Venerdì ventitré ottobre, davanti
al cristallo della biglietteria, Cindy, dopo quanto era accaduto, non si trovava
dell’umore giusto per fare conversazione; soprattutto con uno che voleva
attaccare discorso. Per lei non si trattava esattamente di una gita di piacere.
«Va bene» disse
«se diretto da Bologna per Palermo non c’è, farò scalo a Roma. Mi faccia le
prenotazioni. Posto singolo su tutt’e due i treni» precisò.
L’operatore oltre
il cristallo della biglietteria consultò il suo schermo ben informato: «Oggi è
venerdì, nei fine settimana c’è sempre il pienone, mi dispiace, non è
possibile».
E se ti dispiace, che ci trovi da ridere?
Cindy trattenne la
voce: «Come dice? Che cosa non è possibile?»
L’operatore, con
gli occhiali da miope calati sulla punta del naso, stava indicando qualcosa sul
monitor, qualcosa che vedeva soltanto lui:
«È rimasto un
unico posto da Roma per Palermo sul treno in coincidenza, ma è contrapposto a
un altro. C’è il ripiano nel mezzo… ma potrebbe non essere un male, a volte si
incontrano tipi simpatici, si fanno amicizie…»
E avanti così.
Alle spalle di
Cindy non c’era fila e questo, nel cervello dell’operatore, un tipo sui cinquanta
dagli occhietti furbi, uno di quelli che con le donne lasciano cadere qui e là
battutine a doppio senso, doveva rappresentare un ottimo incentivo per provare
ad attaccare discorso. Nell’attesa che i suoi apparecchi stampassero i
biglietti non la finiva più. Lei invece non era in vena di ascoltare fesserie.
Appena glieli porse, ritirò i ticket e gli voltò le spalle.
Il Regionale veloce delle nove e
quarantacinque da Bologna per Roma aspettava sul binario.
Individuò il
proprio posto a metà vagone, rifiutò con un grazie
la proposta di aiuto da parte di un tipo tozzo palestrato e sistemò da sé la
piccola valigia sulla cappelliera. Si mise comoda e accavallò le gambe. Sul
marciapiede di stazione gente che andava e gente che aspettava, trolley
trascinati, fidanzati che si scambiavano piccole effusioni.
Il treno si avviò,
uscì di stazione serpeggiando sugli scambi e prese velocità; Cindy chiuse gli
occhi: suo fratello giaceva in una bara.
Ventidue anni!
Sirio,
il ventitré di ottobre, si trovava ancora a Roma, mentre a Forlì il professor
Anselmo Urbani, lisciandosi pensieroso nel pugno il pizzetto candido seguiva i
percorsi intricati di un labirinto invisibile fra credenze, tavoli e sedie del
soggiorno di casa. Erano quasi le undici, il tempo stringeva e l’impazienza lo
sollecitava a telefonargli, mentre la prudenza lo frenava.
La mattina precedente, più o meno a quest’ora, l’aveva
chiamato la giudice Ornella Peres, la sua affascinante amica romana, dirigente
superiore della sezione Audit, come
veniva chiamato con termine moderno l’ufficio di controllo sull’operato dei
magistrati allocato presso la Corte dei Conti. Si conoscevano da svariati anni,
nel corso dei quali Ornella si era avvalsa a più riprese delle sue competenze
criminologiche.
«Anselmo» era entrata in argomento, dopo qualche scambio di
battute sul carico di lavoro e il tempo, che a Roma si manteneva sul bello,
mentre a Forlì era perfettamente allineato alla stagione «avrei bisogno del tuo
aiuto per una consulenza professionale.»
Il professore si era allertato. Il tempo uggioso al di là dei
vetri gli si ripercuoteva nell’umore e nelle ossa: «Certo, di cosa si tratta?»
«Una verifica, su un magistrato, ma riservata. È un mio
amico… a Palermo.»
A Palermo…?!
Il professore si era affrettato a tossire.
«Cos’è, sei raffreddato?»
Un colpo di tosse più forte: «Ornella, sì».
«Hai febbre?»
Pro bona causa est, aveva ragionato il professore, e
aveva seguitato a mentire: «Oltre quaranta!»
«Oh… mi dispiace. Allora, quand’è così…»
«No no, Ornella, aspetta.»
Non poteva deludere Ornella, la loro lunga amicizia.
«Sirio» aveva promesso «è a Roma. Sarà felice di passare da
te… lo conosci, è capace… spiega tutto a lui.»
La risposta aveva tardato qualche secondo ma era arrivata:
«Va bene, se me lo suggerisci tu…! Digli di venirmi a trovare allora, lo
aspetto. Tu riguardati».
