quest’ora, ma adesso, nello spazio angusto fra il divano e la poltrona, il professor Anselmo Urbani smise di lisciarsi il pizzetto nel pugno e si fermò interdetto. Per un verso era curioso, e quindi impaziente di chiamare Sirio; d’altro canto era titubante; ed esitava. Ma c’era un treno da Roma per Palermo a mezzogiorno, fra un’ora, e doveva sapere se Sirio intendeva salirci.

Ruppe gli indugi e inviò la chiamata.

«Ah professore, qual buon vento?» Rispose Sirio col vivavoce inserito.

Urbani si lasciò sfuggire un colpetto di tosse: «Allora…?»

«Allora cosa? Ah, lei vuol sapere se sono passato dalla giudice Peres! Magari apprendere l’oggetto della missione che voleva affidarle a Palermo…! Ed è perfino curioso se ho accettato.»

Demonio…! Ci si diverte.

Il professor Anselmo Urbani tossicchiò d’impazienza, si spostò fino alla cucina e tornò in soggiorno, si strizzò più forte il pizzo bianco della barba.

«Sirio… Allora?»

Nessuna risposta, rumori di un tramestio.

«Insomma Sirio, ci sei passato da Ornella stamattina?»

«No.»

Urbani avvampò. L’aveva accolto sotto la propria ala protettrice fin dal primo giorno, insegnato le basi essenziali, fatto di lui un profiler… e di buon livello, anche, e adesso… adesso lo pugnalava alle spalle!

«No…?» Chiese deluso e irritato allo stesso tempo.

Dovette aspettate qualche secondo la risposta di Sirio.

«Ci siamo incontrati ieri a pranzo e adesso vado di fretta… perché ho la prenotazione sul treno per Palermo che parte fra un’ora… e devo finire di riempire il trolley.»

«Ah» sospirò il professore tranquillizzato «e dimmi… lei…?»

Che fosse caduta la linea?

No. Sentiva rumori di sportelli e cassetti aperti e richiusi. Finalmente Sirio rispose: «Dunque…»

«Dunque?»

Dovette aspettare ben più di un minuto prima che Sirio si decidesse: «E va bene, la richiamo appena sono in tassì e le racconto».

 

Sirio l’aveva vista venirgli incontro nella saletta d’attesa dedicata ai visitatori al piano terreno del palazzo della Corte dei Conti.

Lo charme della giudice Ornella Peres era di quelli che traspariscono dal sorriso, si irradiano dallo scintillio degli occhi, ti avviluppano col gesticolare discreto delle mani, ti conquistano col modo di spingere avanti i passi. Con funzioni di dirigente superiore presso la Sezione Audit della Corte dei Conti, Sirio, che il professor Urbani portava al seguito già dal primo anno di facoltà, l’aveva conosciuta nel corso di svariate indagini svolte dal professore per suo conto.

Gli aveva teso la mano. Piccola mano dalla stretta energica della giudice Peres.

«Mi perdoni se l’ho fatta aspettare» esordì, poi aggiunse «e l’amico Anselmo…? L’ho sentito al telefono, poc’anzi, mi diceva di essere influenzato.»

Bugiardo di un professore!

«Meglio, adesso meglio. Le manda i suoi saluti.»

Ornella Peres aveva guardato l’orologio da polso.

«Senta Sirio, sono le tredici, che ne dice se ce ne andiamo a scambiare due chiacchiere davanti a un bel piatto di spaghetti?»

Avevano trovato posto a un tavolino pressato fra gli altri. Il ristorante era gremito di impiegati ministeriali e dipendenti della zona.

Ornella Peres gli aveva rivolto un sorriso mesto: «Sua sorella?»

Emma era uscita da poco da un coma che si temeva irreversibile.

«Si va riprendendo» rispose Sirio.

Ornella Peres distolse qualche momento lo sguardo: «Be’… veniamo a noi. L’indagine che le chiedo per me rappresenta, vorrei dire, un caso di coscienza. Lei sa che il mio Ufficio è preposto a vigilare sulla correttezza nell’applicazione degli iter procedurali nei vari tribunali e apparati della giustizia sul territorio nazionale. Ora, da Palermo, a più riprese, sono pervenute segnalazioni, da parte di magistrati e dirigenti, relative a fughe di notizie, smarrimento di documenti, ritardi nelle comunicazioni, oppure nella trasmissione di Atti d’ufficio… Irregolarità amministrative, peccati veniali, se vogliamo, ancora su un limite di confine con il reato penale. Per altri versi sintomi: segnali che possono nascondere la corruzione, indizi che possono celare connivenze».

