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Lo
scontrino del parcometro indicava le diciassette e cinquantaquattro. Sirio lo
appoggiò sul cruscotto della Clio e chiuse lo sportello.
Nell’attraversare la strada riconobbe Marianna.
Indossava dei pantaloncini bianchi, alla moda, di quelli che sembrano minigonne,
e una camicetta chiara con tenui decori. I capelli biondi si sollevavano a ogni
passo per poi ricadere morbidi sulle spalle, quasi esitanti. Emanava un senso
di fresco, mentre gli veniva incontro sul marciapiede reso giallo dal sole di
agosto.
Si erano conosciuti cinque anni prima, durante
un seminario indetto dalla facoltà di Criminologia
e psicologia criminale di Forlì, lei laureanda in giurisprudenza, lui,
all’epoca, ancora un giovane docente. Erano entrati in una certa confidenza
che, forse, sarebbe sfociata in qualcosa di più, se un qualche motivo che Sirio
tuttora ignorava non avesse raffreddato in lei lo slancio iniziale. Il corso di
studio era terminato, Marianna era tornata a Bologna e lui era stato
riassorbito dalla vita di facoltà.
La
sera precedente lo aveva chiamato sul cellulare.
*
“Ciao Sirio…”
“Anna!”
“Mi
hai riconosciuta dalla voce o avevi ancora il mio numero, dopo tutto questo
tempo?”
“Entrambe
le cose.”
Era
subentrata una pausa: “Sirio, quanti sono: quattro, cinque anni?”
“Cinque.”
Siccome
ancora esitava, Sirio aveva preso l’iniziativa: “Dimmi di te. Sei sposata,
fidanzata o cosa?”
“Niente
di tutto questo, non ne ho avuto il tempo. Tu? Fidanzato? Con quante?”
Le
era sfuggito un risolino nervoso, poi, senza aspettare la risposta, aveva
aggiunto: “Mi sento a disagio… per via di come ci siamo lasciati”.
Sirio,
se all’epoca non aveva capito la ragione del suo improvviso ritrarsi, adesso la
intuiva.
“Non
ne hai motivo…”
“Ho
bisogno del tuo aiuto”, l’aveva interrotto.
“Certo,
di che si tratta?”
“È una
questione lunga come una messa cantata,” aveva aggiunto, con l’intonazione
dialettale, “complicata,
anche. Preferirei parlartene di persona. Quando vuoi tu.”
“Domani?”
“Sta
bene per domani. Puoi raggiungermi a Bologna o preferisci che scenda io a
Forlì?”
“Bologna
va benissimo. Nel pomeriggio, alle sei?”
“Alle
sei.”
Gli
aveva dato un indirizzo.
“È un pub”, aveva precisato, “ha dei
separé e a quell’ora non c’è quasi nessuno.”
*
«Ciao,»
gli sorrise, quando fu arrivata vicino.
Aveva denti perfetti.
«Vedo che non ti sei ancora fatto sistemare
quel naso da pugile,» scherzò, sollevandosi sulla punta dei piedi per baciarlo
su entrambe le guance.
All’epoca
della loro frequentazione, seduti uno di fronte all’altra in una caffetteria di
Forlì, Marianna aveva trovato esilarante il racconto di come Sirio avesse
ricevuto un pugno a tradimento da un liceale geloso.
*
“Ma no, impossibile!” aveva
esclamato, ridendo, “e com’è finita?”
“Lui ha vinto il round, ma la sua
ragazza gli ha mollato una sberla ed è corsa a consolarmi.”
*
Restarono
qualche momento in silenzio uno di fronte all’altra, tenendosi le mani, sul
marciapiede, sotto il sole.
«Vogliamo entrare?» propose Marianna,
accennando con la testa verso il pub.
L’aria condizionata li accolse come una
cascatella di montagna.
«Vieni,» lo precedette attraverso il locale
fino a un secondo ambiente, ampio, arredato con panche, tavoli e separé. Notò
che l’aveva accompagnato a un tavolo isolato, distante da un gruppo di
adolescenti che sghignazzavano a voce alta mentre scolavano birre e da alcuni
pensionati che giocavano a carte.
Comparve una giovane cameriera col grembiule
nero, dispiegando il taccuino elettronico.
«Che prendete?» spostò il chewingum
dall’altro lato della bocca.
«Considerata l’ora… direi delle Bollicine… che ne dici?» chiese Marianna
a Sirio, che assentì con un cenno della testa.
