venerdì 2 aprile 2021

La signora americana - Raccolta di racconti

 





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Anteprima:

Confidenze di letto

 

 

 

 

 

 

 

Sirio avrebbe saputo consigliarla.

Il venticinque le passò accanto ed Erika fece una corsetta fino alla fermata; in dieci minuti l’avrebbe scaricata in stazione.

Sirio tutto sembrava fuorché un professore, con quel naso da pugile e l’espressione da farabutto. Avevano avuto una relazione, all’incirca quattro mesi addietro. Breve. Perché quando era tornata dalle vacanze invernali già stava con un’altra. Ma gli stavano dietro un po’ tutte, quindi un po’ se l’aspettava. Niente telefonate, niente messaggi, se si escludeva un laconico “buon Natale!”

Comunque nessuna scenata o broncio. Ne avevano parlato civilmente, seduti al tavolino della mensa, durante la pausa pranzo, e avevano convenuto che sarebbero rimasti buoni amici.

Scese dal venticinque e si affrettò verso l’ingresso della stazione ferroviaria.

Da Bologna a Forlì, un’oretta. Per le nove sarebbe stata in facoltà.

Aveva trovato posto accanto al finestrino.

Il Regionale sferragliava, mentre fuori scorrevano campi e casolari, gli alberi in fioritura.

Erika era al primo anno, stava preparando un esame di psicologia e ne aveva già superati un paio con una buona media. Sirio non era un suo docente, l’aveva conosciuto e cominciato a frequentare semplicemente perché esisteva e non potevi non notarlo e non potevi non rimanere ad ascoltare se ti parlava.

Tutt’altra cosa di Moreno, uno grezzo, con la testa rasata e l’orecchino, che le si era messo dietro in discoteca. Dopo uno spinello e qualche bicchiere di birra se l’era ritrovato nel letto. Faceva l’elettricista, veniva da un paese sperduto della Calabria e passava due ore ogni sera in palestra a sollevare pesi. Aveva la fissazione di diventare ricco!

Tra loro andava avanti senza infamia né lode da circa un mese. Qualche cena a base di pizza, qualche drink pomeridiano e qualche serata in discoteca; nel letto, un po’ frettoloso, ma accettabile.

Però!

Se non ci fossero i però la vita sarebbe come il panorama che scorreva fuori dal finestrino del treno, senza suoni. Case, alberi, persone, animali anonimi e fugaci. Insomma, tremendamente monotona.

Ma il però di Moreno la inquietava.

Ne parlerò a Sirio. Lui saprà cosa è meglio fare. Si ripetette.

 

Imbastito sul manichino, il modello aveva perso il suo fascino.

Sabrina, capelli neri legati a coda, quarantadue anni portati con eleganza, ci girò attorno una seconda volta, mentre la sarta l’osservava con il puntaspilli a mezz’aria.

«Non ti piace?» le chiese la sarta.

«Me l’aspettavo diverso. Forse è il tessuto, forse la fantasia… oppure il colore…»

Le squillò il telefonino e si voltò per rispondere: «Michele?»

«Senti,» rispose suo marito, «non vengo per pranzo, devo vedere il direttore della banca e poi quelli dell’ufficio acquisti di un’azienda che vuole rinnovare il parco macchine…»

«Come mai il direttore di banca?» l’interruppe, «altri problemi?»

«Niente che non posso gestire,» tagliò corto Michele, e chiuse.

Durante la telefonata la sarta era tornata al banco da lavoro e Sabrina la raggiunse.

«Prova a tagliarlo su velluto di cotone e poi chiamami,» le disse, avviandosi verso gli uffici.

Suo marito stava diventando una preoccupazione. Da qualche parte doveva esserci un’emorragia: soldi che uscivano, senza che lei avesse idea di dove finissero. Era già dovuta intervenire per risanare i bilanci del suo autosalone ed evitargli la bancarotta. Quando si erano sposati, cinque anni prima, lei aveva il proprio atelier e lui l’attività di rivendita di automobili d’occasione; ciascuno aveva seguitato a curare i propri affari in maniera indipendente, conservando i vecchi conti bancari; anche quelli personali. Di comune accordo si erano limitati a creare una cassa per le spese del menage familiare. Quindi Sabrina non aveva idea di quanto guadagnasse e di che fine facesse fare ai suoi soldi. Che si permettesse una vita dispendiosa lo vedeva, che potesse avere un’amante – una sanguisuga – non lo escludeva, che non sapesse amministrarsi lo dava ormai per scontato.

I sentimenti avevano poco o niente a che vedere in tutto questo. Entrambi erano gente pratica. Si erano conosciuti e amati – o avevano creduto di amarsi – poi la passione era scivolata nel disinteresse, quindi nell’indifferenza. Ormai andavano avanti per inerzia.

Quante volte succede?

Inerzia! Pensò che era la parola più appropriata.

