mercoledì 5 luglio 2023

Chi muore si salva - Romanzo

 






1

 

Lo scontrino del parcometro indicava le diciassette e cinquantaquattro. Sirio lo appoggiò sul cruscotto della Clio e chiuse lo sportello.

Nell’attraversare la strada riconobbe Marianna. Indossava dei pantaloncini bianchi, alla moda, di quelli che sembrano minigonne, e una camicetta chiara con tenui decori. I capelli biondi si sollevavano a ogni passo per poi ricadere morbidi sulle spalle, quasi esitanti. Emanava un senso di fresco, mentre gli veniva incontro sul marciapiede reso giallo dal sole di agosto.

Si erano conosciuti cinque anni prima, durante un seminario indetto dalla facoltà di Criminologia e psicologia criminale di Forlì, lei laureanda in giurisprudenza, lui, all’epoca, ancora un giovane docente. Erano entrati in una certa confidenza che, forse, sarebbe sfociata in qualcosa di più, se un qualche motivo che Sirio tuttora ignorava non avesse raffreddato in lei lo slancio iniziale. Il corso di studio era terminato, Marianna era tornata a Bologna e lui era stato riassorbito dalla vita di facoltà.

La sera precedente lo aveva chiamato sul cellulare.

*

“Ciao Sirio…”

“Anna!”

“Mi hai riconosciuta dalla voce o avevi ancora il mio numero, dopo tutto questo tempo?”

“Entrambe le cose.”

Era subentrata una pausa: “Sirio, quanti sono: quattro, cinque anni?”

“Cinque.”

Siccome ancora esitava, Sirio aveva preso l’iniziativa: “Dimmi di te. Sei sposata, fidanzata o cosa?”

“Niente di tutto questo, non ne ho avuto il tempo. Tu? Fidanzato? Con quante?”

Le era sfuggito un risolino nervoso, poi, senza aspettare la risposta, aveva aggiunto: “Mi sento a disagio… per via di come ci siamo lasciati”.

Sirio, se all’epoca non aveva capito la ragione del suo improvviso ritrarsi, adesso la intuiva.

“Non ne hai motivo…”

“Ho bisogno del tuo aiuto”, l’aveva interrotto.

“Certo, di che si tratta?”

“È una questione lunga come una messa cantata,” aveva aggiunto, con l’intonazione dialettale, “complicata, anche. Preferirei parlartene di persona. Quando vuoi tu.”

“Domani?”

“Sta bene per domani. Puoi raggiungermi a Bologna o preferisci che scenda io a Forlì?”

“Bologna va benissimo. Nel pomeriggio, alle sei?”

“Alle sei.”

Gli aveva dato un indirizzo.

“È un pub”, aveva precisato, “ha dei separé e a quell’ora non c’è quasi nessuno.”

*

«Ciao,» gli sorrise, quando fu arrivata vicino.

Aveva denti perfetti.

«Vedo che non ti sei ancora fatto sistemare quel naso da pugile,» scherzò, sollevandosi sulla punta dei piedi per baciarlo su entrambe le guance.

All’epoca della loro frequentazione, seduti uno di fronte all’altra in una caffetteria di Forlì, Marianna aveva trovato esilarante il racconto di come Sirio avesse ricevuto un pugno a tradimento da un liceale geloso.

*

“Ma no, impossibile!” aveva esclamato, ridendo, “e com’è finita?”

“Lui ha vinto il round, ma la sua ragazza gli ha mollato una sberla ed è corsa a consolarmi.”

*

Restarono qualche momento in silenzio uno di fronte all’altra, tenendosi le mani, sul marciapiede, sotto il sole.

«Vogliamo entrare?» propose Marianna, accennando con la testa verso il pub.

L’aria condizionata li accolse come una cascatella di montagna.

«Vieni,» lo precedette attraverso il locale fino a un secondo ambiente, ampio, arredato con panche, tavoli e separé. Notò che l’aveva accompagnato a un tavolo isolato, distante da un gruppo di adolescenti che sghignazzavano a voce alta mentre scolavano birre e da alcuni pensionati che giocavano a carte.

Comparve una giovane cameriera col grembiule nero, dispiegando il taccuino elettronico.

«Che prendete?» spostò il chewingum dall’altro lato della bocca.

«Considerata l’ora… direi delle Bollicine… che ne dici?» chiese Marianna a Sirio, che assentì con un cenno della testa.

«Okay,» confermò lei alla ragazza, «e un po’ di stuzzichini.»

«Aperitivo per due!» tagliò corto la cameriera, spuntando le voci sul tablet. Si allontanò, veloce com’era arrivata.

I giovanotti vociavano. Lei li indicò col mento e disse, in bolognese: «Vedi là quegli sbarbi… fortunati loro, che hanno sempre da ridere.»

Sirio sospirò.

«Anna,» disse, per interrompere il silenzio che era subentrato, «quanto tempo.»

«Il tuo diminutivo… sei l’unico a chiamarmi così.»

«Ho ancora l’esclusiva?»

Lei lo soppesò con sulle labbra un sorriso ambiguo. Agitò l’indice, quasi fosse una maestrina che redarguisce il discolaccio della classe.

«Mai avuta nessuna esclusiva, se ben ricordo.»

Aveva un’espressione irresistibile e Sirio non riuscì a trattenersi: «Perché dici questo? Non potrebbe forse succedere?»

«Fossi in te non mi farei troppe illusioni,» scosse l’indice nell’altro verso, per dire di no.

«Sul diminutivo, intendevo,» deviò il discorso, ridendo.

Marianna divenne seria.

Il tempo del gioco e dei ricordi era finito e Sirio si adeguò.

«Eccoci qua,» le disse, «volevi parlarmi.»

Il sorriso di Marianna ebbe la durata di un attimo, gli occhi si rifugiarono fra gli oggetti sul tavolo: «Devo fare una piccola premessa… hai di fronte a te uno dei più giovani magistrati d’Italia».

Sirio fece il gesto di togliersi il cappello: «Mi sembra lusinghiero. Quindi, perché  quell’espressione così seria?»

Lei scosse la testa: «Giovane, inesperta, confusa e preoccupata».

La cameriera arrivò trasportando il vassoio in equilibrio sulla mano e appoggiò piattini e bicchieri sul tavolo. Si ritirò.

«Si tratta di questo,» riprese Marianna, «Gragnolo, il magistrato che dirige la Sezione alla quale sono stata assegnata, ha dovuto ripartire i processi tenuti da un giudice che ha subito un infarto. Se l’è cavata, ma ha presentato domanda per il pensionamento anticipato, così il dirigente mi ha affidato la mia prima inchiesta giudiziaria. Un omicidio colposo, un caso semplice… ha precisato.»

L’espressione diceva che lei non la pensava allo stesso modo.

«Circa tre anni fa, intorno alle nove di mattina, in settembre, a un incrocio semaforizzato, un uomo anziano, tale Doriano Parraci, settantadue anni, avrebbe provocato la morte di un motociclista. L’incrocio era dotato di una telecamera per la rilevazione delle infrazioni stradali. Ha registrato l’intera scena. Si vede chiaramente l’automobile del Parraci, una Ford Fiesta azzurra, arrivare al crocevia. I periti hanno stabilito che procedeva intorno ai trenta chilometri orari, nel momento in cui il semaforo è passato al rosso, per cui lo ha superato… di pochi metri ma l’ha oltrepassato, prima di fermarsi. Subito dopo sopraggiunge dalla sua sinistra la motocicletta della vittima, a settanta all’ora, è stato stimato, e procede senza rallentare col semaforo appena scattato al verde. In prossimità dell’autovettura, la moto scarta, come per evitarla, e l’uomo cade e finisce con la testa sotto la ruota anteriore di un TIR che proveniva in senso opposto. Il motociclista si chiamava Marco Bardanti, aveva venticinque anni. La madre, unica parente in vita, aspetta un risarcimento; la difesa del Parraci e la sua compagnia assicuratrice ricusano qualsiasi responsabilità, non essendoci stato alcun contatto tra la motocicletta e l’autovettura.»

L’interruzione presupponeva un seguito e la ricerca delle parole giuste per spiegarlo.

«Ma tu non sei convinta.»

«Non si tratta di questo. Per quanto concerne il processo sarei propensa a riconoscere una corresponsabilità del Parraci, in modo da indurre l’assicurazione a un risarcimento. Mi sembra il minimo, per quella madre.»

«Quindi?»

Marianna si protese leggermente verso di lui, al disopra del tavolo: «Sirio, in tre anni di procedimento giudiziario, sono stati riempiti non so quanti faldoni di documenti, che io ho letto e riletto fino a conoscerli a memoria; peraltro, ho guardato e riguardato quel filmato fino a ricordarne ogni singolo fotogramma. Vorrei la tua opinione».

Spostò la sedia accanto alla sua, estrasse un tablet dalla borsa e l’accese. Lo orientò in modo che potessero vederlo entrambi e avviò la riproduzione del file. Sullo schermo, a un incrocio in aperta campagna, con degli alberi sullo sfondo, scorsero le immagini che aveva appena descritto. Lo schermo si oscurò.

«Hai notato nulla?» gli chiese.

«La motocicletta scarta all’improvviso a sinistra, come per evitare l’impatto contro l’autovettura, ma a causa dell’angolazione da cui è stata effettuata la ripresa non è possibile rendersi conto della distanza fra i due veicoli. A me sembra non fosse possibile alcuna collisione, ma è comunque verosimile che il motociclista abbia avuto una reazione istintiva. Se è il mio parere che vuoi, ritengo tu possa in tutta coscienza riconoscere il concorso di colpa.»

«No, Sirio, non è questo. Ti faccio rivedere uno spezzone al rallentatore… ecco: il semaforo è scattato al verde… la motocicletta impegna l’incrocio. Guarda adesso…»

«L’uomo in sella ha uno scatto indietro con la testa e lascia il manubrio.»

«Esatto. E sai dove ho già visto qualcosa di simile? In un film d’azione, in una scena in cui un cecchino sparava a un centauro in corsa.»

«Cosa vorresti dirmi, che qualcuno ha sparato a Marco Bardanti? Che non si tratta di un omicidio colposo a carico di Parraci ma dell’assassinio premeditato da parte di un killer?»

«Sirio, Marco Bardanti è stato un mio amore giovanile… ed era un malavitoso.»

Due affermazioni senza un collegamento fra loro, né col procedimento giudiziario, ma espresse con un tono talmente sicuro da innescare dei dubbi.

«Forse dovresti parlarne col direttore della tua Sezione…»

«No, Sirio, è proprio questo il mio problema. Gragnolo mi solleverebbe dall’incarico per incompatibilità, ravviserebbe un conflitto di interessi, mentre io voglio andare a fondo e scoprire chi ha ucciso Marco. Dimmi che mi aiuterai.»

Gli stava stringendo il polso, sul tavolo, e lo fissava con un’espressione che era insieme una preghiera e una speranza.

«Anna, in tutta sincerità, per quanto concerne il processo per omicidio stradale non posso che ripetere quanto ho detto prima, invece questa tua idea del killer mi sembra abbastanza fantasiosa. Comunque, pur volendo ammettere, in linea del tutto ipotetica, possa essere vera, quante possibilità esistono di risalire all’assassino, dopo tre anni?»

«Stiamo parlando di un omicidio a sangue freddo, non ha termini di prescrizione…»

Sirio scosse la testa. Entusiasmo da giovane magistrato, pensò.

Marianna insistette: «Se è vero sia pure l’un per cento di quanto si diceva di te cinque anni fa, quando ho seguito il tuo corso, tu potresti.»

«Mi stai chiedendo l’impossibile».

«Ti prego…»

Aveva un’espressione così supplice e disperata!

«Anna, ascoltami,» le prese entrambe le mani, «a parte quel colpo di frusta della testa che ti ha insospettita, che altri elementi hai per avvalorare le tue ipotesi? L’esame necroscopico ha rilevato tracce di un proiettile? La perizia scientifica segnala fori sul casco o sugli abiti?»

Fece oscillare i capelli, dimenando la testa: «No. Ma non significa nulla. Il casco è stato schiacciato dal TIR, e nessuno, ritengo, si è preoccupato di cercare la tracce di un colpo d’arma da fuoco. Ci si è limitati, come sempre, trattandosi di un incidente stradale, ai rilievi sull’asfalto. Però questo non contraddice quanto ti fo fatto vedere nel filmato, ti pare?»

Sirio amava le sfide, e in passato ne aveva affrontate! Ma questo, quand’anche l’ipotesi di Marianna avesse avuto un pur minimo fondamento, gli sembrava un problema irrisolvibile.

Lei ripetette: Ti prego.

Lo disse con una intonazione cui non seppe resistere.

«Va bene, facciamo un sopralluogo; cerchiamo di ricostruire gli ultimi giorni di Marco e vediamo se salta fuori qualche elemento che avvalori i tuoi dubbi.»

Finalmente la vide sorridere, portandosi il calice alla bocca.

Si dedicarono agli stuzzichini, ciascuno assorto nei propri pensieri.

Il locale si andava riempiendo. Gruppi di ragazzi e giovani coppie, soprattutto. La cameriera passava da un tavolo all’altro col suo passo veloce.

«Da dove cominciamo?» si riscosse Marianna.

«Direi, da te.»

«Da me?»