Sirio le chiese: «Processi falsati?»

«È quanto si sospetta.»

«Un nome in particolare?»

«Giudice Giorgio Cordaci. Un mio carissimo amico.»

Sirio soppesò le ultime parole: «Se si sta rivolgendo a me… in qualità di alter ego del professor Urbani, significa che sono state effettuate verifiche per le vie ufficiali dai suoi ispettori. E che le risultanze non la soddisfano».

«Esatto. Avevo nominato una commissione d’inchiesta, che ha vagliato la documentazione concernente i presunti abusi. Non soltanto laddove si poteva presupporre lo sconfinamento in reati di carattere penale, ma anche dove poteva sorgere un pur minimo sospetto di connessioni mafiose. Non dimentichi che parliamo di Palermo. E devo confidarle che in queste indagini sono stati interessati perfino i Carabinieri e la Guardia di Finanza.»

«E le prove?»

«Prove no, altrimenti l’avrebbero arrestato, ma sospetti sì… che sembrano fondati.»

«Capisco.»

Sirio aveva arrotolato gli spaghetti ma non si decideva a portarli alla bocca.

«E questi sospetti fondati presuppongono l’allontanamento del giudice Giorgio Cordaci?»

«Già!»

Sirio appoggiò la forchetta nel piatto.

«Senta, giudice Peres… mentre parlava, le mie associazioni di idee hanno percorso itinerari forse curiosi. E il processo logico di causa effetto, alla fine, nella mia testa, si è condensato in un’unica parola: Sbocciare. Non riferito ai fiori però, bensì al gioco delle bocce...! Cioè scalzare la biglia avversaria con la propria mediante un tiro violento. Forse è quanto stanno cercando di fare al suo amico».

«È ciò che temo. Per questo ho bisogno di aiuto.»

Sirio sorseggiò dal calice del vino: «Cosa si aspetta da me?»

«Sirio» gli prese la mano sul tavolo «il giudice Giorgio Cordaci è un mio amico e se mi sono rivolta a Urbani, e adesso a lei, è perché mi aspetto, se possibile, indagini discrete che comprovino la sua estraneità, oppure un inequivocabile coinvolgimento. Soltanto allora potrei dare corso ai provvedimenti disciplinari del caso. Sirio, le faccio una confidenza, ho incontrato Giorgio sui banchi di scuola, è stato uno dei miei primi amori, lo conosco… o meglio mi sento di affermare di conoscerlo quanto me stessa, e non posso credere… non ci riesco, che sia cambiato fino al punto da spalleggiare dei criminali. Piuttosto sono propensa a concordare con lei sulla tesi che una persona onesta, in un ambiente corrotto può dare fastidio. Sono convinta che qualcuno stia cercando di screditarlo affinché venga allontanato dal tribunale di Palermo. Urbani, e anche lei, Sirio, mi avete dato prova di perspicacia e intuito fuori del comune… adesso le chiedo, vada a Palermo per me, scagioni il mio amico.»

 

I dipendenti lasciavano il ristorante a piccoli gruppi per rientrare nei vari ministeri e uffici sparsi lì attorno. La giudice Ornella Peres gli tratteneva la mano sul tavolo e lo fissava in attesa.

Sirio era reduce da una caccia che aveva richiesto energie al limite dell’umano alla ricerca del folle sanguinario che aveva quasi assassinato sua sorella Emma. Al confronto questa prova, l’indagine che la giudice Peres gli stava chiedendo, sarebbe stata una specie di vacanza; e poi c’era la curiosità, perché di questo si trattava, per Sirio, di pura curiosità: di scoprire spigolature nascoste sotto la maschera che indossano gli esseri umani, e le storture che ne derivano.

«Il giudice Giorgio Cordaci è a conoscenza di queste vostre verifiche sulla sua integrità morale e il suo operato?» Le chiese.

«No» la giudice Ornella Peres scuoteva lievemente la testa.

E Sirio: «E lei lo ritiene innocente… giusto?»

«Certo!»

«Allora bisogna dirglielo.»

Ornella Peres serrò le labbra: «Non posso. Non posso rivelargli di aver svolto controlli sulla sua persona, potrebbe interpretarlo come l’ammissione di sospetti sul suo conto che non mi hanno mai nemmeno sfiorata».

