venerdì 18 settembre 2020

I bambini devono ridere - Racconto






Anteprima:

I bambini devono ridere

 

Sirio notò che il modo di camminare era cambiato. Marta era scesa dal SUV metallizzato della Mercedes e veniva verso i tavolini del bar sul marciapiede ingombro di turisti.

Sirio sapeva che al primo contatto il cervello registra automaticamente dei dettagli rilevanti e si concentrò a focalizzarli. L’energia con cui Marta spingeva avanti le gambe, come se camminasse decisa e sicura sopra un asse d’equilibrio, cancellò di colpo il ricordo della ragazza dagli occhi brillanti e i modi festosi che era stata al primo anno di università.

Sirio si alzò per andarle incontro. Nello sguardo, appena si sfilò gli occhiali da sole, sorprese la stessa tristezza che le aveva velato la voce la sera precedente, quando l’aveva chiamato al telefono. Marta gli porse la mano e Sirio la trattenne fra le sue mentre si protendeva per baciarla su entrambe le guance.

«Ciao Marta.»

«Sirio… ciao. Mi osservavi, sono cambiata molto?»

«Sì, in meglio.»

«Anche tu sei cambiato, hai un’aria… efficiente.»

Due lievissime rughe d’espressione a lato della bocca le rattristavano il sorriso.

Sirio le chiese: «È passato un mucchio di tempo… come mi hai trovato?».

«Ho chiesto in facoltà. Così ho anche scoperto che sei diventato un professore… docente in criminologia… E così ce l’hai fatta. D’altro canto chi più di te poteva meritarlo?»

Il loro era stato un amore giovanile, peraltro molto breve. Marta aveva scoperto di non essere tagliata per sondare le menti criminali e aveva cambiato facoltà e città. Si erano persi di vista.

Sirio la guidò sul marciapiede del lungomare fino al tavolino del bar prendendola sottobraccio, l’invitò ad accomodarsi, fece un cenno di richiamo a un cameriere. Intorno a loro Cervia si crogiolava dell’animazione di una domenica assolata di fine giugno, assaggio delle ferie.

Ordinarono degli analcolici.

«Così» disse Sirio «ti sei sposata, hai una figlia e un nuovo marito, mi accennavi al telefono.»

«Troppe cose per una di trentasette anni… vero?»

«Be’, no, sembrerebbe una situazione ideale.»

«Sembrerebbe… sarebbe potuta esserlo… se non ci fosse il sospetto…»

Si bloccò, l’espressione imbarazzata. Sirio la sollecitò:

«Ti va di raccontarmi dall’inizio?».

Marta abbassò gli occhi, prese a giocherellare con le stanghette degli occhiali sul tavolino. Poi si riscosse con un piccolo fremito.

«Ecco, l’inizio.» Adesso sembrava distratta da quelli che passavano sul marciapiede e dalla musica che proveniva dai chioschi di bevande sul lido. «C’è mai un inizio? Si tratta di proporzioni semmai. Da uno stato di felicità si passa all’infelicità cedendo ogni giorno un po’ più di sorrisi a favore di maggiori incertezze e preoccupazioni, e anche dolori… ed è così lento il processo che nemmeno te ne accorgi. Ma hai ragione, ti ho cercato per parlarti di me e chiederti aiuto e dunque da un punto qualsiasi devo incominciare.»

Abbandonò gli occhiali sul tavolo e disse:

«Martina… sì l’ho chiamata col suo stesso nome, piccola Marta… a undici anni, ancora bambina, non rideva più. Io alla sua età ancora ridevo, i bambini devono ridere, non credi anche tu?»

Sirio non rispose e Marta riprese:

«È cambiata all’improvviso quando il mio nuovo marito è venuto a vivere con noi».

«Non capisco… Vi siete sposati senza aver avuto un periodo di convivenza?»

Marta scosse la testa.

«Adesso vedo che tutto è così assurdo… sul momento mi sembrava perfettamente normale. Gianni, quest’uomo che ho sposato, era un mio dipendente… dico era perché adesso mi ha pressoché soppiantata, di fatto è diventato il padrone della mia azienda. Vedi Sirio, dopo aver lasciato Forlì mi iscrissi alla facoltà di medicina, a Milano, in verità senza grandi risultati. Ma ai miei, a Torino, sembrava non importare. I miei erano divorziati e non avevano quasi contatti fra loro; mia madre conviveva con un altro e mio padre pensava unicamente alla sua azienda; e non davano a vedere gliene importasse qualcosa se diventavo un medico o un minatore. A quel tempo frequentavo Sandro, figlio di un imprenditore di Novara, e anche lui non era un gran che come studente. I soldi non ci mancavano e ce la spassavamo… tu sai che intendo.»

