Confidenze
di letto
Sirio
avrebbe saputo consigliarla.
Il venticinque le passò accanto ed Erika fece
una corsetta fino alla fermata; in dieci minuti l’avrebbe scaricata in stazione.
Sirio tutto sembrava fuorché un professore,
con quel naso da pugile e l’espressione da farabutto. Avevano avuto una
relazione, all’incirca quattro mesi addietro. Breve. Perché quando era tornata
dalle vacanze invernali già stava con un’altra. Ma gli stavano dietro un po’
tutte, quindi un po’ se l’aspettava. Niente telefonate, niente messaggi, se si
escludeva un laconico “buon Natale!”
Comunque nessuna scenata o broncio. Ne
avevano parlato civilmente, seduti al tavolino della mensa, durante la pausa
pranzo, e avevano convenuto che sarebbero rimasti buoni amici.
Scese dal venticinque e si affrettò verso
l’ingresso della stazione ferroviaria.
Da Bologna a Forlì, un’oretta. Per le nove
sarebbe stata in facoltà.
Aveva trovato posto accanto al finestrino.
Il Regionale
sferragliava, mentre fuori scorrevano campi e casolari, gli alberi in
fioritura.
Erika era al primo anno, stava preparando un
esame di psicologia e ne aveva già superati un paio con una buona media. Sirio
non era un suo docente, l’aveva conosciuto e cominciato a frequentare
semplicemente perché esisteva e non potevi non notarlo e non potevi non
rimanere ad ascoltare se ti parlava.
Tutt’altra cosa di Moreno, uno grezzo, con la
testa rasata e l’orecchino, che le si era messo dietro in discoteca. Dopo uno
spinello e qualche bicchiere di birra se l’era ritrovato nel letto. Faceva
l’elettricista, veniva da un paese sperduto della Calabria e passava due ore
ogni sera in palestra a sollevare pesi. Aveva la fissazione di diventare ricco!
Tra loro andava avanti senza infamia né lode
da circa un mese. Qualche cena a base di pizza, qualche drink pomeridiano e
qualche serata in discoteca; nel letto, un po’ frettoloso, ma accettabile.
Però!
Se non ci fossero i però la vita sarebbe come
il panorama che scorreva fuori dal finestrino del treno, senza suoni. Case,
alberi, persone, animali anonimi e fugaci. Insomma, tremendamente monotona.
Ma il però di Moreno la inquietava.
Ne
parlerò a Sirio. Lui saprà cosa è meglio fare. Si ripetette.
Imbastito
sul manichino, il modello aveva perso il suo fascino.
Sabrina, capelli neri legati a coda,
quarantadue anni portati con eleganza, ci girò attorno una seconda volta,
mentre la sarta l’osservava con il puntaspilli a mezz’aria.
«Non ti piace?» le chiese la sarta.
«Me l’aspettavo diverso. Forse è il tessuto,
forse la fantasia… oppure il colore…»
Le squillò il telefonino e si voltò per
rispondere: «Michele?»
«Senti,» rispose suo marito, «non vengo per
pranzo, devo vedere il direttore della banca e poi quelli dell’ufficio acquisti
di un’azienda che vuole rinnovare il parco macchine…»
«Come mai il direttore di banca?»
l’interruppe, «altri problemi?»
«Niente che non posso gestire,» tagliò corto
Michele, e chiuse.
Durante la telefonata la sarta era tornata al
banco da lavoro e Sabrina la raggiunse.
«Prova a tagliarlo su velluto di cotone e poi
chiamami,» le disse, avviandosi verso gli uffici.
Suo marito stava diventando una
preoccupazione. Da qualche parte doveva esserci un’emorragia: soldi che
uscivano, senza che lei avesse idea di dove finissero. Era già dovuta
intervenire per risanare i bilanci del suo autosalone ed evitargli la
bancarotta. Quando si erano sposati, cinque anni prima, lei aveva il proprio
atelier e lui l’attività di rivendita di automobili d’occasione; ciascuno aveva
seguitato a curare i propri affari in maniera indipendente, conservando i
vecchi conti bancari; anche quelli personali. Di comune accordo si erano
limitati a creare una cassa per le spese del menage familiare. Quindi Sabrina
non aveva idea di quanto guadagnasse e di che fine facesse fare ai suoi soldi.
Che si permettesse una vita dispendiosa lo vedeva, che potesse avere un’amante
– una sanguisuga – non lo escludeva, che non sapesse amministrarsi lo dava
ormai per scontato.
I sentimenti avevano poco o niente a che
vedere in tutto questo. Entrambi erano gente pratica. Si erano conosciuti e
amati – o avevano creduto di amarsi – poi la passione era scivolata nel
disinteresse, quindi nell’indifferenza. Ormai andavano avanti per inerzia.
Quante volte succede?
Inerzia! Pensò che era la parola più
appropriata.