Gli era scappato di tossire di nuovo, per l’imbarazzo questa
volta: «Grazie Ornella».
Tutto
questo ieri, giovedì ventidue all’incirca a quest’ora, ma adesso, nello spazio
angusto fra il divano e la poltrona, il professor Anselmo Urbani smise di
lisciarsi il pizzetto nel pugno e si fermò interdetto. Per un verso era
curioso, e quindi impaziente di chiamare Sirio; d’altro canto era titubante; ed
esitava. Ma c’era un treno da Roma per Palermo a mezzogiorno, fra un’ora, e
doveva sapere se Sirio intendeva salirci.
Ruppe gli indugi e inviò la chiamata.
«Ah professore, qual buon vento?» Rispose Sirio col vivavoce
inserito.
Urbani si lasciò sfuggire un colpetto di tosse: «Allora…?»
«Allora cosa? Ah, lei vuol sapere se sono passato dalla
giudice Peres! Magari apprendere l’oggetto della missione che voleva affidarle
a Palermo…! Ed è perfino curioso se ho accettato.»
Demonio…! Ci si
diverte.
Il professor Anselmo Urbani tossicchiò d’impazienza, si
spostò fino alla cucina e tornò in soggiorno, si strizzò più forte il pizzo bianco
della barba.
«Sirio… Allora?»
Nessuna risposta, rumori di un tramestio.
«Insomma Sirio, ci sei passato da Ornella stamattina?»
«No.»
Urbani avvampò. L’aveva accolto sotto la propria ala
protettrice fin dal primo giorno, insegnato le basi essenziali, fatto di lui un
profiler… e di buon livello, anche, e adesso… adesso lo pugnalava alle spalle!
«No…?» Chiese deluso e irritato allo stesso tempo.
Dovette aspettate qualche secondo la risposta di Sirio.
«Ci siamo incontrati ieri a pranzo e adesso vado di fretta…
perché ho la prenotazione sul treno per Palermo che parte fra un’ora… e devo
finire di riempire il trolley.»
«Ah» sospirò il professore tranquillizzato «e dimmi… lei…?»
Che fosse caduta la linea?
No. Sentiva rumori di sportelli e cassetti aperti e richiusi.
Finalmente Sirio rispose: «Dunque…»
«Dunque?»
Dovette aspettare ben più di un minuto prima che Sirio si
decidesse: «E va bene, la richiamo appena sono in tassì e le racconto».
Sirio
l’aveva vista venirgli incontro nella saletta d’attesa dedicata ai visitatori
al piano terreno del palazzo della Corte dei Conti.
Lo charme della giudice Ornella Peres era di quelli che
traspariscono dal sorriso, si irradiano dallo scintillio degli occhi, ti
avviluppano col gesticolare discreto delle mani, ti conquistano col modo di spingere
avanti i passi. Con funzioni di dirigente superiore presso la Sezione Audit della Corte dei Conti,
Sirio, che il professor Urbani portava al seguito già dal primo anno di
facoltà, l’aveva conosciuta nel corso di svariate indagini svolte dal
professore per suo conto.
Gli aveva teso la mano. Piccola mano dalla stretta energica
della giudice Peres.
«Mi perdoni se l’ho fatta aspettare» esordì, poi aggiunse «e
l’amico Anselmo…? L’ho sentito al telefono, poc’anzi, mi diceva di essere influenzato.»
Bugiardo di un
professore!
«Meglio, adesso meglio. Le manda i suoi saluti.»
Ornella Peres aveva guardato l’orologio da polso.
«Senta Sirio, sono le tredici, che ne dice se ce ne andiamo a
scambiare due chiacchiere davanti a un bel piatto di spaghetti?»
Avevano trovato posto a un tavolino pressato fra gli altri.
Il ristorante era gremito di impiegati ministeriali e dipendenti della zona.
Ornella Peres gli aveva rivolto un sorriso mesto: «Sua
sorella?»
Emma era uscita da poco da un coma che si temeva
irreversibile.
«Si va riprendendo» rispose Sirio.
Ornella Peres distolse qualche momento lo sguardo: «Be’…
veniamo a noi. L’indagine che le chiedo per me rappresenta, vorrei dire, un
caso di coscienza. Lei sa che il mio Ufficio è preposto a vigilare sulla
correttezza nell’applicazione degli iter procedurali nei vari tribunali e
apparati della giustizia sul territorio nazionale. Ora, da Palermo, a più
riprese, sono pervenute segnalazioni, da parte di magistrati e dirigenti,
relative a fughe di notizie, smarrimento di documenti, ritardi nelle
comunicazioni, oppure nella trasmissione di Atti d’ufficio… Irregolarità
amministrative, peccati veniali, se vogliamo, ancora su un limite di confine
con il reato penale. Per altri versi sintomi: segnali che possono nascondere la
corruzione, indizi che possono celare connivenze».