«In un caso di omicidio premeditato… e di questo stiamo parlando sulla base delle tue argomentazioni, è fondamentale conoscere la vittima per poter risalire al movente. A quanto dici c’è stata una frequentazione, fra voi… ergo…»

Marianna si guardò attorno. Ormai i tavoli erano pressoché tutti occupati, il separé non era più sufficiente a isolarli dal brusio della sala.

«Non qui,» rispose, «usciamo.»

 

*

Erano passate da poco le otto, i palazzi nascondevano il sole al tramonto e l’asfalto, quasi fosse una pedana di carboni accesi, rilasciava il calore accumulato durante il giorno.

«Dove si va?» le chiese.

«A casa mia… o, per meglio dire, di mia madre.»

«Vivi ancora con lei?»

Rispose, accennando brevemente con la testa: «Sì».

«Ti accompagno alla macchina…»

«No, Sirio, sono venuta con l’autobus. Possiamo andare assieme.»

La contravvenzione per superati limiti di sosta fingeva di nascondersi sotto il tergicristallo posteriore della Clio. Sirio la ripose in tasca senza guardarla e aprì con la chiave lo sportello del passeggero.

«Hai ancora questa macchinina?» gli chiese Marianna, salendo.

*

Cinque anni prima, una domenica pomeriggio, avevano fatto una gita in riviera, con la sua Clio. Si era in dicembre, il corso di psicologia criminale volgeva al termine e l’incerto sentimento di simpatia che l’uno provava per l’altra non decollava verso qualcosa di più, ma nemmeno si spegneva in un nulla di fatto. In un certo senso tentennava. Faceva un passettino avanti e due indietro, si comportava come i saltelli dei bambini nei riquadri disegnati a gesso sui marciapiedi.

Il vento, quella domenica, soffiava dal mare, sollevando onde spumeggianti e creando mulinelli di sabbia. Avevano passeggiato sul lungomare deserto, col cappuccio tirato sulla testa e trattenendo stretto il colletto del cappotto. Avevano chiacchierato del più e del meno e poi, sull’imbrunire, tornati alla macchina, il motore aveva rifiutato di avviarsi. Si erano rifugiati all’interno della vettura, in attesa del soccorso stradale. Sul marciapiede opposto, davanti ai palazzi, un uomo e una donna anziani si tenevano abbracciati per contrastare il vento gelido che li sospingeva. Li avevano seguiti con lo sguardo, in silenzio, finché avevano svoltato l’angolo.

“Che carini, invecchiano insieme”, aveva esclamato Marianna, e solo dopo un lungo silenzio aveva aggiunto, “sai che non ho conosciuto mio padre? Quando mia madre gli ha annunciato di essere incinta, è sparito. Ha avuto paura. Di me, capisci? di me, che nemmeno esistevo.”

La storia di Sirio, per certi versi, era simile. Aveva cinque anni quando suo padre aveva lasciato la famiglia per un’altra donna. Sua madre e la sua sorella maggiore, Emma, si erano dovute rimboccare le maniche e andare avanti. A diciotto anni, acquisita la maturità e ormai maggiorenne, si era trasferito da Roma a Forlì. Si era iscritto alla facoltà di criminologia e per mantenersi aveva lavorato da cameriere nei ristoranti. Le confidenze, l’intimità, nella vetturetta con i vetri appannati, li avevano sospinti l’uno incontro all’altra in un bacio che il clacson del carro attrezzi aveva interrotto sul nascere.

L’incanto era svanito.

Durante il percorso nel taxi che li riportava in città, qualsiasi tentativo di Sirio di avviare una conversazione qualsiasi si era infranto contro i monosillabi di Marianna; poi, nei giorni seguenti, lo aveva praticamente evitato.

*

Sirio girò la chiave d’avviamento e il motore prese a borbottare senza il minimo tentennamento.

«Peccato,» le sorrise, «è partita.»

Sorrise anche lei: «Già, peccato». Ma lo disse senza entusiasmo e senza rammarico.

Sirio manovrò per uscire dal parcheggio e si avviò verso l’indirizzo che gli aveva comunicato.

«Vivi ancora con tua madre, dunque.»

«Sì, ha problemi di salute, si muove con l’aiuto di un deambulatore, sai… quella specie di appoggini con le rotelle. Ha bisogno di me.»

Le ultime parole avevano avuto il suono di una porta che si chiude. Si era voltata verso il finestrino dalla sua parte e sembrava assorta a osservare i palazzi e le vetrine che scorrevano in silenzio.

Abitava non molto distante e Sirio trovò un parcheggio libero davanti al portone.

«Vieni,» disse lei, uscendo dalla Clio, «saliamo, nessuno ci disturberà.»

Gli sembrarono parole di buon auspicio, quasi una promessa.

 

*

Sirio notò con quanta precauzione Marianna ruotava la chiave nella serratura. Dallo spiraglio arrivavano le voci di un televisore tenuto ad alto volume. Percorsero il corridoio.

«Forse dorme,» spiegò, senza che ve ne fosse alcuna necessità. Entrò per prima e si affacciò nel soggiorno, «ah, sei sveglia. Vieni, Sirio, ti presento la mia mamma.»

La donna nella poltrona dimostrava settant’anni, forse per via della magrezza, dei capelli senza tintura e degli occhiali dalla montatura antiquata, mentre, a giudicare dall’età della figlia, doveva essere intorno ai sessanta. Non accennò ad alzarsi ma tese la mano e sorrise.

«Sirio? Io mi chiamo Agata,» disse. Quindi, rivolgendosi alla figlia aggiunse, «non sarà quel professore… tanti anni fa… con cui uscivi?»

«Sì mamma, è lui,» l’interruppe con forse troppa precipitazione, «mi sta aiutando in un’inchiesta giudiziaria…»

«Non sarà per quel tuo fidanzatino morto in motocicletta…»

«Mai confidarsi con la propria madre,» brontolò bonariamente Marianna, aiutandola ad alzarsi, «su, ti accompagno a letto. Io e Sirio dobbiamo lavorare.»

«Arrivederci, Sirio, mi ha fatto piacere conoscerti.»

«Signora, arrivederci, ha fatto piacere anche a me.»

«Ti lascio solo un momento,» si scusò Marianna, uscendo con la madre.

Sirio ignorò il volume eccessivo della televisione e si guardò attorno. Il piccolo soggiorno era arredato come negli anni ’80. Sui ripiani del mobile a tutta parete, le varie tappe della vita di Marianna e di sua madre erano contenute in cornici d’argento. La giovane mamma che stringe la neonata il giorno del battesimo; con la mano sulla sua spalla alla prima comunione; il primo giorno di scuola; istantanee scattate durante le gite… al mare, in campagna, davanti a monumenti; infine, con i capelli ormai bianchi, mentre bacia la figlia che solleva trionfante, in toga e tocco neri, il diploma di laurea.

«Non ho uno studio, mi dispiace,» Marianna abbassò il volume del televisore, «la mia casa è tutta qui. Dovremo adattarci.»

«Qui andrà benissimo.»

Gli indicò il divano e prese posto nella poltrona.

«Eccomi pronta. Volevi sapere di Marco e me.»

«Non esattamente del vostro rapporto, no. Hai affermato che si trattava di un malavitoso, ecco, soprattutto questo.»

Lei scosse la testa, facendo oscillare i capelli: «Nessun segreto, posso parlartene; dopotutto si tratta di un amore giovanile, ammesso che di amore si possa parlare. L’ho conosciuto alla festa per il diciottesimo compleanno di una mia amica, Daniela. Aveva organizzato una cena in un ristorante, qui a Bologna, e aveva invitato tutta la classe. Ognuno pagava per sé, per cui qualcuno aveva portato degli amici. Non ricordo con chi era venuto Marco, fatto sta che siamo capitati seduti vicini. Lui aveva ventun anni, per cui, per una diciottenne imbranata qual ero io... insomma, come spiegare… rispetto agli altri che frequentavo, lui era un uomo, sicuro di sé… simpatico, sapeva parlare... D’improvviso i compagni di classe mi erano sembrati dei bambocci immaturi. Insomma, è accaduto, abbiamo cominciato a frequentarci. Ma a te, hai detto, tutto questo interessa poco. Invece vuoi che ti chiarisca perché l’ho definito un malavitoso. Ebbene, spacciava droga, ma questo l’ho scoperto dopo. Con me si comportava in maniera gentile ma, in più occasioni, si era presentato con ferite ed escoriazioni. Trovava delle scuse, diceva di essere caduto e cose simili, invece mi arrivarono voci che partecipasse a pestaggi e a scontri fra bande. Poi, una sera, in discoteca, lo sorpresi mentre passava qualcosa a qualcuno e ritirava dei soldi. Uno spacciatore, insomma. Così, dopo qualche discussione, ci siamo lasciati».

«Durante la vostra frequentazione, hai avuto occasione di conoscere i genitori, qualche amico?»

«Siamo stati insieme più o meno tre mesi e no, uscivamo da soli. Aveva uno scooter, mi portava in riviera, a ballare… cose così, ma sempre io e lui soltanto.»

«È un po’ poco, ma qualcosa è. Resta il fatto che l’appostamento di un cecchino è più una modalità da guerriglia urbana e stona con l’dea di un regolamento di conti fra bande di spacciatori di quartiere.»  

«Non credi all’evidenza di quel filmato?» aveva gli occhi torvi.

«Dico che l’impressione che fornisce una ripresa televisiva non è una prova.»

Lo fissava a testa bassa, da sott’insù: «Ti stai tirando indietro?»

«No… no, ho promesso che ti avrei aiutata in questa indagine e ti aiuterò. Non fosse altro per liberarti la testolina da qualsiasi dubbio.»

Lei sorrise e gli fece una carezza: «Sei la brava persona che ricordavo».

Ritrasse la mano, eresse la schiena, si ravvivò.

«Bene, professore, quali sono i prossimi passi da fare?»

«Innanzi tutto un sopralluogo, poi vedremo di incontrare la madre, sperando ci indirizzi a degli amici, o comunque a qualcuno che possa aiutarci a conoscere meglio Marco Bardanti e l’ambiente in cui si muoveva.»

«Senti, per il sopralluogo, pensi di poterti liberare per domattina?»

«Purtroppo ho un impegno che non posso disdire, inoltre ritengo che sarebbe opportuno chiedere l’ausilio di una pattuglia.»

«Ma no, perché ufficializzare? Si tratta solo di un sopralluogo informale.»

«D’accordo, allora potrei passare a prenderti verso le quindici e trenta. Qui, se per te va bene.»

«No, preferisco in tribunale.»

Si alzò: «Posso offrirti qualcosa… un liquore?»

«Cosa? Ah, no, no… piuttosto, pensavo; la notizia dell’incidente, venne diffusa dalla stampa?

Marianna sfogliò qualche pagina del dossier: «Sì, tre giorni dopo».

«Dopo tre giorni! Una notizia di cronaca! Non è strano?»

Lei rifletté un attimo: «Anomalo, sì. È importante?»

«Mah, potrebbe esserlo,» considerò Sirio, quindi si riscosse, «beh, adesso è meglio che vada.»

Lei lo accompagnò alla porta. Gli fece un cenno con la mano, prima di richiudere.

Nessun bacio, questa volta.

*

Era passata mezzanotte, la fedele Clio era in attesa. Sirio la avviò e diresse verso Forlì. Lasciò che i pensieri vagassero. Due circostanze impreviste, imprevedibili e per un certo verso stranianti, si erano improvvisamente infiltrate nella sua vita con la telefonata inattesa di Marianna, il pomeriggio precedente: un amore mancato e un omicidio inverosimile; circostanze entrambe fatue, vuote e inconsistenti, ma che lo stavano coinvolgendo in una maniera insensata e addirittura irrazionale. Amore e morte, pensò, o meglio: né amore, né morte.

Però, forse era ancora presto per dirlo.

Orbene, la personalità volubile della donna passava, così come avvenuto nella frequentazione precedente, da segnali di disponibilità verso un rapporto se non amoroso, comunque affettivo o amichevole, a espressioni di chiusura, quasi di opposizione. L’indagine in cui lo stava coinvolgendo gli appariva, al momento, irragionevole. La dinamica dell’omicidio di Marco Bardanti non si adattava alla figura di un teppista, sia pur spacciatore e malavitoso quanto si vuole, per lui sarebbe apparsa logica una morte sopravvenuta a seguito di percosse, di una coltellata nel corso di una rissa, del colpo di pistola sparato a bruciapelo dalla vittima che reagiva a un tentativo di estorsione. Un ammazzamento a caldo, insomma, non la preparazione, la programmazione di un attentato che presupponeva la conoscenza del percorso e del momento in cui il Bardanti sarebbe passato da quell’incrocio; che presupponeva altresì l’utilizzo di un’arma appropriata – un’arma da guerra o comunque molto evoluta e non facilmente reperibile – e di un cecchino talmente abile da centrare un bersaglio in movimento. Restava l’ipotesi, nient’affatto peregrina, del folle che spara a caso. La cronaca, specie nelle città del nord America, non lesinava casi di psicopatici che si affacciano alla finestra e sparano sui passanti per strada, o di alienati mentali che irrompono negli asili vuotando caricatori di mitragliette parabellum. Per tornare al caso in esame, questo presunto folle avrebbe raggiunto l’incrocio… in macchina? in autobus? a piedi? portando con sé l’arma… una pistola di grosso calibro o un fucile, muniti di silenziatore, peraltro… quindi si sarebbe appostato fra i cespugli a ridosso dell’incrocio e avrebbe sparato sul povero Marco; in maniera del tutto gratuita e senza che qualcuno lo notasse. Era possibile?