«Okay,» confermò lei alla ragazza, «e un po’
di stuzzichini.»
«Aperitivo per due!» tagliò corto la
cameriera, spuntando le voci sul tablet. Si allontanò, veloce com’era arrivata.
I giovanotti vociavano. Lei li indicò col
mento e disse, in bolognese: «Vedi là quegli sbarbi… fortunati loro, che hanno sempre da ridere.»
Sirio sospirò.
«Anna,» disse, per interrompere il silenzio
che era subentrato, «quanto tempo.»
«Il tuo diminutivo… sei l’unico a chiamarmi
così.»
«Ho ancora l’esclusiva?»
Lei lo soppesò con sulle labbra un sorriso
ambiguo. Agitò l’indice, quasi fosse una maestrina che redarguisce il
discolaccio della classe.
«Mai avuta nessuna esclusiva, se ben
ricordo.»
Aveva un’espressione irresistibile e Sirio
non riuscì a trattenersi: «Perché dici questo? Non potrebbe forse succedere?»
«Fossi in te non mi farei troppe illusioni,»
scosse l’indice nell’altro verso, per dire di no.
«Sul diminutivo, intendevo,» deviò il
discorso, ridendo.
Marianna divenne seria.
Il tempo del gioco e dei ricordi era finito e
Sirio si adeguò.
«Eccoci qua,» le disse, «volevi parlarmi.»
Il sorriso di Marianna ebbe la durata di un
attimo, gli occhi si rifugiarono fra gli oggetti sul tavolo: «Devo fare una
piccola premessa… hai di fronte a te uno dei più giovani magistrati d’Italia».
Sirio fece il gesto di togliersi il cappello:
«Mi sembra lusinghiero. Quindi, perché
quell’espressione così seria?»
Lei scosse la testa: «Giovane, inesperta,
confusa e preoccupata».
La cameriera arrivò trasportando il vassoio
in equilibrio sulla mano e appoggiò piattini e bicchieri sul tavolo. Si ritirò.
«Si tratta di questo,» riprese Marianna, «Gragnolo,
il magistrato che dirige la Sezione alla quale sono stata assegnata, ha dovuto
ripartire i processi tenuti da un giudice che ha subito un infarto. Se l’è
cavata, ma ha presentato domanda per il pensionamento anticipato, così il
dirigente mi ha affidato la mia prima inchiesta giudiziaria. Un omicidio colposo, un caso semplice…
ha precisato.»
L’espressione diceva che lei non la pensava
allo stesso modo.
«Circa tre anni fa, intorno alle nove di
mattina, in settembre, a un incrocio semaforizzato, un uomo anziano, tale
Doriano Parraci, settantadue anni, avrebbe provocato la morte di un
motociclista. L’incrocio era dotato di una telecamera per la rilevazione delle
infrazioni stradali. Ha registrato l’intera scena. Si vede chiaramente
l’automobile del Parraci, una Ford Fiesta azzurra, arrivare al crocevia. I
periti hanno stabilito che procedeva intorno ai trenta chilometri orari, nel
momento in cui il semaforo è passato al rosso, per cui lo ha superato… di pochi
metri ma l’ha oltrepassato, prima di fermarsi. Subito dopo sopraggiunge dalla
sua sinistra la motocicletta della vittima, a settanta all’ora, è stato
stimato, e procede senza rallentare col semaforo appena scattato al verde. In
prossimità dell’autovettura, la moto scarta, come per evitarla, e l’uomo cade e
finisce con la testa sotto la ruota anteriore di un TIR che
proveniva in senso opposto. Il motociclista si chiamava Marco Bardanti, aveva
venticinque anni. La madre, unica parente in vita, aspetta un risarcimento; la
difesa del Parraci e la sua compagnia assicuratrice ricusano qualsiasi
responsabilità, non essendoci stato alcun contatto tra la motocicletta e
l’autovettura.»
L’interruzione presupponeva un seguito e la
ricerca delle parole giuste per spiegarlo.
«Ma tu non sei convinta.»
«Non si tratta di questo. Per quanto concerne
il processo sarei propensa a riconoscere una corresponsabilità del Parraci, in
modo da indurre l’assicurazione a un risarcimento. Mi sembra il minimo, per
quella madre.»
«Quindi?»