Sirio le chiese: «Processi falsati?»
«È quanto si sospetta.»
«Un nome in particolare?»
«Giudice Giorgio Cordaci. Un mio carissimo amico.»
Sirio soppesò le ultime parole: «Se si sta rivolgendo a me…
in qualità di alter ego del professor
Urbani, significa che sono state effettuate verifiche per le vie ufficiali dai
suoi ispettori. E che le risultanze non la soddisfano».
«Esatto. Avevo nominato una commissione d’inchiesta, che ha
vagliato la documentazione concernente i presunti abusi. Non soltanto laddove
si poteva presupporre lo sconfinamento in reati di carattere penale, ma anche
dove poteva sorgere un pur minimo sospetto di connessioni mafiose. Non
dimentichi che parliamo di Palermo. E devo confidarle che in queste indagini
sono stati interessati perfino i Carabinieri e la Guardia di Finanza.»
«E le prove?»
«Prove no, altrimenti l’avrebbero arrestato, ma sospetti sì…
che sembrano fondati.»
«Capisco.»
Sirio aveva arrotolato gli spaghetti ma non si decideva a
portarli alla bocca.
«E questi sospetti fondati presuppongono l’allontanamento del
giudice Giorgio Cordaci?»
«Già!»
Sirio appoggiò la forchetta nel piatto.
«Senta, giudice Peres… mentre parlava, le mie associazioni di
idee hanno percorso itinerari forse curiosi. E il processo logico di causa
effetto, alla fine, nella mia testa, si è condensato in un’unica parola: Sbocciare. Non riferito ai fiori però,
bensì al gioco delle bocce...! Cioè scalzare la biglia avversaria con la
propria mediante un tiro violento. Forse è quanto stanno cercando di fare al
suo amico».
«È ciò che temo. Per questo ho bisogno di aiuto.»
Sirio sorseggiò dal calice del vino: «Cosa si aspetta da me?»
«Sirio» gli prese la mano sul tavolo «il giudice Giorgio Cordaci
è un mio amico e se mi sono rivolta a Urbani, e adesso a lei, è perché mi
aspetto, se possibile, indagini discrete che comprovino la sua estraneità,
oppure un inequivocabile coinvolgimento. Soltanto allora potrei dare corso ai
provvedimenti disciplinari del caso. Sirio, le faccio una confidenza, ho incontrato
Giorgio sui banchi di scuola, è stato uno dei miei primi amori, lo conosco… o meglio
mi sento di affermare di conoscerlo quanto me stessa, e non posso credere… non
ci riesco, che sia cambiato fino al punto da spalleggiare dei criminali.
Piuttosto sono propensa a concordare con lei sulla tesi che una persona onesta,
in un ambiente corrotto può dare fastidio. Sono convinta che qualcuno stia
cercando di screditarlo affinché venga allontanato dal tribunale di Palermo.
Urbani, e anche lei, Sirio, mi avete dato prova di perspicacia e intuito fuori
del comune… adesso le chiedo, vada a Palermo per me, scagioni il mio amico.»
I
dipendenti lasciavano il ristorante a piccoli gruppi per rientrare nei vari
ministeri e uffici sparsi lì attorno. La giudice Ornella Peres gli tratteneva
la mano sul tavolo e lo fissava in attesa.
Sirio era reduce da una caccia che aveva richiesto energie al
limite dell’umano alla ricerca del folle sanguinario che aveva quasi
assassinato sua sorella Emma. Al confronto questa prova, l’indagine che la
giudice Peres gli stava chiedendo, sarebbe stata una specie di vacanza; e poi
c’era la curiosità, perché di questo si trattava, per Sirio, di pura curiosità:
di scoprire spigolature nascoste sotto la maschera che indossano gli esseri
umani, e le storture che ne derivano.
«Il giudice Giorgio Cordaci è a conoscenza di queste vostre verifiche
sulla sua integrità morale e il suo operato?» Le chiese.
«No» la giudice Ornella Peres scuoteva lievemente la testa.
E Sirio: «E lei lo ritiene innocente… giusto?»
«Certo!»
«Allora bisogna dirglielo.»