Eppure il filmato mostrava chiaramente che il Bardanti aveva abbandonato il manubrio della motocicletta. Ora, se lo scatto indietro della testa poteva, per extrema ratio, essere stato provocato da un calabrone che gli sbatteva in faccia o dalla puntura di una vespa, sicuramente nessun centauro avrebbe lasciato andare le manopole. Più plausibile frenasse, che con una mano reggesse il manubrio e con l’altra si liberasse del casco, mai che, lanciato a settanta chilometri orari, abbandonasse la guida per correre incontro a morte sicura.

Tutto gli appariva troppo illogico, in questa storia.


2



Il tabellone elettronico nell'atrio Arrivi Internazionali dell'aeroporto di Bologna Borgo Panigale indicava che il volo AA04365 delle ore 10:35 da New York, con scalo a Londra, era in orario. Sirio seguì le indicazioni e si accodò alle altre persone in attesa al varco d'arrivo. Una bambina sui dieci, undici anni faceva saltelli impazienti trattenuta dalla madre; una sedicenne in minigonna e scarpe da palestra si sporgeva verso le porte scorrevoli ogni qual volta si aprivano; un giovanotto atletico con la barbetta rasa sorrideva fra sé; una coppia di anziani si teneva per mano scambiandosi sottovoce dei commenti.

«Sirio, mi amor.»

Patricia correva verso di lui facendo oscillare i capelli biondi legati a coda dietro la nuca e facendo ballonzolare le rotelle del trolley. Si ostinava a voler esercitare il proprio italiano, senza rendersi conto di confonderlo, molto spesso, con lo spagnolo. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò sulla bocca.

«Finally, my love... finalmente.»

Si era soffermata a osservarlo.

«Sei sempre uguale, my friend

«E tu sempre splendida.»

La bambina undicenne era corsa incontro al padre saltandogli addosso e facendolo barcollare all'indietro; la sedicenne stava baciando il suo boyfriend con lo zaino in spalla; la coppia di anziani sorrideva e faceva carezze ai due nipotini con gli occhi vergognosi, mentre la loro mamma li sospingeva dicendo: Su, su... salutate i nonni; il giovanotto atletico allargava le braccia verso un altro talmente simile a lui da poter essere fratelli, invece si scambiarono un bacio sulle labbra e adesso si stavano avviando abbracciati verso l'uscita.

Sirio prese la maniglia del trolley e passò il braccio attorno al fianco di Patricia.

«Stanca?»

«Oh, no. Tanta voglia for the sun... di sole, di mare. Subito. Perdere tempo a dormire? No, no, mai,» si lasciò andare a una risata, riversando indietro la testa.

Sirio l'aveva conosciuta tre anni prima, in occasione dell'indagine che fra loro avevano denominato BW139. Una multinazionale americana, la Rocklife & Monthgomery, un colosso nel campo degli armamenti, mirava a vendere dei jet da guerra a prezzo maggiorato al governo italiano. Per raggiungere lo scopo, alcuni dirigenti corrotti della società avevano utilizzato un programma informatico di nuova generazione capace di manipolare la volontà individuale. La maxi truffa era stata sventata soprattutto grazie alla software engineer Patricia Cromowel la quale, in caso di necessità, era anche un'ottima hacker. All'epoca, si era a ridosso del capodanno, lei era venuta in Italia lasciando una New York ammantata dalla neve e trovando il litorale della riviera caldo e accogliente. Avevano trascorso dei bei giorni, a indagini concluse, e si erano amati. Ma anche le cose belle finiscono ed era tornata in patria; però non avevano mai interrotto i contatti, preservando la loro amicizia come un qualcosa di prezioso.

Avevano raggiunto la fedele Clio nel parcheggio.

«Oh, the little city car,» esclamò la ragazza.

«Ho una sorpresa per te,» le rivelò, avviando la vettura, «ho prenotato una camera in quell'albergo, Vacanze Felici, ricordi?»

«Oh yes, muy bello. Staremo assieme giorno y noche

Continuava a confondere spagnolo e italiano, ma Sirio evitò di correggerla.

«Purtroppo, per oggi pomeriggio, ho un impegno.»

«Oh...» fece lei, delusa, «avevi promesso.»

«Sì, è vero. Ma ieri, una mia cara amica...»

«Più di me?» inclinò la testa, fissandolo maliziosa da sott'in su.

«Oh no, non più di te,» le sorrise, «ma non ho potuto dirle di no. Comunque, oggi pomeriggio conto di poterle dimostrare che i suoi sospetti sono infondati e sarò tutto per te.»

«Una indagine, dunque? Dai, racconta, racconta,» lo pressò stringendo i pugni.

Durante il percorso dall'aeroporto fino a Cesenatico, la mise a parte dei sospetti di Marianna.

*

La camera 43 dell'hotel Vacanze Felici aveva un piccolo balcone affacciato sul mare.

«Oh, beautiful,» esclamò Patricia sporgendosi dalla ringhiera.

Subito sotto di loro i villeggianti affollavano la piscina, occupavano sdraio e lettini, leggevano libri al riparo degli ombrelloni; i bambini facevano tuffi e si inseguivamo sull'erba. Poco più in là, sulla strada, le automobili procedevano adagio, cercando parcheggio o uscendone. I marciapiedi erano gremiti di ragazze in prendisole ridotti e di giovanotti a torso nudo. Gli ombrelloni nel lido si protendevano fino al mare, fitti e allineati come militari in parata. Frotte di bagnanti lungo il bagnasciuga. Riflessi di luce bianchissima baluginavano sulle increspature dell'acqua e motoscafi scorrevano lenti, al largo, inseguiti da una scia silenziosa. Dal beach volley nell'arenile arrivavano a intermittenza le incitazioni smorzate dei giocatori e dal chiosco dello stabilimento balneare giungeva la musica di una canzone latinoamericana. Si udiva qualche strombazzamento dalla strada e poi, sotto di loro, risuonavano il brusio smorzato dei villeggianti e le grida festose dei ragazzini.

Patricia gli circondò le spalle con le braccia e lo baciò.

«Gracias,» gli sospirò sulla bocca.

Il solito problema della lingua, ma non era il momento di sottilizzare. Sirio l'abbracciò, tenendola stretta cominciò a dirigersi verso il letto, ma lei, agitandogli l'indice davanti al naso, disse sorridendo: «Non si può».

«Perché?»

«La tua amica Marianna ti aspetta.»

La lasciò andare, a malincuore.

«Hai ragione, mi dispiace. Che farai?»

«Oh, non preoccuparti per me, starò benissimo... mare, sole... ho tutto quello che voglio. Tu vai, vai pure a svolgere la tua inchiesta.»

Gli sembrò di sorprendere una luce maliziosa, mentre lo diceva.

*

Il traffico, sulla E45, era particolarmente intenso, a causa di rallentamenti per lavori stradali, il climatizzatore della vecchia Clio era andato in tilt dopo appena dieci minuti dalla partenza e il vento che entrava dai finestrini era rovente. Sirio, alle quindici e venticinque, accostò al marciapiede davanti al portone del tribunale. Qualcuno dietro di lui strombazzò e il carabiniere che piantonava l'ingresso gli fece segno di proseguire. Si fermò più avanti e chiamò Marianna col cellulare.

«Arrivo fra un attimo,» gli rispose.

La vide attraverso il retrovisore esterno dopo circa venti minuti.

«Tu pensi che ti sto facendo perdere tempo,» esordì, allacciandosi la cintura di sicurezza.

Il marciapiede riverberava come il fumo di un falò.

«Tutto dipende da ciò che troveremo.»

«Perché, pensi che troveremo qualcosa, dopo tre anni?»

Benedetta ragazza!

Gli stava rivolgendo le stesse obiezioni che lui aveva prospettato il giorno precedente. Senza rispondere avviò la vettura.

L'incrocio incriminato era nella periferia nord di Bologna, tra le frazioni di Villa Sistina e Casalmaggiore.

«Che desolazione,» disse Marianna.

Erano arrivati dalla stessa strada percorsa tre anni prima dalla Ford Fiesta del Parraci. Avevano accostato in uno slargo sterrato prospiciente un cancello di legno ed erano scesi. Tre anni prima, la motocicletta di Marco Bardanti era sopraggiunta dalla sinistra, dove le due carreggiate erano divise da una siepe. Superato il crocevia, lo spartitraffico centrale si allargava in una fascia alberata invasa da cespugli spontanei.

«Come intendi procedere?»

Indossava la gonna e una camicetta bianca. Un abbigliamento poco adatto a un sopralluogo in campagna. Incespicò con i tacchi nel terreno sconnesso e si appoggiò al braccio di Sirio, per non cadere.

«Questa mattina,» le rispose, «sono passato in facoltà...»

«Siamo quasi a ferragosto, non è chiusa?»

«Ho chiesto un piacere a un'amica della segreteria, che mi ha fatto entrare. Ho preso in prestito questo.»

Estrasse il metal detector dal baule della Clio.

«Ci servirà?»

«Se davvero qualcuno ha sparato, dovrebbero esserci i bossoli.»

Arrivarono all'incrocio.

La telecamera, preannunciata dal cartello azzurro, era sospesa a un palo metallico, sufficientemente in alto da riprendere le quattro vie semaforizzate. La strada di fronte a quella da cui provenivano, più stretta, con l'asfalto sconnesso, era costeggiata da frutteti. In fondo si scorgevano una serie di edifici rurali.

«Non si vede nessuno,» accennò Marianna, «saranno disabitati?»

«Intravedo dei panni ad asciugare, oltre quel ciuffo di alberi.»

«Se qui qualcuno ha sparato, potrebbero aver sentito?»

«Adesso il silenzio è assoluto,» considerò Sirio, «ma il giorno dell'incidente il frastuono prodotto dal TIR che ha investito Marco dopo la caduta dovrebbe aver coperto il rumore, sempre che qualcuno abbia effettivamente sparato e non sia stato usato un silenziatore.»

Marianna si guardava attorno.

«Dove mai avrebbe potuto appostarsi un uomo col fucile?»

Sirio sollevò il braccio, indicando il punto dove lo spartitraffico si allargava, alla loro destra.

«Soltanto laggiù, nell'ombra degli alberi, nascosto dai cespugli.»

Attraversarono.

Nella frescura relativa prodotta dalle chiome, ronzavano mosche; il terreno era coperto da uno strato sottile di foglie polverizzate, sterpi e aghi dei pini; mentre lo smuovevano con le scarpe, odorava di polvere e humus.

«E adesso?» chiese Marianna.

«Lo stato dei luoghi è mutato, ci sono cespugli dove prima non c'erano. Credo che sarà necessario battere a tappeto tutto questo tratto.»

Lei girò attorno lo sguardo: «Ci vorrà molto?»

«È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo,» scherzò Sirio, ripetendo una frase sentita nei film. «Ho promesso di aiutarti a cercare delle prove che avvalorino la tua ipotesi e lo farò, ma se non troviamo riscontri, dovrai accettare l'evidenza e rassegnarti.»

Marianna assentì con la testa e spostò le foglie col piede.

«Mi sembra un'impresa impossibile,» sospirò.

Era un po' tardi per recriminare. Sirio scacciò un moscone che continuava a ronzargli attorno alla faccia e avviò il metal detector. Considerò che Patricia, bella e disponibile, avrebbe trascorso il pomeriggio in spiaggia da sola, mentre lui sarebbe stato qui a cercare le prove di un improbabile omicidio commesso tre anni prima. Si impose di non pensarci e si mise al lavoro.

*

Sirio aveva mentalmente suddiviso lo spartitraffico in settori, secondo le possibili direttrici di mira di un ipotetico cecchino; escludendo le posizioni nascoste, quelle da cui la linea di tiro sarebbe risultata coperta dai tronchi degli alberi, dai cartelloni pubblicitari o da altri ostacoli. Inutile scansionare aree da cui il bersaglio non era visibile. Quindi aveva iniziato, a partire dai primi cespugli a ridosso dell'incrocio. Ormai erano le sette, l'aria immobile satura di afa. La polo e i jeans, intrisi di sudore, gli aderivano addosso. Il traffico veicolare era stato pressoché inesistente. Erano transitati dei trattori e un gruppo di ciclisti che chiacchieravano fra loro e nessuno, nel fitto ombreggiato di quella macchia di vegetazione, lo aveva notato. Il metal detector aveva ronzato diverse volte, scoprendo lattine di bibite, tappi di bottiglie e un mazzo di chiavi arrugginite. Marianna, a braccia conserte e la faccia scontenta, aveva fatto un po' su e giù lungo il ciglio della strada, poi, con la Clio, era andata a cercare un posto dove acquistare dell'acqua da bere.

Il contadino smilzo si era affacciato dalla cabina di un trattore con le ruote enormi e gli aveva gridato:

«Ohilà, stai sminando? Bada che l'ultima guerra è finita nel quarantacinque.»

Ridacchiava, si riteneva arguto e spiritoso ma Sirio, accaldato, irritato dalle mosche che lo tormentavano e dalla sete, gli aveva rivolto una smorfia di fastidio; ma quello, fingendo di rispettare il semaforo al rosso, aveva aggiunto:

«Non vuoi formaggio? Uova...? Beh, se ti interessa mi trovi in quella casa là, quella con i panni stesi».

Era ripartito, sbuffando una nuvola scura di nafta bruciata.