Non avevano mai nemmeno considerato l’ipotesi di una separazione o del divorzio. Non ce n’era motivo, perché nemmeno litigavano. Poi, un giorno, un paio d’anni prima, le aveva chiesto di aiutarlo a rialzarsi, proprio così aveva detto.  Le aveva raccontato di aver contratto dei debiti con un istituto di credito, ipotecando i locali dell’autosalone, e se non avesse pagato entro la scadenza fissata, avrebbe perso tutto. Chiaramente lei aveva ripianato i suoi ammanchi, ma la cosa si era ripetuta a distanza di un anno e Sabrina era dovuta intervenire di nuovo.

Adesso riconosceva le premesse per una terza richiesta di aiuto.

Era combattuta. Per un verso era ben decisa a non lasciarsi coinvolgere e addirittura, se del caso, a dare un taglio netto al matrimonio, prima di venir trascinata in chi sa quale complicazione. Dall’altro esitava, e se fossero soltanto fantasie? si diceva.

La curiosità di scoprire se i sospetti fossero fondati era più forte del senso pratico, per adesso. Comunque non avrebbe aspettato che gli eventi le precipitassero addosso, un sistema per scoprire come stessero effettivamente le cose lo poteva trovare.

Aveva in animo di far svolgere qualche indagine da un’agenzia investigativa, prima di prendere una decisione definitiva.

 

Erika, sotto la trapunta, si strofinò al corpo nudo di Sirio.

 «Sono una donna,» disse, «che ci vedi di strano se sono curiosa?»

Il braccio dietro la nuca gli formicolava e Sirio lo tolse e si aggiustò meglio sul cuscino addossato alla spalliera, Erika si accomodò alla nuova posizione.

«Insomma,» disse Sirio, «questo tuo Moreno parla nel sonno…»

«Non hai capito,» gli rispose piccata.

«Diciamo che ho capito ma non mi convince.»

«Eppure non è così strano. Lui, dopo aver fatto l’amore, comincia a raccontare. Di solito racconta dell’infanzia, o degli amici, o di qualche altra cosa… e mentre racconta diciamo che va in trance…»

«Ma come in trance… si addormenta, vuoi dire.»

«Uffa Sirio. Uno che si addormenta si mette a russare. Quand’anche parlasse nel sonno direbbe frasi sconclusionate e poi, se lo svegli e gli domandi, lui risponderebbe che sognava e ti racconterebbe il sogno…»

«Allora un dormiveglia.»

«Nemmeno. Perché lui non farfuglia, ha la voce limpida, racconta tutto chiaramente e alla fine, prima di addormentarsi, dice Adesso dormo. Tutto qui! Ma la cosa più importante è il foglietto!»

«Ecco, il foglietto,» Sirio si appoggiò sul gomito, «perché tu sei curiosa e gli hai frugato in tasca e l’hai trovato. Un disegno fatto a mano con su scritto “armadio frigo”, “ufficio”, “atelier”, “4343” e “telecamera”.»

«Be’, ma la confessione resa in trance, più il biglietto fanno una prova.»

Sirio si mise a ridere.

«Ragazzina, hai fatto due esami e già ti senti una criminologa.»

Erika gli mollò un pugno nel fianco: «Ti odio».

«Allora spicciatela da sola,» scherzò Sirio.

«Ma dai. Se sono venuta da te è perché non so cosa fare. Mica posso andare alla polizia, no? E che gli racconto? A dir poco mi prendono per scema.»

Finalmente erano arrivati al punto centrale della questione. Sirio la spronò:

«Allora smettila di girarci attorno e riferiscimi esattamente come stanno le cose».

«Va bene, ti racconto tutto parola per parola. Ieri sera io e Moreno siamo stati a ballare, abbiamo fatto le tre, lui si è fumato di tutto. Quando siamo usciti dal locale parlava a raffica e, appena arriviamo a casa mia, lui mi butta sul divano e… insomma… hai capito,» fece rotolare l’indice a mezz’aria, «comunque, dopo, non la smetteva più di straparlare… Stava con gli occhi chiusi come se dormisse, intanto continuava a… Bla bla bla. E mi fa, Se quello si decide, divento ricco in un’ora. La moglie ha una pellicceria… un mucchio di soldi… in certi momenti le parole non si capivano, ma il senso era chiaro… e continua, Il marito mi passa le chiavi, entro e porto via tutto. Sei strafatto e vaneggi gli dicevo io. E lui, Strafatto, sì… mi si rigira lo stomaco e la testa… ma mica scemo. Allora gli ho domandato, Perché il marito avrebbe scelto proprio te? E lui, Perché sono elettricista. Posso disconnettere gli allarmi e le telecamere… Chi glielo farebbe? Ho cercato di farlo ragionare, Moreno, gli ho detto, lascia perdere, non mi piace… Invece lui s’è arrabbiato, Sei scema, mi fa, con tutti i soldi che mi ha promesso la posso pure ammazzare la sua Sabrina. Poi ha vomitato sul mio divano e stamattina non ricordava più niente. Non so che pensare… Visto mai che lui o il marito uccidono sul serio quella della pellicceria. Tu che ne pensi?»