Non avevano mai nemmeno considerato l’ipotesi
di una separazione o del divorzio. Non ce n’era motivo, perché nemmeno
litigavano. Poi, un giorno, un paio d’anni prima, le aveva chiesto di aiutarlo
a rialzarsi, proprio così aveva detto.
Le aveva raccontato di aver contratto dei debiti con un istituto di
credito, ipotecando i locali dell’autosalone, e se non avesse pagato entro la
scadenza fissata, avrebbe perso tutto. Chiaramente lei aveva ripianato i suoi
ammanchi, ma la cosa si era ripetuta a distanza di un anno e Sabrina era dovuta
intervenire di nuovo.
Adesso riconosceva le premesse per una terza
richiesta di aiuto.
Era combattuta. Per un verso era ben decisa a
non lasciarsi coinvolgere e addirittura, se del caso, a dare un taglio netto al
matrimonio, prima di venir trascinata in chi sa quale complicazione. Dall’altro
esitava, e se fossero soltanto fantasie? si diceva.
La curiosità di scoprire se i sospetti
fossero fondati era più forte del senso pratico, per adesso. Comunque non
avrebbe aspettato che gli eventi le precipitassero addosso, un sistema per
scoprire come stessero effettivamente le cose lo poteva trovare.
Aveva
in animo di far svolgere qualche indagine da un’agenzia investigativa, prima di
prendere una decisione definitiva.
Erika,
sotto la trapunta, si strofinò al corpo nudo di Sirio.
«Sono
una donna,» disse, «che ci vedi di strano se sono curiosa?»
Il braccio dietro la nuca gli formicolava e
Sirio lo tolse e si aggiustò meglio sul cuscino addossato alla spalliera, Erika
si accomodò alla nuova posizione.
«Insomma,» disse Sirio, «questo tuo Moreno
parla nel sonno…»
«Non hai capito,» gli rispose piccata.
«Diciamo che ho capito ma non mi convince.»
«Eppure non è così strano. Lui, dopo aver
fatto l’amore, comincia a raccontare. Di solito racconta dell’infanzia, o degli
amici, o di qualche altra cosa… e mentre racconta diciamo che va in trance…»
«Ma come in trance… si addormenta, vuoi
dire.»
«Uffa Sirio. Uno che si addormenta si mette a
russare. Quand’anche parlasse nel sonno direbbe frasi sconclusionate e poi, se
lo svegli e gli domandi, lui risponderebbe che sognava e ti racconterebbe il
sogno…»
«Allora un dormiveglia.»
«Nemmeno. Perché lui non farfuglia, ha la
voce limpida, racconta tutto chiaramente e alla fine, prima di addormentarsi,
dice Adesso dormo. Tutto qui! Ma la cosa più importante è il foglietto!»
«Ecco, il foglietto,» Sirio si appoggiò sul gomito,
«perché tu sei curiosa e gli hai frugato in tasca e l’hai trovato. Un disegno
fatto a mano con su scritto “armadio frigo”, “ufficio”, “atelier”, “4343” e
“telecamera”.»
«Be’, ma la confessione resa in trance, più
il biglietto fanno una prova.»
Sirio si mise a ridere.
«Ragazzina, hai fatto due esami e già ti
senti una criminologa.»
Erika gli mollò un pugno nel fianco: «Ti
odio».
«Allora spicciatela da sola,» scherzò Sirio.
«Ma dai. Se sono venuta da te è perché non so
cosa fare. Mica posso andare alla polizia, no? E che gli racconto? A dir poco
mi prendono per scema.»
Finalmente erano arrivati al punto centrale
della questione. Sirio la spronò:
«Allora smettila di girarci attorno e
riferiscimi esattamente come stanno le cose».
«Va bene, ti racconto tutto parola per
parola. Ieri sera io e Moreno siamo stati a ballare, abbiamo fatto le tre, lui
si è fumato di tutto. Quando siamo usciti dal locale parlava a raffica e,
appena arriviamo a casa mia, lui mi butta sul divano e… insomma… hai capito,»
fece rotolare l’indice a mezz’aria, «comunque, dopo, non la smetteva più di
straparlare… Stava con gli occhi chiusi come se dormisse, intanto continuava a…
Bla bla bla. E mi fa, Se quello si decide, divento ricco in un’ora. La moglie
ha una pellicceria… un mucchio di soldi… in certi momenti le parole non si
capivano, ma il senso era chiaro… e continua, Il marito mi passa le chiavi,
entro e porto via tutto. Sei strafatto e vaneggi gli dicevo io. E lui,
Strafatto, sì… mi si rigira lo stomaco e la testa… ma mica scemo. Allora gli ho
domandato, Perché il marito avrebbe scelto proprio te? E lui, Perché sono
elettricista. Posso disconnettere gli allarmi e le telecamere… Chi glielo
farebbe? Ho cercato di farlo ragionare, Moreno, gli ho detto, lascia perdere,
non mi piace… Invece lui s’è arrabbiato, Sei scema, mi fa, con tutti i soldi
che mi ha promesso la posso pure ammazzare la sua Sabrina. Poi ha vomitato sul
mio divano e stamattina non ricordava più niente. Non so che pensare… Visto mai
che lui o il marito uccidono sul serio quella della pellicceria. Tu che ne
pensi?»