Marianna si protese leggermente verso di lui,
al disopra del tavolo: «Sirio, in tre anni di procedimento giudiziario, sono
stati riempiti non so quanti faldoni di documenti, che io ho letto e riletto
fino a conoscerli a memoria; peraltro, ho guardato e riguardato quel filmato
fino a ricordarne ogni singolo fotogramma. Vorrei la tua opinione».
Spostò la sedia accanto alla sua, estrasse un
tablet dalla borsa e l’accese. Lo orientò in modo che potessero vederlo
entrambi e avviò la riproduzione del file. Sullo schermo, a un incrocio in
aperta campagna, con degli alberi sullo sfondo, scorsero le immagini che aveva
appena descritto. Lo schermo si oscurò.
«Hai notato nulla?» gli chiese.
«La motocicletta scarta all’improvviso a
sinistra, come per evitare l’impatto contro l’autovettura, ma a causa dell’angolazione
da cui è stata effettuata la ripresa non è possibile rendersi conto della
distanza fra i due veicoli. A me sembra non fosse possibile alcuna collisione,
ma è comunque verosimile che il motociclista abbia avuto una reazione
istintiva. Se è il mio parere che vuoi, ritengo tu possa in tutta coscienza riconoscere
il concorso di colpa.»
«No, Sirio, non è questo. Ti faccio rivedere
uno spezzone al rallentatore… ecco: il semaforo è scattato al verde… la
motocicletta impegna l’incrocio. Guarda adesso…»
«L’uomo in sella ha uno scatto indietro con
la testa e lascia il manubrio.»
«Esatto. E sai dove ho già visto qualcosa di
simile? In un film d’azione, in una scena in cui un cecchino sparava a un
centauro in corsa.»
«Cosa vorresti dirmi, che qualcuno ha sparato
a Marco Bardanti? Che non si tratta di un omicidio colposo a carico di Parraci
ma dell’assassinio premeditato da parte di un killer?»
«Sirio, Marco Bardanti è stato un mio amore
giovanile… ed era un malavitoso.»
Due affermazioni senza un collegamento fra
loro, né col procedimento giudiziario, ma espresse con un tono talmente sicuro
da innescare dei dubbi.
«Forse dovresti parlarne col direttore della
tua Sezione…»
«No, Sirio, è proprio questo il mio problema.
Gragnolo mi solleverebbe dall’incarico per incompatibilità, ravviserebbe un
conflitto di interessi, mentre io voglio andare a fondo e scoprire chi ha
ucciso Marco. Dimmi che mi aiuterai.»
Gli stava stringendo il polso, sul tavolo, e
lo fissava con un’espressione che era insieme una preghiera e una speranza.
«Anna, in tutta sincerità, per quanto
concerne il processo per omicidio stradale non posso che ripetere quanto ho
detto prima, invece questa tua idea del killer mi sembra abbastanza fantasiosa.
Comunque, pur volendo ammettere, in linea del tutto ipotetica, possa essere
vera, quante possibilità esistono di risalire all’assassino, dopo tre anni?»
«Stiamo parlando di un omicidio a sangue
freddo, non ha termini di prescrizione…»
Sirio scosse la testa. Entusiasmo da giovane magistrato, pensò.
Marianna insistette: «Se è vero sia pure l’un
per cento di quanto si diceva di te cinque anni fa, quando ho seguito il tuo
corso, tu potresti.»
«Mi stai chiedendo l’impossibile».
«Ti prego…»
Aveva un’espressione così supplice e
disperata!
«Anna, ascoltami,» le prese entrambe le mani,
«a parte quel colpo di frusta della testa che ti ha insospettita, che altri
elementi hai per avvalorare le tue ipotesi? L’esame necroscopico ha rilevato
tracce di un proiettile? La perizia scientifica segnala fori sul casco o sugli
abiti?»
Fece oscillare i capelli, dimenando la testa:
«No. Ma non significa nulla. Il casco è stato schiacciato dal TIR, e
nessuno, ritengo, si è preoccupato di cercare la tracce di un colpo d’arma da
fuoco. Ci si è limitati, come sempre, trattandosi di un incidente stradale, ai
rilievi sull’asfalto. Però questo non contraddice quanto ti fo fatto vedere nel
filmato, ti pare?»
Sirio amava le sfide, e in passato ne aveva
affrontate! Ma questo, quand’anche l’ipotesi di Marianna avesse avuto un pur
minimo fondamento, gli sembrava un problema irrisolvibile.