Trascorsa una mezz'ora, Marianna non si vedeva ancora e Sirio, esasperato, aveva ormai deciso di interrompere quell'inutile lavoro. L'autopattuglia della polizia si materializzò provenendo dalla direzione di Villa Sistina. Vedendolo accelerò lanciando qualche ululato con la sirena. Quando gli fu vicina, inchiodò con un lungo stridore di pneumatici. Scesero in quattro, con addosso i giubbotti antiproiettile e imbracciando mitragliette e pistole.

«Resti dov'è e tenga le mani bene in vista,» si avvicinarono, disponendosi a raggiera di fronte a lui. Sirio si appoggiò al petto l'asta del metal detector e sollevò lentamente le mani fino all'altezza delle spalle.

«Cosa ci fa qui? Mi fornisca un documento, per favore,» chiese il capo pattuglia arrivatogli vicino.

Ma che fine aveva fatto Marianna?

«Ho lasciato il portafogli in macchina,» gli spiegò, indicando con un gesto minimo della testa il proprio abbigliamento.

«Macchina, quale macchina?» si guardò attorno il poliziotto.

«La giudice Marianna Valtesi tornerà fra poco e potrà chiarire.»

L'altro aveva la faccia sospettosa: «Giudice? Quale giudice?»

«Sirio, in che guaio ti sei cacciato?»

La voce era quella di Marianna, le parole non esattamente quelle più appropriate.

Stava attraversando a piedi lo spartitraffico, provenendo dalla corsia opposta; barcollava sul terreno insidioso. Reggeva una bottiglia di brina imperlata di brina. Il tettuccio rossastro della Clio si intravvedeva al disopra dei cespugli.

«Che ha fatto?» chiese al capo pattuglia, indicando con la bottiglia verso Sirio.

L'altro, invece di rispondere, chiese a sua volta: «È lei il giudice Valtesi?»

Marianna inclinò la testa di lato: «Ci conosciamo?»

La situazione stava diventando paradossale, se non addirittura ridicola.

«Puoi mostrare un tuo documento d'identità all'agente, per cortesia?»

«Ho la borsetta in macchina,» agitò la mano libera, per far vedere che non l'aveva con sé, «vado a prenderla.»

Il capo pattuglia sollevò il mento per indicare a un sottoposto di seguirla.

«Marianna, per cortesia, porta anche il mio portafogli. È nel cruscotto.»

Finalmente, dopo che ebbero visionato i documenti ed ebbero eseguito le verifiche via radio si decisero ad abbassare le armi.

«Dottoressa, ha bisogno di assistenza?» chiese il capo pattuglia, mettendosi quasi sull'attenti.

«No, no, grazie. Abbiamo pressoché finito, vero Sirio?»

Gli agenti, fatto il saluto militare, erano tornati alla macchina. Erano ripartiti.

«Fortuna che c'ero io,» esclamò Marianna, «altrimenti avresti passato un bel guaio.»

Sirio pensò che non era il caso di commentare, considerò che il sole era prossimo al tramonto, che era stanco, desiderava una doccia gelata, una buona cena e di dividere il letto con Patricia.

«Direi di andare,» le disse, avviandosi e trascinandosi dietro il metal detector.

Lo strumento emise un ronzio di avvertimento. Il bossolo era coperto dalle foglie.

Si chinò per raccoglierlo:

«È stato utilizzato un fucile, per colpire un bersaglio a circa duecento metri di distanza,» indicò il semaforo e l'incrocio.

Marianna si accosciò accanto a lui: «Adesso, che si fa?»

«Devi far intervenire i RIS.»

«La Scientifica? Significherà dover spiegare a Gragnolo perché ci troviamo qui.»

«È inevitabile.»

«Mi toglierà il caso.»

«Non è detto, in fin dei conti hai dato prova di ottimo intuito investigativo. Potrebbe essere indotto ad assegnare a te anche il nuovo procedimento.»

«Per omicidio a carico di ignoti, intendi?»

«Certo.»

Si rimisero in piedi. Marianna avviò una chiamata sullo smartphone: «Gragnolo? Perdona se ti chiamo a quest'ora... ah, sei a cena. Chiedo di nuovo scusa, ma è importante...»

Parlando, si era allontanata e Sirio ne approfittò per chiamare Patricia.

* * *

Intorno alle due della notte Sirio aprì con precauzione la porta della camera 43 e la lasciò socchiusa. Il climatizzatore, sopra di lui, ronzava e spingeva sulle sue spalle aria fresca. Col chiarore proveniente dal corridoio distinse l'ingresso del bagno, proseguì sulla moquette e si sporse oltre lo spigolo del muro. Patricia dormiva nella parte più distante del letto, il respiro regolare, completamente nuda. Accese la luce in bagno, richiuse in silenzio la porta verso il corridoio, fece scorrere l'acqua nella vasca e si immerse. Aveva saltato il pranzo e la cena, abbassò le palpebre e appoggiò la nuca contro il bordo. Il tepore dell'acqua era gradevole, rilassante. Pian piano sentì la stanchezza scorrere via.

* * *

"My love", aveva esclamato Patricia, quando l'aveva chiamata al telefono dallo spartitraffico incriminato, "sei di ritorno?"

"Purtroppo no, ci sono stati degli sviluppi, abbiamo rinvenuto un bossolo. Qualcuno ha effettivamente esploso un colpo di fucile, qui, per cui adesso dobbiamo aspettare l'arrivo della polizia scientifica per i rilievi ufficiali."

"Ah."

La delusione era stata palpabile.

"Mi dispiace..."

"Non importa", si era ravvivata, "ti aspetterò sveglia."

Le aveva chiesto di non farlo, aveva insistito affinché andasse a dormire: era stanca per il viaggio, per la differenza del fuso orario, il jet lag...

"Mi troverai ad aspettarti, mi amor", era stata categorica lei.

Aveva lasciato il rubinetto aperto, l'acqua gli lambiva le orecchie, percepì che Patricia mormorava qualcosa nel sonno, di là dalla parete sottile. Aprì gli occhi e attese, ma non venne da lui.

Sirio tornò ad abbassare le ciglia.

Parlando, si era allontanato di una decina di passi, lasciando il metal detector come segnale per ritrovare il bossolo. Del sole rimaneva ormai soltanto un chiarore rossastro oltre le alture a occidente. Era stanco. Chiusa la telefonata con Patricia, si era avviato verso la Clio con l'intenzione di reclinare la spalliera del sedile, in attesa degli eventi. C'erano delle grosse pietre nella sterpaglia, aveva dovuto aguzzare la vista per evitare di cadere, e l'aveva visto. Disteso come un verme cattivo e rigido sopra un sasso levigato, giaceva un secondo bossolo identico al primo. Marianna era ancora al telefono, gesticolava e gli arrivavano brani concitati di conversazione. Aveva memorizzato la posizione e si era ritirato in macchina.

Dopo una quarantina di minuti Marianna si era accostata al finestrino:

"Gragnolo era abbastanza irritato, comunque manderà qualcuno a delimitare l'area e a presenziarla fino a domattina, quando farà intervenire gli agenti della scientifica".

"Ne ho trovato un altro."

"Un altro cosa?"

"Proiettile."

"Gli hanno sparato due volte?"

"No, è troppo distante. È stato esploso in un momento diverso."

"Che ne deduci?"

Sirio era sceso dalla macchina e vi si era appoggiato con la schiena.

"È un po' poco per azzardare ipotesi. Posso mai immaginare che uno psicopatico fosse affezionato esclusivamente a questa località e abbia fatto più tentativi prima di riuscire a uccidere una vittima a caso? Oppure che un assassino a sangue freddo volesse effettivamente colpire un bersaglio prestabilito e, conoscendone spostamenti e orari, avesse tentato già nei giorni precedenti di colpirlo, sbagliando il colpo?"

"Fammi vedere il bossolo", aveva chiesto Marianna.

L'aveva accompagnata fino al cumulo dei sassi.

"È orientato verso l'incrocio", aveva constatato lei, "proprio come l'altro. Sirio, dimmi la verità, l'ipotesi dello psicopatico la ritieni plausibile?"

"Improbabile. Vedi, forse non subito, ma dopo qualche tempo, l'eccitazione, la gratificazione per essere riuscito a portare a compimento la propria fantasia malata e soprattutto di averla fatta franca con la giustizia, lo avrebbero indotto a ripetere il crimine. Ricordiamo che sono trascorsi tre anni e non mi risulta si siano verificati casi analoghi."

Lei aveva tirato un respiro profondo: "Questo è vero. L'altra possibilità rimane pertanto quella più valida: volevano uccidere Marco Bardanti e ci sono riusciti".

"Prima di affermarlo con cognizione di causa bisognerebbe accertare se Bardanti è stato effettivamente colpito dall'arma che ha sparato questi bossoli. Direi che è necessario far esumare il corpo e aspettare i risultati dell'autopsia."

"Accidenti", Marianna aveva sbarrato gli occhi.

"Cosa?"

"È stato cremato."

Era rimasta a fissarlo qualche momento, sconcertata, poi aveva aggiunto: "La motocicletta è stata rottamata, il casco gettato via: la madre ha disposto così. Né l'assicurazione né il magistrato hanno avuto motivo di eccepire".

In quel momento erano sopraggiunte due volanti dei carabinieri, con i lampeggianti che coloravano di bagliori azzurrognoli l'incerta luce del crepuscolo.

"Dottoressa Valtesi, sono il maresciallo Bersamini", si era portato la mano alla visiera l'ufficiale, avvicinandosi, "il dottor Gragnolo mi ha spiegato per sommi capi la questione e mi ha incaricato di mettermi a sua disposizione."

Marianna gli aveva presentato Sirio, qualificandolo come consulente del tribunale e aggiungendo che la coadiuvava nell'indagine. Poi gli avevano indicato la posizione dei due proiettili.

"Va bene", aveva assicurato il maresciallo, "lascerò qui due uomini fino a domattina, quando interverranno i tecnici."

Mentre la Clio li riportava verso Bologna, Marianna aveva chiesto: "Adesso, che si fa?"

"Credo che la decisione, a questo punto, sia in mano a Gragnolo."

"Beh, se deciderà di avviare un procedimento contro ignoti e riterrà di affidarmelo, mi aiuterai?"

Non si era mai tirato indietro di fronte a un'indagine e questa si preannunciava sia complessa che stimolante: "Certo".

"Quanto sei caro. Ti adoro."

Si era protesa per baciarlo sulla bocca. Un lungo bacio carico di promesse.

Prima di scendere aveva sospirato: "A domani".

* * * 

Sirio uscì dalla vasca, si frizionò nell'accappatoio e andò a distendersi accanto a Patricia. Lei borbottò qualcosa nel sonno e gli appoggiò il braccio sul petto; gli passò entrambe le gambe sulle sue, bloccandolo; il respiro era caldo, i capelli profumati, la sua nudità eccitante, ma continuava a dormire. 


3

La mattina seguente, mercoledì, vennero svegliati alle otto dal trillo insistente del cellulare.

«Gragnolo vuole vederci.»

«Anna, cos’è questo plurale maiestatis? Io che c’entro?»

«Ti vuole parlare. Ha insistito. Potevo dirgli di no?»

Sirio sospirò: «Va bene, quando?»

«Fra un’ora.»

«Un’ora? Ma io stavo dormendo, mi trovo a Cesenatico, come posso arrivare a Bologna in un’ora?»

«Spicciati!»

La comunicazione venne chiusa.

Patricia, seduta nel letto come una sioux, lo osservava con gli occhi assonnati: «My love, che succede?»

«Si tratta di quell’omicidio, te ne ho accennato. Il magistrato vuole incontrarmi.»

«Ah,» era delusa, «fra un’ora?»

«Già.»

«Non puoi dirgli di no?»

Gli aveva appoggiato una mano sulla coscia, lo fissava con grande mestizia.

La tentazione era forte: «Potrei, ma… un cecchino che spara con un fucile di precisione a un furfantello di mezza tacca… chi sa cosa c’è sotto».

Aveva cominciato a vestirsi di furia.

Quando fu sulla porta, Patricia gli mandò un bacio in punta di dita e subito dopo gli fece ciao con la mano: «A più tardi, allora».

* * *

Aveva impiegato un’ora e mezza per raggiungere il tribunale di Bologna. Una segretaria bionda, giovane e spigliata lo avevano fatto accomodare in una sala d’attesa con altre persone. Sirio provò a chiamare Marianna, ma risultava non raggiungibile. Chiuse gli occhi e appoggiò la nuca contro il muro. La ragazza bruna nella sedia accanto alla sua, l’aveva notata entrando, espresse un commento: «Qui fanno il buono e il cattivo tempo, e nessuno può protestare».

Le rispose il tizio calvo seduto di fronte: «Io, appena entro in posti così… commissariati eccetera, subito mi sento un indagato».

«Il sospetto. Il sospetto, ragazzi miei…» fu l’opinione, che rimase incompiuta, del settantenne seduto accanto alla finestra.

Entrarono due giovani, una ragazzo e una ragazza, con tatuaggi vistosi su braccia e gambe, uscì l’uomo calvo. Entrò un quarantenne con la ventiquattrore in finta pelle, il tipo dell’avvocato d’ufficio alle prime armi, in jeans, giacca casual e camicia sbottonata sul collo. Uscì l’anziano dai motti incompleti. Uscì anche la ragazza della sedia accanto. Sirio rimase solo, a rimuginare su come avrebbe impiegato molto meglio il proprio tempo assieme a Patricia.