Sirio accennò di sì.

«Martina è nata prima o dopo il vostro matrimonio?»

«Dopo, ma era stata concepita prima. Ancora non so spiegarmi come sia accaduto, ma in quel periodo ci facevamo di tutto… uno sballo continuo. Non so, avrò dimenticato di prendere la pillola… comunque è successo. E Sandro, quando gliel’ho detto… la felicità fatta persona… Cominceremo una nuova vitaTi amerò per sempre… Ed era sincero, povero Sandro; subito disintossicazione per me e per lui, subito in chiesa a giurarci fedeltà eterna e reciproco amore fin che morte non ci separi. Quanti buoni propositi, ma poi è sempre il destino che decide per noi.»

Marta fece ondeggiare il bicchiere vuoto.

«Per favore, Sirio, ordinamene un altro.»

Sirio fece un segnale a un cameriere.



Marta sorseggiò dal nuovo drink e accavallò le gambe. Gambe davvero bellissime. Aveva rimesso gli occhiali scuri e spostava la testa, come attratta dal viavai variopinto dei turisti. Appoggiò gli occhiali sul tavolino e prese fra le sue la mano di Sirio.

«Subito dopo il matrimonio con Sandro» disse, lisciandogli distrattamente le dita «prima che Martina nascesse, mio padre è morto. Infarto, fulminante. Era in piedi, assieme ad alcuni dipendenti… mi hanno detto che stava ridendo. È crollato a terra ed era morto.»

«Mi dispiace…»

«No, no» l’interruppe Marta «credo sia stata una bella morte, se mai può essere bella la morte. Se ci pensi… stava bene, era nella sua azienda, che credo sia stata il suo unico amore, addirittura rideva… Nessuna agonia o lunga sofferenza, semplicemente un discendere l’ultimo gradino…»

Marta tornò ad appoggiarsi alla spalliera e scosse di nuovo lentamente la testa.

«Mio padre produceva calzature, scarpe di pregio che esportava perfino in America… Un’azienda piccola ma molto ben condotta. L’indomani del funerale una delegazione di funzionari capitanata da Gianni, quello che sarebbe diventato il mio secondo marito, si è presentata a casa mia. Una mancanza al vertice così improvvisa… ordini da evadere, fornitori che si dovevano pagare… le maestranze allarmate dalla possibilità di perdere il posto di lavoro. Mia madre aveva la sua vita e non ne voleva sapere, così, con la pancia di sette mesi, ho fatto il mio primo  ingresso nell’azienda di mio padre. È stata dura. Un mondo estraneo, sconosciuti che mi consigliavano di vendere questo e comprare quest’altro, roba da decine di migliaia di euro e io che non sapevo se e di chi fidarmi… Poi è nata Martina.»

Marta sorrise, con quell’espressione un po’ amara che le conferivano le due piccole fossette di lato alla bocca; giocherellò qualche istante con le stanghette degli occhiali sul tavolo.

«Sarebbe dovuto essere un momento felice, e forse lo è stato, ma giusto un momento. Con Sandro i rapporti si erano incrinati dopo la morte di mio padre; io tutto il giorno in azienda; e quando rientravo ero stanca; e lui mi accusava di essere scontrosa, e probabilmente aveva anche ragione. Ma la verità è, secondo il mio punto di vista, che anche lui era un figlio di papà allevato nella bambagia com’ero stata io, e adesso non riusciva a crescere, o meglio, non era costretto a crescere, come invece era accaduto a me. Ma basta, per farla breve mi ha mollata e se n’è tornato non so dove a fare la sua vita da studente mantenuto.»

Diede una spinta agli occhiali sul tavolo.

«Scusa, mi sono lasciata andare.»

«Non preoccuparti» le sorrise Sirio «è uno stato d’animo comprensibile. Piuttosto, è mezzogiorno, se hai appetito possiamo spostarci da qualche parte a mangiare qualcosa.»