Lei ripetette: Ti prego.
Lo disse con una intonazione cui non seppe
resistere.
«Va bene, facciamo un sopralluogo; cerchiamo
di ricostruire gli ultimi giorni di Marco e vediamo se salta fuori qualche
elemento che avvalori i tuoi dubbi.»
Finalmente la vide sorridere, portandosi il
calice alla bocca.
Si dedicarono agli stuzzichini, ciascuno
assorto nei propri pensieri.
Il locale si andava riempiendo. Gruppi di ragazzi
e giovani coppie, soprattutto. La cameriera passava da un tavolo all’altro col
suo passo veloce.
«Da dove cominciamo?» si riscosse Marianna.
«Direi, da te.»
«Da me?»
«In un caso di omicidio premeditato… e di
questo stiamo parlando sulla base delle tue argomentazioni, è fondamentale
conoscere la vittima per poter risalire al movente. A quanto dici c’è stata una
frequentazione, fra voi… ergo…»
Marianna si guardò attorno. Ormai i tavoli
erano pressoché tutti occupati, il separé non era più sufficiente a isolarli
dal brusio della sala.
«Non qui,» rispose, «usciamo.»
*
Erano
passate da poco le otto, i palazzi nascondevano il sole al tramonto e l’asfalto,
quasi fosse una pedana di carboni accesi, rilasciava il calore accumulato
durante il giorno.
«Dove si va?» le chiese.
«A casa mia… o, per meglio dire, di mia madre.»
«Vivi ancora con lei?»
Rispose, accennando brevemente con la testa:
«Sì».
«Ti accompagno alla macchina…»
«No, Sirio, sono venuta con l’autobus.
Possiamo andare assieme.»
La contravvenzione per superati limiti di
sosta fingeva di nascondersi sotto il tergicristallo posteriore della Clio.
Sirio la ripose in tasca senza guardarla e aprì con la chiave lo sportello del
passeggero.
«Hai
ancora questa macchinina?» gli chiese Marianna, salendo.
*
Cinque anni prima, una
domenica pomeriggio, avevano fatto una gita in riviera, con la sua Clio. Si era
in dicembre, il corso di psicologia criminale volgeva al termine e l’incerto
sentimento di simpatia che l’uno provava per l’altra non decollava verso
qualcosa di più, ma nemmeno si spegneva in un nulla di fatto. In un certo senso
tentennava. Faceva un passettino avanti e due indietro, si comportava come i
saltelli dei bambini nei riquadri disegnati a gesso sui marciapiedi.
Il
vento, quella domenica, soffiava dal mare, sollevando onde spumeggianti e
creando mulinelli di sabbia. Avevano passeggiato sul lungomare deserto, col
cappuccio tirato sulla testa e trattenendo stretto il colletto del cappotto.
Avevano chiacchierato del più e del meno e poi, sull’imbrunire, tornati alla
macchina, il motore aveva rifiutato di avviarsi. Si erano rifugiati all’interno
della vettura, in attesa del soccorso stradale. Sul marciapiede opposto,
davanti ai palazzi, un uomo e una donna anziani si tenevano abbracciati per
contrastare il vento gelido che li sospingeva. Li avevano seguiti con lo
sguardo, in silenzio, finché avevano svoltato l’angolo.
“Che
carini, invecchiano insieme”, aveva esclamato Marianna, e solo dopo un lungo
silenzio aveva aggiunto, “sai che non ho conosciuto mio padre? Quando mia madre
gli ha annunciato di essere incinta, è sparito. Ha avuto paura. Di me, capisci?
di me, che nemmeno esistevo.”
La
storia di Sirio, per certi versi, era simile. Aveva cinque anni quando suo
padre aveva lasciato la famiglia per un’altra donna. Sua madre e la sua sorella
maggiore, Emma, si erano dovute rimboccare le maniche e andare avanti. A
diciotto anni, acquisita la maturità e ormai maggiorenne, si era trasferito da
Roma a Forlì. Si era iscritto alla facoltà di criminologia e per mantenersi
aveva lavorato da cameriere nei ristoranti. Le confidenze, l’intimità, nella
vetturetta con i vetri appannati, li avevano sospinti l’uno incontro all’altra
in un bacio che il clacson del carro attrezzi aveva interrotto sul nascere.
L’incanto
era svanito.