Pazienza!

Lui odiava i tempi morti, soprattutto se imposti, e gli piaceva agire in autonomia; due prerogative che al momento gli erano precluse. Marianna l’aveva posto dinanzi a un mistero che voleva indagare e risolvere.

Pazienza, si ripetette, è questo il prezzo da pagare per entrare a farne parte.

Finalmente la porta si aprì e la segretaria spigliata lo condusse dal giudice Gragnolo. Marianna era nella poltrona di fronte alla scrivania e sorrideva. Accanto a lei, il maresciallo Bersamini si alzò per stringergli la mano. Il giudice indicò una terza sedia: «Prego, professore, si accomodi».

Il magistrato doveva aver superato i sessant’anni. Calvo, naso adunco, fronte e testa punteggiate di macchie cutanee; voce greve, autoritaria.

«La dottoressa Valtesi mi ha riferito nel dettaglio l’indagine che avete avviato assieme,» le rivolse un sorriso tirato, «e voglio aggiornarla sugli ultimi sviluppi. Il maresciallo, poco fa, mi ha confermato che entrambi i bossoli sono stati esplosi dal medesimo fucile e, sembrerebbe, in un’epoca compatibile con l’incidente occorso a quel motociclista… Marco Bardanti, vero maresciallo? In questo momento i RIS stanno ancora setacciando la zona alla ricerca di eventuali ulteriori indizi.»

Bersamini aveva assentito con un cenno del capo, Marianna ascoltava con attenzione.

Gragnolo si schiarì la voce: «La dottoressa Valtesi vorrebbe che lei continuasse a coadiuvarla e io concordo. Sono pronto a sottoscrivere le autorizzazioni necessarie per la sua consulenza, sempre che lei accetti.»

Picchiettò col medio su alcuni fogli appoggiati sullo scrittoio, gli rivolse un’occhiata interrogativa.

I tre lo stavano fissando con un’espressione che sottintendeva sia una domanda che una sollecitazione e lui, pur chiedendosi come avrebbe potuto dedicarsi a Patricia senza trascurare le indagini, fece un sorriso e allargò le braccia:

«Perché no?»

Marianna si lasciò andare a un sospiro, il giudice sollevò l’indice:

«Detto questo, vediamo di entrare nel merito della questione. Abbiamo in corso un processo per omicidio colposo a carico di un automobilista che, non avendo rispettato il semaforo passato al rosso, avrebbe causato la morte del motociclista Marco Bardanti. Nel contempo, il ritrovamento di alcuni bossoli di arma da fuoco sembrerebbe dimostrare che lo stesso Bardanti sia stato assassinato da un colpo di fucile. Le motivazioni dell’omicidio, secondo la dottoressa Valtesi, potrebbero ricercarsi nell’ambito della malavita organizzata. Vendetta, regolamento di conti tra bande o similari. Non so se ve ne rendete conto, ma ci troviamo di fronte a un paradosso giudiziario, che è il seguente: può la vittima di un incidente stradale essere nel contempo anche la vittima di un killer armato di fucile? Avviando il procedimento che mi proponete, ci ritroveremmo per le mani un processo di troppo, non sembra anche a voi? A questo punto, in assenza del cadavere e di conseguenza non potendo eseguire l’autopsia per accertare le cause della morte, come si può stabilire quale dei due procedimenti portare avanti e quale invalidare?»

Marianna si mosse a disagio: «Senza contare che, nel caso del processo in corso, che si trova ormai nelle fasi conclusive, sarei personalmente propensa a riconoscere un concorso di colpa all’automobilista, per indurre la compagnia assicuratrice a un risarcimento in favore della madre del Bardanti, in quanto unica erede; mentre, nell’altro caso, quello relativo all’omicidio volontario, non otterrebbe nulla. Inoltre un ulteriore dubbio mi crea indecisione: non credo che la madre fosse a conoscenza dell’appartenenza di Marco al mondo della malavita. Avviando il nuovo procedimento, questo elemento verrebbe inevitabilmente alla luce in maniera cruda e brutale.»

Gragnolo si sporse leggermente dalla sua parte, la fronte accigliata: «Sei giovane. Comprendo come questo possa turbarti e rappresentare quasi un caso di coscienza, dal tuo punto di vista; ma, nel nostro mestiere, a volte è necessario essere obbiettivi e prendere le distanze dai sentimentalismi e dalle simpatie, un po’ come per i medici, capisci?»

Le aveva parlato con voce paterna, ma siccome Marianna seguitava a scuotere la testa, aggiunse: «Hai dei ripensamenti? Ti ricordo che sei stata tu ad avviare questa inchiesta parallela, fuori da ogni procedura giuridica e senza informarmene, se non a cose fatte.»

La fissava accigliato e Sirio intervenne in soccorso dell’amica:

«Non rimane che scoprire come stanno realmente le cose, prima di propendere per un’opzione o per l’altra. Se lei è ancora dell’avviso, avvieremo delle indagini».

Ci fu una lunga pausa, in cui il magistrato sembrò soppesare quanto gli aveva appena detto, quindi si protese in avanti.

«Bene, professore, spero che lei abbia le idee più chiare della dottoressa Valtesi. Dunque, sulla base di quanto emerso nel corso della riunione, per il momento ritengo di soprassedere all’apertura di un procedimento giudiziario su quello che abbiamo definito il secondo caso e di avviare una indagine, chiamiamola preliminare, per accertare come sono andate effettivamente le cose. Lei e il maresciallo opererete in sinergia, coordinati dalla dottoressa Valtesi.»

Appoggiò le mani sui braccioli e si alzò.

«Avete una settimana di tempo, per portarmi elementi concreti; quindi, che altro dire? buon lavoro!»

* * *

Erano quasi le due del pomeriggio, quando presero posto attorno allo scrittoio di Marianna Valtesi.

«Da dove si comincia?» esordì, fissando prima il maresciallo, poi Sirio.

Bersamini era uno di quegli uomini dall’espressione perennemente preoccupata. Rughe profonde gli segnavano la fronte e gli angoli della bocca. Prese la parola.

«Per prima cosa è necessario estrapolare dal fascicolo sull’incidente stradale tutti quegli elementi riconducibili al nuovo procedimento, soprattutto quelli riguardanti la vittima. Se vuole, metterò al lavoro qualcuno dei miei.»

Marianna assentì, con espressione pensierosa: «Certo. E tu, Sirio, che proponi?»

Troppe incongruenze, in questa storia.

Sirio si strappò alle proprie riflessioni:

«Direi di partire da qualche considerazione. Dal filmato della telecamera stradale abbiamo visto che Marco Bardanti, dopo essere caduto dalla motocicletta, è finito con la testa sotto la ruota dell’autocarro, che lo ha schiacciato. Doveva essere abbastanza malridotto, per cui mi chiedo: come si è provveduto al suo riconoscimento? Aveva con sé i documenti o cosa?»

Marianna gli rivolse un’espressione interdetta: «Sospetti forse che non fosse lui?»

«No, no…» Sirio si sporse in avanti, «come diceva giustamente il maresciallo, stiamo avviando una nuova inchiesta e dobbiamo ragionare come se partissimo da zero. Tu hai studiato a fondo il fascicolo… quindi?»

La risposta giunse un po’ esitante: «Beh, in effetti i documenti personali di Marco sono stati trovati nella sacca della motocicletta… no, non li aveva addosso; ma questo che può significare?»

«Nulla, al momento. Andiamo avanti: qualcuno ha proceduto all’identificazione del corpo?»

«Ma no, Sirio, te lo ripeto, sul luogo dell’incidente sono stati effettuati i rilievi di rito. È stata informata la madre. Le hanno fatto vedere il figlio soltanto il giorno seguente, dopo aver ricomposto la salma. È quanto si fa in questi casi. Il morto era lui, fosse stato vivo, prima o poi sarebbe tornato a casa, non credi anche tu?»

Un sorriso irritante le tirava le labbra.

«Avrei bisogno di un chiarimento,» sollevò la mano Bersamini, «nel corso della riunione dal dottor Gragnolo, si è accennato che Bardanti fosse un malavitoso. A noi risulta incensurato.»

Altre incongruenze!

L’espressione di Marianna mutò di colpo, si guardò attorno smarrita: «Quando l’ho conosciuto io, era nel giro dello spaccio. Sarà riuscito a farla franca».

«Già,» confermò il maresciallo, «deve essere così. Vorrà dire che attiverò i nostri informatori e che manderò degli agenti in borghese a fare domande nelle zone che frequentava. Qualcuno dovrà pur ricordarsi di lui».

«Ho notato un tatuaggio, molto scuro, sul polso destro, in una delle fotografie scattate dopo l’incidente. O forse si trattava di una escoriazione, di una ferita dovuta alla caduta. Non si capisce bene…»

La sua riflessione venne interrotta dal militare: «Attiverò gli specialisti dell’Arma. Farò eseguire degli ingrandimenti.»

Sirio lo gratificò di un sorriso: «Grazie, maresciallo. Intanto vorrei chiedere a te, Marianna, che lo conoscevi. Hai memoria di questo tatuaggio o di altri?»

«Certo, ne aveva diversi, però non credo di averci mai dato eccessiva attenzione, o comunque non li ricordo. Ma poi… altri ne avrà fatti aggiungere dopo che ci siamo lasciati, immagino. Rimane il fatto che continuo a non capire questo tuo insistere su dettagli irrilevanti. Quale importanza può avere, visto che il corpo è stato cremato?»

Le incongruenze confondono, avrebbe voluto spiegarle, ma, era questa la sede per addentrarsi in una delle sue lezioni?

«Sto solo raccogliendo dei dati,» si limitò a rispondere, «ripeto, abbiamo la necessità di conoscere quanto più possibile sulla vittima, per arrivare a capire chi potesse nutrire validi motivi per uccidere.»

Il maresciallo assentiva: «Se riusciremo a ottenere un’immagine abbastanza nitida, incaricherò qualcuno dei miei di fare un giro fra i tatuatori, anche se… mi permetta professore, come la dottoressa Valtesi, anch’io non ne ravvedo l’utilità».

«Oh…» esclamò Marianna, lanciando un’occhiata allo smartphone, «sono le tre. Direi che ci siamo detti tutto. Maresciallo, aspetto le risultanze delle sue verifiche. Ciao Sirio.»

* * *

Il traffico si dirigeva verso il litorale, congestionando la E45. Il sole di metà agosto richiamava madri con nidiate di marmocchi, branchi di giovinastri rumorosi e coppie di innamorati verso le spiagge. Gente spensierata che andava a cercare rifugio dalla calura soffocante della città. Sirio si manteneva sulla corsia lenta, lasciandoli liberi di sfogare l’impazienza. Non riusciva a concepire gli sbalzi d’umore repentini di Marianna. Le sue ultime parole avevano avuto il suono sordo di un benservito irrevocabile e questo, se da un lato avrebbe dovuto fargli piacere, perché gli avrebbe consentito di dedicare più tempo a Patricia e godersi qualche giorno di relax, per altro verso lo costringeva a prendere le distanze da una inchiesta che fin dalle prime battute si era rivelata a dir poco insolita.

A questo punto, considerato l’atteggiamento di chiusura della sua amica, avrebbe potuto serenamente infischiarsene. Invece i pensieri, come i cavallucci sulla giostra, continuavano a inseguire semplici domande che ruotavano attorno a non altrettanto semplici risposte. Assodato che il cecchino non era uno psicopatico (in tal caso avrebbe continuato a uccidere con le medesime modalità), rimaneva da capire perché un killer avrebbe dovuto appostarsi armato di fucile di precisione fra i cespugli di uno spartitraffico stradale per assassinare un teppista di periferia. A lui venivano in mente solo due alternative: o non era un teppista (ma allora, cosa?), oppure era stato ucciso perché scambiato per qualcun altro. Forse una buona dose di fortuna avrebbe potuto fornire una risposta alla prima ipotesi, per la seconda non sarebbe bastato un miracolo. E questo era frustrante.

L’insegna “Hotel Vacanze Felici” sovrastava l’ingresso del parcheggio riservato agli ospiti, Sirio la superò e trovò uno stallo in fondo.

Di là dalla siepe di cipressetti arrivavano le voci festose dei villeggianti che gremivano la piscina.

Patricia non era nella camera 43. La custodia del suo notebook giaceva sull’etagère, aperta ma vuota. Provò a chiamarla, ma il cellulare risultava irraggiungibile o spento. Indossò il costume da bagno, dei calzoncini e una t-shirt pulita. Scese nella hall. La receptionist non seppe dirgli dove fosse andata, non aveva lasciato la chiave. Al bar non c’era, in piscina nemmeno e al telefono la voce elettronica ripeteva la solita euforica tiritera. Attraversò il lungomare ed entrò nello stabilimento del lido. Incrociò il suo sguardo quando sventolò la mano verso di lui per richiamare l’attenzione. Sedeva su un trespolo all’ombra del gazebo incannucciato annesso al chiosco delle bibite. Sul tavolino, il notebook col coperchio bianco sollevato e due bicchieri di liquido arancione. Sullo sgabello accanto, di spalle, sedeva un tipo atletico in canotta rosa shocking.

«Mi amor, here I am... qui, sono qui...»

Li raggiunse e Patricia si protese per baciarlo sulla bocca.

«Lui è Max. Pensa, l’avevo scambiato per uno che si è imbarcato a Londra sul mio volo. Così l’ho chiamato… e mi ha raccontato una storia incredibile.»