Sirio ponderò alternative e non ne trovò, il piano che gli si andava delineando nella testa era l’unico in grado di portare a risultati veloci e certi: «Senta giudice, lei si fida di me?»

«Mi fido di Urbani. E quindi sì, mi debbo fidare di lei.»

«Allora mi lasci fare.»

«E cosa, precisamente?»

Era ancora una strategia in embrione, nella sua testa, e sarebbe stato azzardato esprimerla: «Sa come si agisce nel controspionaggio quando si scopre una spia nemica tra le proprie fila?»

Chiaro che non lo seguiva: «So molte cose… lei a che si riferisce esattamente?»

Solo un embrione di strategia: «Le si forniscono informazioni strumentalizzate in modo da indurre il nemico a compiere un passo falso».

«Nel nostro caso?»

Una struttura strategica organica l’avrebbe definita una volta a Palermo: «Se non è Giorgio Cordaci a manipolare i processi, qualcun altro lo fa per lui. Per indurlo a scoprirsi è necessario che il giudice Cordaci sia dei nostri, la qual cosa presuppone che dobbiamo informarlo della tresca ai suoi danni».

Ornella Peres esitava. I suoi occhi esprimevano dubbio e trepidazione: «Va bene. Mi fido di lei. Proceda».

 

A Roma, Cindy aveva cambiato treno. Il suo posto era a metà vagone, rivolto verso il senso di marcia. Cindy notò con soddisfazione che il sedile di fronte era tuttora libero. Sistemò il trolley sulla cappelliera e prese a sfogliare le pagine di Facebook sull’I-phone. La voce femminile registrata che esplose dall’altoparlante del Frecciarossa invitò eventuali accompagnatori a scendere e dopo pochi minuti il treno si mosse. Il dirimpettaio a quanto pareva era rimasto a terra e Cindy accavallò le gambe, invadendo lo spazio del sedile davanti lasciato libero. Forse se ne sarebbe potuta rimanere da sola in santa pace. Appoggiò la testa e chiuse gli occhi.

«Mi perdoni.»

Sul metro e ottanta, castano chiaro, meno di quaranta, naso alla Jean Paul Belmondo, camicia, jeans e giacca… e perfino la cravatta. Era leggermente proteso e sorrideva: «Mi dispiace disturbarla».

Cindy ritirò le gambe.

Belmondò sfilò un raccoglitore da ufficio e un libro dalla ventiquattrore. Cindy prese l’I-phone bianco da sopra il ripiano e si finse assorta dal messaggio appena arrivato, per non rispondergli.

Belmondò sedette, appoggiò lo smartphone con la cover azzurra e accavallò le gambe a sua volta, rivolgendole verso il corridoio centrale, distanti dalle sue, poi sfogliò il libro, “Il viaggio a Roma”, di Alberto Moravia, e si concentrò a leggerlo.

Meglio così, pensò Cindy, perché non era in vena di chiacchiere da treno e soprattutto di tentativi di approccio. Tornò a far scorrere i Contatti di Facebook e a leggere fesserie. Tutto andava bene, pur di non chiudere gli occhi.

Il Frecciarossa era fuori dall’abitato, superava stazioncine a velocità tale da non poterne scorgere il nome sulle targhe, campagne scorrevano indolenti.

La vibrazione annunciò la chiamata: Lorella, una collega: «Ciao Cindy. Ho saputo di tuo fratello… Condoglianze».

Cindy manovrò col pollice per abbassare il volume dell’auricolare e lanciò uno sguardo veloce al passeggero di fronte: leggeva.

Si coprì la bocca con la mano, prima di rispondere: «Grazie».

«Ma com’è possibile? Così giovane…!»

«Eh, purtroppo…»

«Si è tolto la vita, mi hanno detto… Mio Dio.»

Cindy si premette il telefono contro l’orecchio per tamponare quella voce indiscreta. Sono in un treno assieme a mille persone, avrebbe voluto gridare.

«Sì… è così infatti» bisbigliò nel telefono.

«E tu?»

«Sono in treno.»

«Ah, per i funerali…?!»

Ma quando la finisci?

«Sì.»

«Di nuovo condoglianze allora…»

Finalmente!

«Grazie Lorella.»

Cindy chiuse e riappoggiò il telefono su un angolo del ripiano. Belmondò sempre assorto nel suo “Viaggio a Roma”.