Sirio non rispose. Rimase assorto qualche istante poi disse:

«Ripensavo alle tue parole, in trance, e ho fatto una associazione d’idee. Senti, tu hai visto il film Salon Kitty di Tinto Brass?»

«Non guardo certi film… io!»

«Be’, è ambientato in un postribolo di Berlino durante l’ultima guerra. Si basa sul presupposto che l’intimità che si instaura durante un rapporto amoroso spinga alla confidenza. Nel film diventa lo strumento per carpire ai gerarchi nazisti i cosiddetti segreti di letto, di smascherare i traditori sulla base di confessioni rilasciate in tutta buona fede.»

«Però non mi hai risposto. Per quanto riguarda Moreno?»

«Diciamo che voglio assicurarmi che non fossero allucinazioni. Poi ci regoleremo di conseguenza.»

 

Sabrina stava ritoccando il figurino di un tailleur e cercava di immaginarlo indosso a una donna reale. La moda si trasforma in continuazione, con flussi e riflussi, come li chiamano gli addetti ai lavori, e lei intendeva proporre un revival anni ‘50 contaminato da fantasie orientalizzanti.

Dal momento che Michele non era rientrato a casa per pranzo, aveva consumato un tramezzino al bar ed era tornata in ufficio. Adesso, intorno alle tre del pomeriggio, le era venuto un po’ di languore allo stomaco. Allungò la mano verso l’interfono per chiedere che le preparassero un caffè, ma squillò prima:

«C’è una chiamata per te. Un uomo. Non ha voluto dire come si chiama».

«Va bene, passamelo.»

«Sabrina?»

Questa voce… Impossibile!

«Sirio?!»

«Bravissima!»

«Ma come hai fatto a trovarmi, dopo tutti questi anni.»

«Almeno dieci.»

«Già. Tu ancora studiavi… quella materia strana. Ti sei poi laureato?»

«Adesso sono io a insegnarla, la materia strana.»

Sabrina lo sentì ridere. La voce non era cambiata di molto, leggermente più greve, forse. Una relazione durata non più di cinque o sei incontri. Fece un rapido calcolo. Se lei adesso andava per i quarantadue, lui doveva averne intorno ai trentatré o trentaquattro. Si erano conosciuti in fila al botteghino di un cinema, a Bologna, una sera che pioveva e lui le sgrondava l’ombrello sulle scarpe. Non che lo stesse facendo di proposito ma, dopo qualche scusa e qualche sorriso se l’era ritrovato nella poltrona accanto e non era più riuscita a scrollarselo di dosso. Nessuna recriminazione. Erano stati bene, il tempo che era durata la loro relazione. Poi era finita, punto e basta. Invece adesso si stava ripetendo la stessa situazione.

«Sabrina, ti devo parlare, ma per telefono è complicato. Dobbiamo incontrarci, pensavo di invitarti a cena.»

«Parlarmi? E di cosa! Vedi che sono sposata.»

«No, non mi fraintendere. È una questione che ti riguarda, molto delicata, dobbiamo incontrarci.»

L’insistenza la stava irritando e glielo disse.

«Il codice di sblocco dell’impianto antifurto da digitare sulla pulsantiera che si trova a destra del portoncino di accesso agli uffici che stanno al piano superiore del tuo atelier è 4343,» le disse tutto d’un fiato.

Subentrò una lunga pausa di silenzio.

«Sirio,» gli chiese, «ma cosa sta succedendo? Che ne sai tu delle mie faccende riservate?»

«In effetti ho solo un quadro d’insieme abbastanza nebuloso. Dai pochi elementi che mi sono stati riferiti, ritengo ci sia qualcuno che vuole farti del male. Ripeto, dobbiamo discuterne a quattr’occhi. Ho bisogno di alcune precisazioni che soltanto tu puoi fornirmi. Dobbiamo incontrarci.»

«Certo… certo. Ti aspetto qui, allora.»

«Parto immediatamente da Forlì e sarò a Bologna entro un’ora. Un’altra cosa, la questione tempo… Non so esattamente quando intendano agire. Potrebbe essere oggi stesso… e siamo impreparati.»

«Hanno in animo di agire… Chi, per fare cosa? Siamo impreparati? Sirio, ma di che parli?»

«Sabrina, ti fidi di me?»

«Devo dire che mi stai terrorizzando. Comunque sì, mi fido.»

«Allora devi procurare delle apparecchiature, nell’ora che impiegherò ad arrivare.»

«Capisco… Anzi, non capisco! Ma sta bene. Invia un elenco al mio indirizzo di posta elettronica.»

Glielo dettò.






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