Il giovanotto atletico, una barbetta rasa che Sirio aveva già visto, aveva negli occhi la stessa espressione di un cane sgridato. Gli porse la mano, fece per alzarsi.

«Perdonatemi, tolgo il disturbo.»

Voce pacata, quasi musicale.

«Ma no,» lo trattenne Patricia per il polso, «Sirio è un criminologo, potrà aiutarti.»

L’uomo sollevò il sopracciglio: «E come? Ormai…»

«Il tuo amico londinese è sparito?» chiese Sirio.

Patricia emise un gridolino eccitato: «Lo vedi? Ti ha appena visto e già ha capito tutto».

«Ho solo fatto due più due. Avevo notato con quanta trepidazione eri in attesa, alla gare degli arrivi internazionali, ieri mattina, e con quanto affetto hai abbracciato il tuo amico. Adesso lui non è qui, tu hai quest’aria afflitta e Patricia ha appena detto che posso aiutarti in qualità di criminologo. Dunque, vuoi raccontarmi cos’è successo esattamente?»

Patricia gli fece di sì con la testa. Sirio accostò al tavolo uno sgabello a trespolo, ci si arrampicò e sedette, con un piede appoggiato sul traverso e l’altro penzoloni.

Max esitava: «Come stavo raccontando a Patricia… ho conosciuto Andy su una chat di incontri. Era così gentile… abbiamo flirtato per qualche tempo sul web, poi abbiamo deciso che mi avrebbe raggiunto, per una piccola vacanza assieme. Lui vive a Londra…»

«È quanto gli aveva detto, ma, a questo punto, c’è da credergli?» si era intromessa Patricia.

Sirio approfittò dell’interruzione per chiedere: «Capiva l’italiano?»

«No, comunicavamo in inglese.»

«OK. Quindi?»

Max sospirò: «Ieri abbiamo trascorso una giornata d’amore perfetta; poi, stamattina, mi sono svegliato tardissimo, con una emicrania insopportabile. Non era accanto a me. L’ho chiamato. Era sparito… e con lui il mio braccialetto d’oro, i soldi che avevo nel portafogli, la carta di credito e…»

«Trentamila euro. Pressoché tutti i risparmi sul conto corrente,» finì Patricia per lui.

«Come c’è riuscito?»

«Ha eseguito un bonifico a proprio favore, dal mio computer,» Max rispose a occhi bassi.

«Come ha potuto?»

«Nel portafogli conservavo un biglietto con i codici per accedere all’internet banking. Forse ha utilizzato addirittura l’applicazione installata sul mio smartphone, dopo avermi drogato col sonnifero. Ho sporto denuncia, naturalmente. Che stupido sono stato… non conosco nemmeno il suo cognome… il poliziotto mi guardava con un’espressione…»

Accasciato, scuoteva la testa.

«Non vi siete registrati, in albergo?»

«Io avevo già pernottato la notte precedente. Avevo la chiave, così appena arrivati siamo saliti in camera. Nella hall c’era un viavai indescrivibile, nessuno ha badato a noi.»

«Ed è sparito anche dai siti web…» indicò Sirio il notebook di Patricia.

«Già!»

* * *

Patricia, anni prima, grazie alle sue capacità informatiche, era riuscita a sabotare un software molto sofisticato, in grado di veicolare i comportamenti delle persone mediante impulsi subliminali. La Rocklife & Monthgomery lo aveva realizzato per conto del ministero della difesa americano, che intendeva utilizzarlo sia in ambito militare che di controspionaggio. Senza l’intervento della software engineer Patricia Cromowel un uomo sarebbe morto e lui, Sirio, si troverebbe tuttora dietro le sbarre robuste di una prigione, accusato del suo omicidio.

«Fin dove puoi arrivare, con quello?» chiese Sirio a Patricia, accennando al notebook bianco.

«In teoria, ovunque. Dipende da dove vuoi che vada e da quanto tempo avrei a disposizione.»

«Hai ancora il numero del tuo volo?» le chiese ancora.

«Ho il ticket sullo smartphone,» lo orientò verso di lui per mostrarglielo.

«Molto bene. Allora… American Airlines, volo AA04365, atterrato a Bologna alle ore dieci e trentacinque di ieri. Cerca la lista dei passeggeri imbarcatisi a Londra.»

Patricia scosse la testa.

«Non è poco. Mi stai chiedendo di violare il sito di una compagnia aerea, superare i blocchi di sicurezza e aggirare i vari firewall. Beh, potrei anche riuscirci, ma non prima del prossimo Natale. Non avresti una domanda di riserva?»

Sirio si rivolse a Max: «Hai provveduto a bloccare il conto corrente, immagino».

Il giovane aveva seguito quello scambio di battute con la fronte accigliata.

«Certo,» rispose, «e anche la carta di credito. Più o meno alle undici e mezza di questa mattina.»

«Bene, se fornisci le coordinate bancarie a Patricia, vediamo di scoprire dove si trova il bravo Andy, in questo momento. Vero, Pat?»

«Questo è più facile,» gli rispose lei. Poi, rivolgendosi a Max, che la fissava interdetto, «sarà come se tu avessi richiesto in un qualsiasi sportello Bancomat gli ultimi movimenti della carta, qualche minuto prima del blocco.»

Cominciò a digitare sulla tastiera i dati che le forniva.

«Ha speso poco più di duecento euro in un negozio di calzature in via Robespierre, a Cesenatico…»

«È ancora qui?» si guardò alle spalle il giovane, con gesto istintivo.

«C’era intorno alle nove.»

«Un momento, come conosceva il codice segreto della carta?» chiese Sirio.

«Beh, deve averlo memorizzato mentre pagavo il conto del ristorante, ieri a cena.»

Patricia riprese: «Poi ha lasciato cinquanta euro a un taxi, poco prima delle undici.»

«Si è fatto portare in aeroporto?» chiese Max.

«Forse… o forse no. Patricia, puoi individuare quel tassì?» la pressò Sirio.

«Il nome della compagnia, appare sulla ricevuta di pagamento. Le vetture sostano in una piazzetta a ridosso di via Robespierre. Vediamo se trovo un varco…» continuava a percuotere i tasti a velocità iperbolica, «ecco, sono entrata nei loro tracciati GPS. Verso le nove si sono mosse due macchine. Ho bisogno di incrociare un secondo dato. Max, qual è il numero di telefono di Andy?»

«Lo ha spento. Ho provato a chiamarlo più volte.»

«Era spento mentre provavi. Su, dettamelo.»

Lui lo richiamò dalla rubrica e orientò lo smartphone verso di lei, perché potesse leggerlo.

«Eccolo,» esclamò Patricia, dopo qualche tentativo sulla testiera del personal, «lo ha acceso per pochi minuti, verso le dieci. Bingo! Taxi e smartphone si trovavano nel medesimo punto della E45.»

Sirio la incalzò: «La vettura, dimmi, ha proseguito fino all’aeroporto?»

«Sì.»

«Ti dispiace dare un’occhiata alla partenza del prossimo volo per Londra?»

«L’ho già fatto io,» esclamò Max, «alle undici, questa notte.»

* * *

Erano quasi le sette di sera, il lido si andava svuotando. Le ombre si protendevano in direzione del mare. Sotto la tettoia annessa al chiosco delle bibite, giovani in bermuda colorati e ragazze in minigonne jeans prendevano il posto di bagnanti in costume da bagno e infradito. Sirio ragionava in fretta.

«Abbiamo poco tempo,» considerò.

«Per fare cosa?» chiesero quasi assieme gli altri due.

«Per fermarlo.»

«Lo ritieni possibile?» domandò Patricia.

«Forse no, ma voglio provarci. Intanto… puoi seguire il flusso del denaro uscito dal conto di Max e vedere dov’è finito?»

«Se conoscessi la sua identità, se disponessi del tempo necessario e di qualche applicazione pirata, ci riuscirei. Al momento, per come stanno le cose, sarebbe possibile soltanto alla sua banca o agli informatici della polizia; ma, negli USA, questo è consentito soltanto dietro ordinanza di un giudice. Qui da voi ritengo sia più o meno lo stesso.»

Gli informatici della polizia… un giudice… Sirio inseguiva velocissimi pensieri.

Sotto gli sguardi accigliati degli altri due, richiamò un numero dalla rubrica dello smartphone e inviò la chiamata.

«Maresciallo Bersamini? Sono… ah, ha il mio numero nella memoria! Bene, dovrei rubare pochi minuti del suo tempo…»

Gli fu necessario un buon quarto d’ora per riferirgli la disavventura del giovanotto in canotta rosa seduto sullo sgabello accanto a lui.

«Sappiamo che il truffatore, che si faceva chiamare Andy, in questo momento è in aeroporto e intende imbarcarsi per Londra col prossimo volo. È l’ultima occasione che abbiamo per fermarlo e assicurarlo alla giustizia.»

«Professore,» disse il maresciallo, «comprendo il suo… chiamiamolo entusiasmo e voglio sorvolare sulle modalità utilizzate per conoscere la posizione del presunto sospettato, però, lei mi insegna, io non posso arrestare un cittadino, oltretutto uno straniero, a semplice richiesta di chicchessia, fosse anche un criminologo.»

«Ma… non potrebbe almeno sollecitare la compagnia di volo a rivelarci la sua identità?»

«Sirio,» la voce all’altro capo della linea, divenne meno formale, «non capisco a cosa potrebbe servirle e, seconda cosa, le sembrano proposte da fare a un maresciallo dei carabinieri nell’esercizio delle proprie funzioni?»

Sirio ignorò l’eccezione e insistette: «Però, se inseguendo il flusso del denaro trafugato si scoprisse che è finito sul conto corrente di questo Andy, sarebbe una prova e si potrebbe intervenire.»

«Sarebbe una supposizione! Avvengono miliardi di transazioni bancarie, in ogni momento, e non è detto che siano delle truffe. La prego, non insista, il suo cliente ha sporto denuncia, la legge farà il suo corso.»

La denuncia avrebbe solo fornito dati per aggiornare statistiche, sapeva Sirio. Tenne per sé questa considerazione e aggiunse, con un tono carico di sottintesi:

«Potrei chiedere un favore alla giudice Marianna Valtesi, in questo senso.»

Bersamini sbuffò apertamente: «Che posso dirle? Faccia come crede».

Aveva chiuso senza salutare.

Sirio sorrise.

«Adesso Marianna,» disse, come fra sé, spostando il pollice sui tasti del cellulare.

Anche a lei riassunse la disavventura di Max e le comunicò la propria intenzione di fermare Andy. Anche lei lo diffidò dal prendere qualsiasi iniziativa, perché, ripetette più volte, agiva al di fuori di qualsiasi prassi giuridica.

«Dovresti saperlo!» aveva riagganciato, anche lei senza un saluto.

«Sei impazzito?» esclamò Patricia, «come potevi sperare in una risposta diversa?»

«Sapevo perfettamente cosa mi avrebbero risposto, sia l’uno che l’altra, ma lo scopo delle telefonate era tutt’altro.»

«E quale?» Patricia era perplessa.

«Lanciare un sasso nello stagno provoca onde,» le sorrise, mostrandole l’espressione più furbesca del proprio repertorio.»

«Sei pazzo,» disse la ragazza.

Max seguiva quei battibecchi senza capire.

«È tardi,» Sirio ignorò il commento, «e dovremo sbrigarcela da soli. Perciò mettiamoci al lavoro, se vogliamo concludere questa faccenda entro le undici.»

* * *

Anche quel giorno Sirio aveva saltato sia il pranzo che la cena. Stava diventando una poco salutare e alquanto incresciosa consuetudine. Cambiatisi di fretta, tutt’e tre adesso correvano sulla E45 in direzione dell’aeroporto di Bologna Borgo Panigale, stipati nella piccola utilitaria viola col climatizzatore fuori uso e l’aria calda che scorreva attraverso gli spiragli dei finestrini.

Sirio accennò con un gesto della testa al personal che Patricia teneva appoggiato sulle ginocchia: «Attiva il tuo lancia razzi».

«What? Lancia… razzi?»

«So bene che nelle tue mani quel notebook può trasformarsi in una rampa di lancio per testate nucleari,» le ammiccò.

«Ah, okay, che vuoi che faccia?»

«Il nostro Andy ha acceso il cellulare per pochi minuti, poi è tornato irraggiungibile e lo è tutt’ora, giusto?»

«È così,» confermò Max, dal sedile posteriore.

«Se avesse sostituito la SIM, tu, Patricia, tramite l’indirizzo IP del cellulare, potresti risalire al nuovo numero?»

«Se ha fatto qualche telefonata, sì.»

«Allora procedi. L’ideale sarebbe di poter entrare nel suo telefonino prima che lo spenga all’imbarco.»

La piccola Clio viaggiava al di sopra dei limiti di velocità consentiti, il ticchettio dei tasti del personal sovrastava il brontolio del motore e il fruscio dell’aria.

«Ci sono,» esultò Patricia, «sono nel suo smartphone.»

«Bene. Adesso, nel tuo miglior inglese, invia questo sms al nuovo numero di Andy: Caro Andy, le scarpe che hai acquistato in via Robespierre, prima di salire sul tassì per fuggire, non ti permetteranno di andare lontano. Il percorso dei trentamila euro che hai trafugato dal conto corrente di Max, mi porterà fino a te. Sarò la tua ombra. Ti aspettano solide manette e una cella con sbarre robuste.»

«Non capisco, ma okay, fatto.»