Ornella Peres serrò le labbra: «Non posso. Non posso
rivelargli di aver svolto controlli sulla sua persona, potrebbe interpretarlo
come l’ammissione di sospetti sul suo conto che non mi hanno mai nemmeno
sfiorata».
Sirio ponderò alternative e non ne trovò, il piano che gli si
andava delineando nella testa era l’unico in grado di portare a risultati
veloci e certi: «Senta giudice, lei si fida di me?»
«Mi fido di Urbani. E quindi sì, mi debbo fidare di lei.»
«Allora mi lasci fare.»
«E cosa, precisamente?»
Era ancora una strategia in embrione, nella sua testa, e
sarebbe stato azzardato esprimerla: «Sa come si agisce nel controspionaggio
quando si scopre una spia nemica tra le proprie fila?»
Chiaro che non lo seguiva: «So molte cose… lei a che si
riferisce esattamente?»
Solo un embrione di strategia: «Le si forniscono informazioni
strumentalizzate in modo da indurre il nemico a compiere un passo falso».
«Nel nostro caso?»
Una struttura strategica organica l’avrebbe definita una
volta a Palermo: «Se non è Giorgio Cordaci a manipolare i processi, qualcun
altro lo fa per lui. Per indurlo a scoprirsi è necessario che il giudice Cordaci
sia dei nostri, la qual cosa presuppone che dobbiamo informarlo della tresca ai
suoi danni».
Ornella Peres esitava. I suoi occhi esprimevano dubbio e
trepidazione: «Va bene. Mi fido di lei. Proceda».
A Roma, Cindy aveva cambiato treno.
Il suo posto era a metà vagone, rivolto verso il senso di marcia. Cindy notò
con soddisfazione che il sedile di fronte era tuttora libero. Sistemò il
trolley sulla cappelliera e prese a sfogliare le pagine di Facebook sull’I-phone. La voce femminile registrata che esplose
dall’altoparlante del Frecciarossa invitò
eventuali accompagnatori a scendere e dopo pochi minuti il treno si mosse. Il
dirimpettaio a quanto pareva era rimasto a terra e Cindy accavallò le gambe,
invadendo lo spazio del sedile davanti lasciato libero. Forse se ne sarebbe
potuta rimanere da sola in santa pace. Appoggiò la testa e chiuse gli occhi.
«Mi perdoni.»
Sul metro e
ottanta, castano chiaro, meno di quaranta, naso alla Jean Paul Belmondo, camicia,
jeans e giacca… e perfino la cravatta. Era leggermente proteso e sorrideva: «Mi
dispiace disturbarla».
Cindy ritirò le
gambe.
Belmondò sfilò un
raccoglitore da ufficio e un libro dalla ventiquattrore. Cindy prese l’I-phone
bianco da sopra il ripiano e si finse assorta dal messaggio appena arrivato,
per non rispondergli.
Belmondò sedette, appoggiò
lo smartphone con la cover azzurra e accavallò le gambe a sua volta,
rivolgendole verso il corridoio centrale, distanti dalle sue, poi sfogliò il
libro, “Il viaggio a Roma”, di Alberto Moravia, e si concentrò a leggerlo.
Meglio così, pensò Cindy,
perché non era in vena di chiacchiere da treno e soprattutto di tentativi di
approccio. Tornò a far scorrere i Contatti
di Facebook e a leggere fesserie. Tutto andava bene, pur di non chiudere gli
occhi.
Il Frecciarossa era fuori dall’abitato,
superava stazioncine a velocità tale da non poterne scorgere il nome sulle
targhe, campagne scorrevano indolenti.
La vibrazione
annunciò la chiamata: Lorella, una collega: «Ciao Cindy. Ho saputo di tuo
fratello… Condoglianze».
Cindy manovrò col
pollice per abbassare il volume dell’auricolare e lanciò uno sguardo veloce al
passeggero di fronte: leggeva.
Si coprì la bocca
con la mano, prima di rispondere: «Grazie».
«Ma com’è
possibile? Così giovane…!»
«Eh, purtroppo…»
«Si è tolto la
vita, mi hanno detto… Mio Dio.»
Cindy si premette
il telefono contro l’orecchio per tamponare quella voce indiscreta. Sono in un treno assieme a mille persone,
avrebbe voluto gridare.
«Sì… è così
infatti» bisbigliò nel telefono.
«E tu?»
«Sono in treno.»
«Ah, per i
funerali…?!»
Ma quando la finisci?
«Sì.»
«Di nuovo
condoglianze allora…»
Finalmente!
«Grazie Lorella.»
Cindy chiuse e
riappoggiò il telefono su un angolo del ripiano. Belmondò sempre assorto nel suo “Viaggio a Roma”.