«Un ristorante? No, no… ti ringrazio, davvero non sono in vena… ma se ti va puoi ordinare due panini da mangiare qui. Preferisco andare avanti a raccontarti la mia storia.»

 

 

La tenda bianca distesa sopra i tavolini del bar a momenti frusciava come una vela. La calura riverberava sull’asfalto dopo il passaggio delle automobili. Qualche tavolo più in là una ragazza rise forte per qualcosa che avevano detto i suoi amici.

«Il mio Sirio» disse Marta dopo aver finito il panino e bevuto un sorso di prosecco «il mio Sirio dal naso sbilenco e la faccia da mascalzone… e col cuore da bambino buono. Te le ricordi le risate che ci facevamo? Che dici, era l’età o eravamo noi?»

«Penso entrambe le cose» sorrise Sirio.

«Eravamo ancora bambini… o almeno io lo ero. Quando si cresce non si ride più.»

Sirio si protese e le strinse la mano. 

«Spiegami questa cosa, Marta. Spiegami perché Martina ha smesso di ridere.»

Marta appoggiò l’altra mano su quella di Sirio e prese ad accarezzargliela soprappensiero:

«L’ho cresciuta da sola, e credo di averle dato un’infanzia felice, malgrado il lavoro, malgrado il tempo che dovevo passare fuori di casa. Ho vissuto per lei, devi credermi. Mai… non dico un uomo, ma uno svago, per sei anni. Poi è successo, e non so nemmeno io spiegarmi come e perché. Gianni si occupava della contabilità. Accadeva rimanessimo in azienda oltre l’orario per discutere qualche problema dell’amministrazione, anche da soli io e lui… e senza che me ne rendessi conto deve essersi insinuato nei miei pensieri e nei miei desideri. Tutto sommato è un bell’uomo… un po’ ingessato… non so se mi spiego, di quelli ogni momento in self-control… Poi una sera è successo. Non chiedermi com’è andata, non saprei risponderti, so che a un certo momento eravamo distesi sul tappeto e lui mi ripeteva di amarmi, di avermi sempre amata e che mi avrebbe amata per sempre. Che dire… all’improvviso ho ritrovato l’allegria, la felicità e la voglia di vivere… e Martina sembrava contenta anche lei e sembrava che Gianni le piacesse. Così, nemmeno un anno, e l’ho sposato.»

«E quando hai notato il mutamento di umore, in Martina?»

«Ecco, questo è il punto» disse Marta «le avevo fatto conoscere Gianni fin da subito… fin da quando il nostro rapporto aveva assunto una sua stabilità, intendo, e lei lo aveva accettato, facevamo delle gite nei fine settimana, io, lei e Gianni, e Gianni passava da noi le serate… e io li vedevo giocare e scherzare assieme. È questo che mi ha tranquillizzata e fatta decidere per il matrimonio. Ma appena Gianni è entrato in casa tutto è cambiato… come ti ho detto.»

Era tornata a distrarsi col viavai della gente e Sirio tornò a stringerle la mano sul tavolino del bar.

«Marta, che cosa mi stai nascondendo?»

«Nulla, ti ho cercato proprio per parlartene… ma non è facile. Una notte mi sono svegliata, forse avevo sete o dovevo andare in bagno… non ha importanza… e Gianni accanto a me non c’era. L’ho sorpreso nello studio davanti al portatile… È stato tutto così rapido… ha abbassato lo schermo e si è voltato a guardarmi, ma rimanendo seduto. Ha accavallato le gambe… Dovevo controllare una cosa sui bilanci, ha detto, mi ha detto di tornarmene a letto che mi avrebbe raggiunta subito…»

«E…?»

«Non ne sono sicura, non sono sicura di niente… è stato tutto così veloce… mi è sembrato ci fossero dei bambini nudi sullo schermo prima che lo abbassasse… e lui era eccitato, ha cercato di nasconderlo incrociando le gambe… ma non sono certa di niente, ripeto.»

«Di sicuro è un sospetto terribile il tuo, di esserti portata in casa un pedofilo avendo una figlia di undici anni. E dov’è Martina adesso?»

«Da mia madre… e Gianni probabilmente in azienda. Adesso capisci in che situazione mi trovo? E c’è dell’altro che debbo dirti.»

 

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1 commento:

Romano Greco ha detto...

Ringrazio Giuditta Parisi per le belle parole di oggi su Twitter

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