«Molto bene. Adesso, tramite il GPS, riesci a seguire i suoi spostamenti?»

«Ecco… yes… lo vedo. Posso anche aumentare la risoluzione e collocarlo nello spazio, se vuoi.»

«Certo. Dov’è?»

«È nell’atrio partenze.»

«Dobbiamo fare in modo che abbia l’impressione di essere osservato.»

«Cos’è? Una tecnica di condizionamento, di quelle che insegni nelle tue lezioni?»

Forse stava pensando proprio alla tecnica usata contro di lui nell’affare del BW139, ragionò Sirio, ma, invece di rispondere, le pose delle domande:

«Hai visto The Truman Show? Hai letto 1984 di Orwell? Nessuno può trovarsi a proprio agio in un reality che lo insegue a tempo indeterminato. Soprattutto se ha la coscienza sporca».

«Del tipo: Il grande fratello incombe su di te?» Scherzò Patricia.

«Scriviglielo,» disse Sirio.

«Davvero?»

«Perché no. Deve sentirsi i nostri occhi addosso, come se fossimo lì e potessimo scrutarlo.»

«Si sta spostando,» disse lei, «è nel bar dell’aeroporto.»

«Scrivigli: Goditi questi ultimi momenti di libertà, fra poco l’unico caffè che potrai bere ti sarà offerto dalle prigioni italiane

Patricia, concentrata, seguitava a percuotere la tastiera.

«Okay,» ripetette, premendo il tasto di invio.

«Puoi verificare se lo ha letto?»

«Li legge tutti subito. Me lo immagino… a fissare incredulo il cellulare e a guardarsi attorno.»

«Non capisco,» giunse la voce di Max, dal sedile posteriore, «cosa contate di ottenere?»

«Pressione psicologica. Continueremo a bersagliarlo finché saremo lì.»

«A quel punto?»

«Se conosco la natura umana, qualcosa accadrà.»

«Si starà chiedendo chi siamo,» si intromise Patricia, «forse starà immaginando che lo sorvegliamo tramite il circuito delle telecamere. Starà cercando di capire se sia possibile.»

Tacquero per alcuni minuti. Nell’abitacolo angusto rimase il fruscio monotono della velocità, coperto dal ticchettio intermittente della tastiera.

«Ho reperito nel web una fotografia recente dell’area ristoro,» disse la ragazza.

«Inviagli un sms come se ti trovassi sul posto e potessi osservarlo.»

«Il cartellone della pubblicità ti nasconde, ma so che sei lì... può andar bene?»

«È perfetto. Invialo.»

«Pensate che potrei scrivergli dei messaggi anche io?» chiese Max.

«Perché no. Bombardamento a tappeto!»

Continuarono a tartassare il nuovo numero di Andy finché furono in vista delle luci dell’aeroporto. La Clio, senza rallentare, diresse verso gli ingressi delle partenze internazionali.

«Patricia,» disse Sirio, «un ultimo messaggio dal notebook: Non prenderai quel volo… poi passa l’applicazione sul tuo smartphone.»

Bloccò la Clio in un’area destinata alla sosta dei pullman e scese.

«Fatto,» disse Patricia, uscendo a sua volta, «e adesso?»

«Vediamo di mantenere la promessa che gli abbiamo appena fatto.»

Corsero tutt’e tre verso l’atrio illuminato.

* * *

Mancavano due minuti all’apertura dei cancelli d’imbarco. Sirio rilevò l’informazione sul tabellone luminoso e attraversò l’atrio senza rallentare. Lunghe code di passeggeri affollavano il banco del check-in e fu costretto ad aggirarle. Raggiunse la gare del volo per Londra e si fermò a osservare la fila in attesa.

«Lo vedi?» chiese Patricia, raggiungendolo.

«No.»

«Eccolo,» ansimò Max tendendo il braccio.

Il suo sosia aveva fatto capolino e li aveva scorti. Era uno dei primi della fila. Si era ritratto.

Sirio afferrò Max per il gomito e lo sospinse avanti, Patricia affrettò il passo, per rimanergli vicino. Le persone in attesa, man mano che li notavano, si facevano da parte con espressioni preoccupate. Raggiunsero Andy, che rimase a fissarli immobile, a occhi sbarrati.

«È lui?» chiese Sirio a Max, in inglese.

«Yes.»

«Deve venire con noi in commissariato,» gli intimò, sempre in inglese.

L’altro alzò di scatto le mani, mentre una voce alle spalle di Sirio, di Patricia e di Max scandiva, in un inglese scolastico ma accettabile:

«Mister Andrew Hastings, da questa parte, prego, dobbiamo eseguire un controllo».

Il maresciallo Bersamini afferrò Andy per il gomito e lo indusse a seguirlo verso il posto di polizia dell’aeroporto.

5

 Quando Sirio, alle nove e cinquantacinque di venerdì, entrò nello studio di Marianna, il maresciallo Bersamini occupava già la poltrona di fronte allo scrittoio. Si alzò per tendergli la mano.

«Stavo riferendo alla dottoressa Valtesi i passi intrapresi per avviare la nuova inchiesta,» esordì, quindi aggiunse, porgendogli una cartella grigia, «il mio staff ha raccolto i dati salienti in questo dossier.»

Sirio la aprì subito. Nella fotografia in cima alla pila dei documenti, Marco Bardanti poteva avere al massimo diciotto anni. Una faccia squadrata, giovanile e impavida; capelli chiari e occhi neri puntati al centro dell’obbiettivo; collo robusto, mal contenuto dal colletto sbottonato della camicia.

«È quella sulla carta d’identità?» chiese.

«Sì, e anche sulla patente.»

«Ne abbiamo qualcuna a figura intera?»

«Non da vivo,» rispose il maresciallo, «dai documenti d’identità rileviamo che era alto un metro e ottantadue.»

Sirio sfogliò le fotografie scattate sul luogo dell’incidente, fascicolate in ordine cronologico. Nella prima, la testa si trovava ancora sotto la ruota dell’autocarro, le braccia avevano pose scomposte, le gambe ripiegate. Sirio le osservò tutte con attenzione. Mostravano le operazioni delle autogru dei vigili del fuoco per sollevare il veicolo. Seguivano varie inquadrature della salma ricomposta, distesa sull’asfalto della strada, coi nastri di sbarramento attorno, il carro mortuario in attesa e i poliziotti che allontanavano i curiosi; altre mentre il cadavere veniva ispezionato dal medico legale. Il volto era irriconoscibile, la corporatura massiccia, atletica. Indossava dei jeans, un giaccone nero di pelle e scarpe sportive. Ne aveva persa una, nell’incidente, e il calzettone era lacero, il piede insanguinato. Il fascicolo conteneva anche i fotogrammi a scatti singoli del filmato della telecamera stradale, ma confusi, essendo stati estrapolati da immagini in movimento; inoltre il motociclista indossava il casco integrale ed era ripreso di spalle. Del tutto inutili, quindi, ai fini di un riconoscimento.

«Ti vedo perplesso,» disse Marianna, accigliata, «ancora nutri dubbi che non fosse lui?»

Non aveva voglia di intraprendere una discussione su quell’argomento.

«No, no. Esaminavo semplicemente il dossier.»

«In quella scheda,» il maresciallo indicò il documento successivo, «abbiamo riassunto tutte le informazioni che siamo riusciti a raccogliere.»

«Originario della provincia di Cosenza,» lesse Sirio, «il padre, anche lui Marco, era un operaio edile e lavorava per un’impresa locale. È morto in un infortunio sul lavoro quando il figlio aveva dieci anni. La madre, Immacolata Falani, detta Tuccia, l’anno successivo lo porta a Bologna; vanno a stare da un suo fratello, Giustino Falani, e la sua famiglia, in una casetta colonica in località Quadraro, tra le frazioni di Villa Sistina e Casalmaggiore, a nord di Bologna, dove tuttora risiede. Tre anni dopo, quando Marco ha quattordici anni, la famiglia dello zio fa ritorno a Cosenza, mentre il ragazzo rimane con la madre nella casa colonica. Frequenta le scuole medie nell’istituto Luigi Pirandello di Villa Sistina. All’età di diciotto anni consegue la patente di guida e acquista uno scooter della Honda, che vende tre anni dopo per comprare la motocicletta su cui è morto, una BMW 650. All’epoca la sua residenza era ancora presso la madre e non risulta intestatario di alcun conto corrente bancario.»

Marianna, che aveva ascoltato con molta attenzione, si riscosse: «Quest’ultimo dettaglio confermerebbe la sua appartenenza alla microcriminalità, un mondo in cui qualsiasi transazione avviene esclusivamente per mezzo di denaro contante».

Il maresciallo assentì con la testa: «È molto probabile, ma c’è qualcosa che non torna. Come avevo promesso, ho cercato di attingere qualche indicazione su di lui attraverso i nostri informatori abituali. Ebbene, nessuno ricorda un pusher che risponda alle sue caratteristiche fisiche e nessuno lo ha riconosciuto nella fotografia, quella che è a inizio del dossier.»

«Niente di strano,» si agitò la donna, «questo non prova niente. Nella fotografia aveva diciotto anni; a ventitré, quando è morto, poteva essere molto diverso… è sufficiente che per qualche tempo sia andato in giro con la barba, o con i baffi… perché non si ricordino di lui.»

«Certo, certo,» disse il maresciallo, condiscendente.

Sirio sollevò dal dossier un’altra fotografia.

«Vedo,» disse, «che effettivamente la vittima aveva un tatuaggio, sul polso destro. L’immagine è sgranata, a causa del forte ingrandimento, ma ritengo ci siano pochi dubbi sul fatto che si tratti di un teschio.»

Marianna si rivolse al maresciallo: «Ha poi fatto ricerche, presso i tatuatori della zona?»

«Sì, ma nessuno ha riconosciuto in quella immagine il proprio stile, come dicono loro, né ricorda Marco Bardanti. Quest’uomo,» sospirò, «oltre a essere stato privato del futuro, sembra non aver avuto nemmeno un passato. Comunque, volendo proseguire le indagini, potremmo fare ricerche fra i compagni del Pirandello, a Villa Sistina, chissà non fosse rimasto in rapporti d’amicizia con qualcuno.»

«Certo,» confermò lei.

«Nel contempo,» si intromise Sirio, «dovremmo rivolgerci a chi sicuramente lo conosceva…»

«E chi?» fu precipitosa Marianna.

«Sua madre,» le rispose, alzandosi.

 

* * *

Quando l’autovettura dei carabinieri arrivò all’incrocio, il semaforo era sul verde. Lo superò a bassa velocità e imboccò la strada sulla sinistra, oltre lo spartitraffico alberato. Su entrambi i lati si estendevano frutteti e campi arati di fresco. Il tetto di qualche casolare faceva capolino al disopra degli alberi e qualche mucca pascolava sui prati in declivio. Un cane abbaiò al loro passaggio e li inseguì per un breve tratto. Il maresciallo Bersamini, che sedeva di fianco al carabiniere alla guida, sollevò lo smartphone, mostrando la mappa sul piccolo schermo: «Siamo quasi arrivati. C’è una stradina, sulla destra. Dobbiamo percorrerla per circa un chilometro».

«Per recarsi in città, Marco doveva per forza attraversare l’incrocio dove è morto. Non ci sono altre strade,» osservò Marianna, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Bersamini tese il braccio.

«Ecco, entra qui,» disse all’autista.

Il varco nella siepe di rovi diventava un vialetto sterrato, quasi invisibile fra l’erba incolta. Quanto rimaneva di un vecchio cancello in legno giaceva a terra, sulla destra, sommerso dalle spine. Un cascinale malandato si intravedeva, più avanti, sulla sinistra, seminascosto da un alto noce che formava una vasta macchia d’ombra sul terreno, davanti alla casa. A una finestra del piano superiore mancava la persiana e un tratto di grondaia penzolava dal tetto, sul punto di cadere. L’acqua di un fontanile rifletteva, con leggeri bagliori, i raggi del sole pressoché allo zenit. Galline razzolavano per l’aia.

I quattro occupanti scesero dall’autopattuglia.

Mentre il carabiniere rimaneva accanto alla macchina, il maresciallo, Marianna e Sirio arrivarono alla porta, che era spalancata. Bersamini bussò sull’anta e scostò la tenda scacciamosche. L’interno era in penombra, non perveniva alcun suono.

«C’è nessuno?» diede voce il maresciallo.

«Che succede?»

Si voltarono. La donna era apparsa dall’angolo della casa. Indossava dei calzoni senza forma, una camicia da uomo e scarpe da lavoro infangate. Nella mano destra reggeva una piccola zappa, con l’altra sciolse il fazzoletto che le copriva la testa e liberò i capelli, neri, striati di fili candidi. Un grosso cane da pastore smise di saltellarle attorno e venne scodinzolando verso di loro. Marianna si ritrasse.

«È buono,» li rassicurò, avvicinandosi e appoggiando la mano sulla testa dell’animale, «è un cucciolone… ma… voi?».

«Signora Bardanti…» si presentò Marianna, «sono il magistrato che indaga sulla morte di suo figlio, dovremmo porle alcune domande.»

L’altra non rispose subito, appoggiò la zappetta al muro e chiese, con lo sguardo sospettoso: «E perché?»

Aveva una voce stridula ma controllata, con una forte inflessione dialettale. Pronunciava la e aperta, prolungava le ultime vocali delle parole in una leggerissima eco.

«Non potremmo entrare in casa?» suggerì Sirio.