Be’, meglio così!

Lungo il corridoio si stava avvicinando l’hostess col carrello, elencò anche a loro le sue offerte e Belmondò accettò un caffè e dei biscotti. Cindy sorrise in risposta all’hostess, rifiutò con un gesto della mano.

Il passeggero di fronte, posato il libro, bevve il caffè e sbocconcellò i biscotti assorto dalla campagna oltre il finestrino, poi aprì il raccoglitore e si concentrò sui documenti che conteneva. Dopo averli letti, se li appoggiava sulle ginocchia.

«Lei permette?»

Cindy non capì subito. Sollevò lo sguardo dall’I-phone: «Certo, perché no?»

Belmondò prese ad appoggiare i fogli sulla mensola posta fra di loro.

Cindy, con l’indice, faceva scorrere i contatti di facebook, leggeva distrattamente le solite stupidaggini di chi fotografava il piatto del ristorante e di chi accarezzava il micio di casa; intanto, sia pure senza volerlo, lo sguardo le andava ai documenti del dirimpettaio: carte intestate di avvocati e studi medici, e Atti di tribunali. L’altro sembrava interessato unicamente alle sue scartoffie e non badava a lei.

Passò il controllore, uno panciuto dall’equilibrio incredibile. Mostrarono i rispettivi biglietti e Belmondò tornò a immergersi nel proprio lavoro, o quello che era.

Mah… ne incontri di tutti i tipi su un treno…

Cindy, nel cambiare posizione, gli urtò la caviglia con la scarpa: «Mi scusi…»

Il dirimpettaio sollevò appena lo sguardo, sorrise. Un sorriso rassicurante.

«A lei succede mai?» Chiese Cindy.

Gli occhi di Belmondò si sollevarono, domandavano cosa?

«A lei succede mai di incontrare una persona e chiedersi quale possa essere la sua professione o anche semplicemente come si chiami?»

«Di continuo.» Rispose Belmondò.

«E ci indovina?»

Belmondò sorrideva: «Qualche volta».

«E come fa a sapere se ci ha indovinato?»

«Come sta facendo lei, glielo chiedo.»

Cindy si provava a studiarlo, ma quel sorriso inalterabile le impediva di arrivare oltre: «E quindi?»

«Be’… vediamo se indovina…» rispose Belmondò. Scosse appena la testa: «Poi mi ci proverò io».

«Dunque… sul primo momento ho pensato a un atleta d’un qualche tipo…»

«Ah, per via del naso… Già, me lo dicono in tanti. Ma no… no, il naso da pugile in realtà è il ricordo di una scazzottata tra adolescenti, di quelli che si contendevano una ragazza. Io ho perso il match ma ho vinto la ragazza.»

A Cindy sfuggì un risolino: «Pugile no. Allora cosa?»

Belmondò allargò le braccia e fece una smorfia come a dire: Indovina…!

«Carte di tribunali… Ah, mi perdoni, non volevo essere indiscreta…»

«Non si preoccupi, il carteggio è lì, niente di male abbia sorpreso qualcosa. Che ne deduce?»

«Non so. È un avvocato? Un giudice? Oppure…? Oh, mi scusi…» Si portò la mano sulla bocca.

Il passeggero si mise a ridere riversando la testa. «No, no, non si preoccupi, non sono io l’imputato… Comunque, le fornisco un aiutino: sono un docente universitario.»

«Un professore? No, non ci credo… E queste sue carte hanno a che fare con la sua professione?»

«Certo.»

Cindy si lasciò andare sulla spalliera: «Basta, ci rinuncio».

«Scienze criminologiche…»

Cindy si rabbuiò. «Be’» disse «la lascio al suo lavoro… Mi scusi se l’ho disturbata.»

Se per qualche minuto si era distratta, brutalmente il riferimento di quell’uomo l’aveva ricondotta al motivo del viaggio: Suo fratello, ventidue anni, giaceva all’interno di una lucida bara.

 

Il passeggero di fronte, in maniera incredibile, sembrò percepirlo, perché attese qualche secondo concentrato a fissarla prima di parlare di nuovo: «Lei, Cindy, sta scendendo a Palermo, ma non è per una vacanza, né per lavoro. Si trova a dover affrontare, da sola, un momento altamente drammatico. Va per un lutto. Non per una morte naturale, però».

Incredibile!

«Come conosce il mio nome, e come fa a sapere di mio fratello?»




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