Be’, meglio così!
Lungo il corridoio
si stava avvicinando l’hostess col carrello, elencò anche a loro le sue offerte
e Belmondò accettò un caffè e dei
biscotti. Cindy sorrise in risposta all’hostess, rifiutò con un gesto della
mano.
Il passeggero di
fronte, posato il libro, bevve il caffè e sbocconcellò i biscotti assorto dalla
campagna oltre il finestrino, poi aprì il raccoglitore e si concentrò sui
documenti che conteneva. Dopo averli letti, se li appoggiava sulle ginocchia.
«Lei permette?»
Cindy non capì
subito. Sollevò lo sguardo dall’I-phone: «Certo, perché no?»
Belmondò prese ad
appoggiare i fogli sulla mensola posta fra di loro.
Cindy, con
l’indice, faceva scorrere i contatti di facebook, leggeva distrattamente le
solite stupidaggini di chi fotografava il piatto del ristorante e di chi
accarezzava il micio di casa; intanto, sia pure senza volerlo, lo sguardo le
andava ai documenti del dirimpettaio: carte intestate di avvocati e studi
medici, e Atti di tribunali. L’altro sembrava interessato unicamente alle sue
scartoffie e non badava a lei.
Passò il
controllore, uno panciuto dall’equilibrio incredibile. Mostrarono i rispettivi
biglietti e Belmondò tornò a
immergersi nel proprio lavoro, o quello che era.
Mah… ne incontri di tutti i tipi su un treno…
Cindy, nel
cambiare posizione, gli urtò la caviglia con la scarpa: «Mi scusi…»
Il dirimpettaio
sollevò appena lo sguardo, sorrise. Un sorriso rassicurante.
«A lei succede
mai?» Chiese Cindy.
Gli occhi di Belmondò si sollevarono, domandavano cosa?
«A lei succede mai
di incontrare una persona e chiedersi quale possa essere la sua professione o
anche semplicemente come si chiami?»
«Di continuo.» Rispose
Belmondò.
«E ci indovina?»
Belmondò sorrideva: «Qualche
volta».
«E come fa a
sapere se ci ha indovinato?»
«Come sta facendo
lei, glielo chiedo.»
Cindy si provava a
studiarlo, ma quel sorriso inalterabile le impediva di arrivare oltre: «E
quindi?»
«Be’… vediamo se
indovina…» rispose Belmondò. Scosse
appena la testa: «Poi mi ci proverò io».
«Dunque… sul primo
momento ho pensato a un atleta d’un qualche tipo…»
«Ah, per via del
naso… Già, me lo dicono in tanti. Ma no… no, il naso da pugile in realtà è il
ricordo di una scazzottata tra adolescenti, di quelli che si contendevano una
ragazza. Io ho perso il match ma ho vinto la ragazza.»
A Cindy sfuggì un
risolino: «Pugile no. Allora cosa?»
Belmondò allargò le
braccia e fece una smorfia come a dire: Indovina…!
«Carte di
tribunali… Ah, mi perdoni, non volevo essere indiscreta…»
«Non si preoccupi,
il carteggio è lì, niente di male abbia sorpreso qualcosa. Che ne deduce?»
«Non so. È un
avvocato? Un giudice? Oppure…? Oh, mi scusi…» Si portò la mano sulla bocca.
Il passeggero si
mise a ridere riversando la testa. «No, no, non si preoccupi, non sono io
l’imputato… Comunque, le fornisco un aiutino: sono un docente universitario.»
«Un professore?
No, non ci credo… E queste sue carte hanno a che fare con la sua professione?»
«Certo.»
Cindy si lasciò
andare sulla spalliera: «Basta, ci rinuncio».
«Scienze
criminologiche…»
Cindy si rabbuiò.
«Be’» disse «la lascio al suo lavoro… Mi scusi se l’ho disturbata.»
Se per qualche
minuto si era distratta, brutalmente il riferimento di quell’uomo l’aveva ricondotta
al motivo del viaggio: Suo fratello, ventidue anni, giaceva all’interno di una
lucida bara.
Il passeggero di fronte, in maniera
incredibile, sembrò percepirlo, perché attese qualche secondo concentrato a
fissarla prima di parlare di nuovo: «Lei, Cindy, sta scendendo a Palermo, ma
non è per una vacanza, né per lavoro. Si trova a dover affrontare, da sola, un
momento altamente drammatico. Va per un lutto. Non per una morte naturale,
però».
Incredibile!
«Come conosce il mio
nome, e come fa a sapere di mio fratello?»