Sirio non rispose. Rimase assorto qualche
istante poi disse:
«Ripensavo alle tue parole, in trance, e ho
fatto una associazione d’idee. Senti, tu hai visto il film Salon Kitty di Tinto
Brass?»
«Non guardo certi film… io!»
«Be’, è ambientato in un postribolo di
Berlino durante l’ultima guerra. Si basa sul presupposto che l’intimità che si
instaura durante un rapporto amoroso spinga alla confidenza. Nel film diventa
lo strumento per carpire ai gerarchi nazisti i cosiddetti segreti di letto, di
smascherare i traditori sulla base di confessioni rilasciate in tutta buona
fede.»
«Però non mi hai risposto. Per quanto
riguarda Moreno?»
«Diciamo
che voglio assicurarmi che non fossero allucinazioni. Poi ci regoleremo di conseguenza.»
Sabrina
stava ritoccando il figurino di un tailleur e cercava di immaginarlo indosso a
una donna reale. La moda si trasforma in continuazione, con flussi e riflussi,
come li chiamano gli addetti ai lavori, e lei intendeva proporre un revival
anni ‘50 contaminato da fantasie orientalizzanti.
Dal momento che Michele non era rientrato a
casa per pranzo, aveva consumato un tramezzino al bar ed era tornata in
ufficio. Adesso, intorno alle tre del pomeriggio, le era venuto un po’ di
languore allo stomaco. Allungò la mano verso l’interfono per chiedere che le
preparassero un caffè, ma squillò prima:
«C’è una chiamata per te. Un uomo. Non ha
voluto dire come si chiama».
«Va bene, passamelo.»
«Sabrina?»
Questa voce… Impossibile!
«Sirio?!»
«Bravissima!»
«Ma come hai fatto a trovarmi, dopo tutti
questi anni.»
«Almeno dieci.»
«Già. Tu ancora studiavi… quella materia
strana. Ti sei poi laureato?»
«Adesso sono io a insegnarla, la materia
strana.»
Sabrina lo sentì ridere. La voce non era
cambiata di molto, leggermente più greve, forse. Una relazione durata non più
di cinque o sei incontri. Fece un rapido calcolo. Se lei adesso andava per i
quarantadue, lui doveva averne intorno ai trentatré o trentaquattro. Si erano
conosciuti in fila al botteghino di un cinema, a Bologna, una sera che pioveva
e lui le sgrondava l’ombrello sulle scarpe. Non che lo stesse facendo di
proposito ma, dopo qualche scusa e qualche sorriso se l’era ritrovato nella
poltrona accanto e non era più riuscita a scrollarselo di dosso. Nessuna
recriminazione. Erano stati bene, il tempo che era durata la loro relazione.
Poi era finita, punto e basta. Invece adesso si stava ripetendo la stessa
situazione.
«Sabrina, ti devo parlare, ma per telefono è
complicato. Dobbiamo incontrarci, pensavo di invitarti a cena.»
«Parlarmi? E di cosa! Vedi che sono sposata.»
«No, non mi fraintendere. È una questione che
ti riguarda, molto delicata, dobbiamo incontrarci.»
L’insistenza la stava irritando e glielo
disse.
«Il codice di sblocco dell’impianto antifurto
da digitare sulla pulsantiera che si trova a destra del portoncino di accesso
agli uffici che stanno al piano superiore del tuo atelier è 4343,» le disse
tutto d’un fiato.
Subentrò una lunga pausa di silenzio.
«Sirio,» gli chiese, «ma cosa sta succedendo?
Che ne sai tu delle mie faccende riservate?»
«In effetti ho solo un quadro d’insieme
abbastanza nebuloso. Dai pochi elementi che mi sono stati riferiti, ritengo ci
sia qualcuno che vuole farti del male. Ripeto, dobbiamo discuterne a
quattr’occhi. Ho bisogno di alcune precisazioni che soltanto tu puoi fornirmi.
Dobbiamo incontrarci.»
«Certo… certo. Ti aspetto qui, allora.»
«Parto immediatamente da Forlì e sarò a
Bologna entro un’ora. Un’altra cosa, la questione tempo… Non so esattamente
quando intendano agire. Potrebbe essere oggi stesso… e siamo impreparati.»
«Hanno in animo di agire… Chi, per fare cosa?
Siamo impreparati? Sirio, ma di che parli?»
«Sabrina, ti fidi di me?»
«Devo dire che mi stai terrorizzando.
Comunque sì, mi fido.»
«Allora devi procurare delle apparecchiature,
nell’ora che impiegherò ad arrivare.»
«Capisco… Anzi, non capisco! Ma sta bene.
Invia un elenco al mio indirizzo di posta elettronica.»
Glielo
dettò.
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