Lei lo fissò a lungo. Scrutò Marianna e il maresciallo in divisa. Sembrò soppesare il significato del carabiniere accanto all’autopattuglia.

Fece un gesto con la mano: «Venite».

La cucina era fresca, rispetto alla calura esterna.

Un grande camino, adesso spento, occupava buona parte del muro di fronte alla porta. Le pareti e il soffitto erano ingrigiti dalla fuliggine. La stanza aveva due finestre, che erano aperte; i vetri conservavano la fuliggine dell’inverno. La più vicina affacciava verso la strada d’accesso.

Sirio guardò fuori. Il carabiniere faceva su e giù nell’ombra del noce, si era tolto il berretto e si stava asciugando la fronte col palmo della mano. Sotto al davanzale dell’altra finestra, sul ripiano di marmo di un vecchio lavandino in cemento, erano appoggiati ad asciugare due piatti e due bicchieri. Oltre i vetri si scorgeva, sul retro della casa, un orto in pendenza. Il loro arrivo doveva aver interrotto la donna mentre preparava i solchi per la piantumazione. Una zappa, più grande di quella lasciata vicino all’ingresso, giaceva abbandonata nel campo. Gli sembrò di scorgere un movimento, fra la vegetazione, un poco più avanti.

La donna indicò le sedie impagliate attorno al tavolo: «Potete sedervi».

Marianna prese posto accanto a lei, Sirio all’altro capo del tavolo, il maresciallo rimase in piedi, vicino alla porta, con le mani dietro la schiena.

«È morto tre anni fa, che c’è da chiarire?» si protese in avanti la donna.

Il dossier del maresciallo riportava la sua età, cinquantatré anni, ma, a causa della pelle riarsa dal sole e delle rughe profonde sul viso, ne dimostrava almeno dieci di più.

«Sono sorti degli elementi nuovi… necessitano ulteriori indagini,» spiegò Marianna.

«Cioè? Non capisco.»

«Forse Marco non è rimasto vittima dell’incidente stradale, forse gli hanno sparato.»

«Sparato? E chi gli avrebbe sparato?»

«È quanto stiamo cercando di capire. Lei potrebbe aiutarci.»

La donna strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure: «E come?»

Marianna sedeva eretta, l’espressione attenta. Doveva aver ripassato con molta attenzione le tecniche di interrogatorio.

«Ci pensi bene,» disse, «aveva dei nemici? Qualcuno poteva aver motivo di rancore nei suoi confronti?»

Le domande di routine. La donna, concentrata, rispondeva strascicando le parole, con quell’intonazione propria delle sue origini.

«Ma no. Era un bravo ragazzo. Un lavoratore!»

«Lavorava?» sembrò sorprendersi Marianna, «e che lavoro svolgeva?»

La madre doveva aver colto la leggera precipitazione con cui aveva posto la domanda, esitò, prima di rispondere.

«Beh… non aveva un impiego fisso. Faceva quello che gli capitava. Il muratore, il manovale… guidava il camion… anche il trattore… oppure faticava nei campi. Insomma, quello che capitava.»

Marianna si voltò verso Sirio. L’espressione mostrava incredulità e Sirio dovette intervenire per distrarre la donna, prima che se ne accorgesse:

«Viveva qui con lei?»

«Sì… con me.»

«Dormiva qui?»

La domanda la sorprese: «Che dice? Non capisco?»

«Le chiedevo se rientrava, la sera… o se invece non rimanesse fuori, di notte.»

Adesso, di fronte a una domanda diretta, esitava. Marianna tratteneva il respiro, il maresciallo, impassibile, seguiva ogni parola.

«Beh, non sempre.»

«Aveva amici, immagino, qualche ragazza…» riprese il controllo Marianna.

L’altra strinse le labbra: «Certo, alla sua età… ma perché tutte queste domande?»

«Può dirci il nome di qualche suo amico, le ha mai presentato qualche fidanzatina, le ha mai nominato qualcuno che gli ha dato lavoro?»

«No, non mi parlava delle sue cose… lui era fatto così. Ma insomma, che c’entra tutto questo con la sua morte?»

«Dobbiamo capire perché gli hanno sparato,» si intromise Sirio, brusco, per provocarla.

«Nessuno gli ha sparato,» reagì la donna. Tratteneva la voce per non urlare, le mani protese, le dita spalancate. Gli occhi lucidi, ma non di pianto, bensì d’ira trattenuta. «Mio figlio è morto con la testa schiacciata sotto le ruote di un autotreno. E questo è tutto.»

Si alzò. Ma Bersamini sbarrava la strada: «Non abbiamo finito, signora. Dobbiamo vedere la camera di suo figlio».

* * *

La stanzetta si trovava esattamente sopra la cucina. Le finestre, con i vetri puliti, erano disposte nella medesima posizione. La branda, accostata al muro sulla sinistra, il lenzuolo di bucato, rimboccato tutt’attorno, il cuscino teso. Di fronte, l’armadio, di appena due ante. A seguire, prima della finestra che affacciava sul retro, un piccolo tavolo con sopra un computer portatile, col coperchio sollevato, la sedia spostata dal tavolo.

«Ha ospitato qualcuno, di recente?» chiese Sirio.

«Ma no. Cosa va a pensare? Tengo in ordine questa camera…» parlava a testa china, remissiva, adesso, «come se Marco possa un giorno tornare e trovarla pronta. Beh… fantasie sceme di madre!»

Sirio conosceva, insegnava, la cinesica, la scienza che studia il linguaggio sincero del corpo. Questa donna mentiva, ma… su cosa?

«Ho notato,» le disse, «che nemmeno qui ci sono fotografie di suo figlio.»

Lei continuava a evitare di incrociare sguardi: «Che ci trova di strano? Siamo gente di campagna, non siamo abituati a queste cose».

«Direi che possiamo riscendere,» disse Marianna, voltandosi.

Sirio fece in modo di uscire per ultimo. Mentre gli altri erano per le scale e non potevano vederlo, aprì una delle due porte che affacciavano sul pianerottolo. La camera da letto della madre. Era pressoché al buio. La finestra, in fondo, doveva essere quella senza persiana che aveva notato arrivando. Robusti portelloni interni tenevano fuori la calura e la luce. Un letto matrimoniale, disfatto da un solo lato. Gonna e maglioni abbandonati sulla spalliera di una sedia. Sul comò, che si trovava accanto alla porta, soltanto una spazzola per capelli e qualche capo di biancheria intima dimenticato. Nessun cosmetico e, anche qui, nessuna fotografia.

Richiuse.

L’altra porta doveva corrispondere al bagno. Dalle voci capì che gli altri erano arrivati al piano terreno e dovette affrettarsi a raggiungerli.

Uscì nella luce e nel calore violento del pomeriggio. I tre erano in piedi sullo spiazzo, l’autista stava lasciando il rifugio ombroso del noce per avvicinarsi.

 Notò, nell’ombra fitta dell’albero, la lunga catena abbandonata al suolo, il pagliericcio lercio e la bassa tettoia di legno appoggiata a dei mattoni.

«Tiene il cucciolo di pastore alla catena?» chiese.

La donna girò d’istinto la testa: «Eh? Ma no. Avevamo un altro cane. Faceva buona guardia però era cattivo, attaccava tutti e dovevamo legarlo. È morto… saranno più o meno tre mesi».

Marianna si passò la mano sulla fronte accaldata, scosse la testa verso Sirio, con l’espressione che diceva: Che c’entra?

Lui la ignorò e insistette, rivolto alla donna: «Prima, ho notato un’altra zappa, sul retro, nell’orto, e ho scorto qualcuno. Mi è sembrato che si nascondesse».

«C’era qualcuno? Un vagabondo, può darsi, ogni tanto capita.»

«Lei non ha paura a stare qui da sola?» le chiese Marianna.

«Paura? E di cosa? Chi dovrebbe voler fare del male a una vecchia inutile come me?»

«Direi che è tutto, direi che possiamo…»

Marianna stava per voltarsi verso la macchina allorché Sirio l’interruppe:

«Mi scusi, signora, ho bisogno del bagno».

La donna esitò. Poi disse, accennando col mento: «Di sopra, la porta di fronte alla scala».

* * *

 

Se a Bologna erano le tre del pomeriggio, a Morgantown, in Virginia, dovevano essere le nove del mattino e Patricia, con ogni probabilità si trovava al tavolo di cucina dei suoi genitori a sorseggiare il primo caffè americano della giornata, mentre la pancetta per la prima colazione finiva di abbrustolire sul fornello.

Sirio inviò la chiamata mentre saliva i gradini a due per volta.

Prima, non visto, aveva premuto il pulsante di avvio del personal computer nella stanzetta di Marco. Purtroppo richiedeva una password. Coprendolo col proprio corpo aveva aspettato che tornasse a oscurarsi. Gli altri, soprattutto la madre, non si erano accorti di niente.

«Mi amor,» rispose Patricia dall’America.

«È importante. Poi ti spiego. Ho qui davanti a me un computer protetto da password. Basandoti sulla posizione del mio smartphone, lo puoi rilevare?»

«Se il localizzatore GPS è attivato potrei riuscirci.»

«Bene. Datti da fare!»

«Wath?»

«Come cosa? Fallo!»

«Non mi trovo in casa…»

Benedetta ragazza, dove se ne andava in giro di mattina presto?

Glielo chiese. E lei: «Sono da un mio amico childhood friend... come dite voi? D’infanzia. Mi amor, ho una vita privata anch’io, cosa credi?»

Sentì lo scrocchio di un bacio, dall’altra parte dell’oceano.

«Come sarebbe da un amico?» si allarmò. L’altra dovette fraintendere:

«Perché, are you a jealous man?»

«Geloso? No, no, di cosa? Il problema è che ho bisogno di conoscere il contenuto di questo personal.»

«Si tratta dell’inchiesta che ti ha tenuto lontano da me?»

Immaginava la sua espressione made in USA di ironico disappunto.

«Sì,» le rispose, «ed è importante e urgente.»

«Allora devi darmi mezz’ora per raggiungere il mio notebook e attivare my dark applications.»

«Pat, non ho a disposizione mezz’ora.»

«Beh, trovala, mi amor,» ridacchiò lei, chiudendo.

Sirio sospirò, lasciò il cellulare accanto al computer e ridiscese.

* * *

Quando uscì sull’aia assolata, la madre di Marco, seguita da Marianna e dal maresciallo, si stava dirigendo verso la vettura in sosta nello spiazzo, alla quale stava confluendo anche il carabiniere addetto alla guida. Avevano fretta di andarsene.

«Scusate,» disse Sirio. Tutti si girarono verso di lui. «Vorrei porle qualche altra domanda,» si rivolse alla donna.

Sia lei che Marianna ebbero lo stesso sguardo impaziente e scontento, ma lui non intendeva tralasciare dettagli, ora che l’inchiesta stava entrando veramente nel vivo. Inoltre doveva far passare almeno mezz’ora.

«Suo figlio, come molti ragazzi della sua età, si era fatto tatuare, immagino.»

L’impazienza di Marianna diventò uno sbuffo contrariato. Quella della madre un’esitazione pensosa.

«Beh… sì.»

«Dove esattamente, in quali parti del corpo. Me ne può descrivere qualcuno?»

La risposta si fece attendere: «Oh… sulle braccia… disegni strani, che non ricordo».

«Una farfalla colorata, sul polso destro?»

«Sì, quella sì, me la ricordo.»

«Un’altra cosa. Marco è stato coinvolto nell’incidente alle nove di mattina, come mai? Voglio dire, usciva sempre a quell’ora?»

«Perché me lo chiede?»

«Per favore, è importante, risponda alla domanda.»

«Sì, alle nove meno un quarto.»

«Un po’ tardi per recarsi in cantiere, o nei campi…»

Lei, disorientata, si guardò attorno.

«In quel periodo, non lavorava.»

«Ma usciva con precisione a quell’ora. Aveva qualche altro impegno?»

La donna si passò le mani sui fianchi, come per stirare la stoffa dei calzoni sformati che indossava, tese le labbra in un sorriso ansioso.

«Forse faceva qualche altro lavoro…»

«Mi sta dicendo che non ricorda dove si stesse recando suo figlio il giorno in cui è morto?»

La stava osservando attentamente e non gli sfuggì il guizzo degli occhi che cercavano una via di fuga. Anche Marianna e il maresciallo stavano prestando attenzione alle sue reazioni.

«Questo è strano,» intervenne Bersamini, «dobbiamo immaginare che ci stia nascondendo qualcosa?»

Lei serrò le labbra e disse, all’improvviso decisa: «Ho risposto alle vostre domande. Adesso, per piacere, dovrei tornare al mio lavoro».

Non avrebbe aggiunto altro, era chiaro. Sirio finse di palparsi le tasche.

«Ho dimenticato il telefonino di sopra,» fece per voltarsi, ma la donna lo prevenne.

«Glielo prendo subito,» si affrettò verso la casa.

«Che ne pensate?»

Marianna passava lo sguardo dall’uno all’altro.

«Non è stata del tutto sincera,» scosse la testa il maresciallo.

«Sì, ma su cosa?» chiese Marianna.

«Ne parliamo in macchina,» Sirio fece un cenno della testa in direzione della donna, che stava tornando. Poi, quando li ebbe raggiunti, le porse un biglietto da visita: «Signora, mi chiami, se dovesse venirle in mente qualcosa.»

Racconto

Una vecchia stampa di maniera - Racconto

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