Durante il percorso nel taxi che li
riportava in città, qualsiasi tentativo di Sirio di avviare una conversazione
qualsiasi si era infranto contro i monosillabi di Marianna; poi, nei giorni
seguenti, lo aveva praticamente evitato.
*
Sirio
girò la chiave d’avviamento e il motore prese a borbottare senza il minimo
tentennamento.
«Peccato,» le sorrise, «è partita.»
Sorrise anche lei: «Già, peccato». Ma lo
disse senza entusiasmo e senza rammarico.
Sirio manovrò per uscire dal parcheggio e si
avviò verso l’indirizzo che gli aveva comunicato.
«Vivi ancora con tua madre, dunque.»
«Sì, ha problemi di salute, si muove con
l’aiuto di un deambulatore, sai… quella specie di appoggini con le rotelle. Ha
bisogno di me.»
Le ultime parole avevano avuto il suono di
una porta che si chiude. Si era voltata verso il finestrino dalla sua parte e
sembrava assorta a osservare i palazzi e le vetrine che scorrevano in silenzio.
Abitava non molto distante e Sirio trovò un
parcheggio libero davanti al portone.
«Vieni,» disse lei, uscendo dalla Clio, «saliamo,
nessuno ci disturberà.»
Gli sembrarono parole di buon auspicio, quasi
una promessa.
*
Sirio
notò con quanta precauzione Marianna ruotava la chiave nella serratura. Dallo
spiraglio arrivavano le voci di un televisore tenuto ad alto volume. Percorsero
il corridoio.
«Forse dorme,» spiegò, senza che ve ne fosse
alcuna necessità. Entrò per prima e si affacciò nel soggiorno, «ah, sei sveglia. Vieni, Sirio, ti
presento la mia mamma.»
La donna nella poltrona dimostrava
settant’anni, forse per via della magrezza, dei capelli senza tintura e degli
occhiali dalla montatura antiquata, mentre, a giudicare dall’età della figlia,
doveva essere intorno ai sessanta. Non accennò ad alzarsi ma tese la mano e
sorrise.
«Sirio? Io mi chiamo Agata,» disse. Quindi,
rivolgendosi alla figlia aggiunse, «non sarà quel professore… tanti anni fa…
con cui uscivi?»
«Sì mamma, è lui,» l’interruppe con forse
troppa precipitazione, «mi sta aiutando in un’inchiesta giudiziaria…»
«Non sarà per quel tuo fidanzatino morto in
motocicletta…»
«Mai confidarsi con la propria madre,»
brontolò bonariamente Marianna, aiutandola ad alzarsi, «su, ti accompagno a
letto. Io e Sirio dobbiamo lavorare.»
«Arrivederci, Sirio, mi ha fatto piacere
conoscerti.»
«Signora, arrivederci, ha fatto piacere anche
a me.»
«Ti lascio solo un momento,» si scusò Marianna,
uscendo con la madre.
Sirio ignorò il volume eccessivo della
televisione e si guardò attorno. Il piccolo soggiorno era arredato come negli
anni ’80. Sui ripiani del mobile a tutta parete, le varie tappe della vita di Marianna
e di sua madre erano contenute in cornici d’argento. La giovane mamma che
stringe la neonata il giorno del battesimo; con la mano sulla sua spalla alla
prima comunione; il primo giorno di scuola; istantanee scattate durante le gite…
al mare, in campagna, davanti a monumenti; infine, con i capelli ormai bianchi,
mentre bacia la figlia che solleva trionfante, in toga e tocco neri, il diploma
di laurea.
«Non ho uno studio, mi dispiace,» Marianna
abbassò il volume del televisore, «la mia casa è tutta qui. Dovremo adattarci.»
«Qui andrà benissimo.»
Gli indicò il divano e prese posto nella
poltrona.
«Eccomi pronta. Volevi sapere di Marco e me.»
«Non esattamente del vostro rapporto, no. Hai
affermato che si trattava di un malavitoso, ecco, soprattutto questo.»
Lei scosse la testa, facendo oscillare i
capelli: «Nessun segreto, posso parlartene; dopotutto si tratta di un amore
giovanile, ammesso che di amore si possa parlare. L’ho conosciuto alla festa
per il diciottesimo compleanno di una mia amica, Daniela. Aveva organizzato una
cena in un ristorante, qui a Bologna, e aveva invitato tutta la classe. Ognuno
pagava per sé, per cui qualcuno aveva portato degli amici. Non ricordo con chi
era venuto Marco, fatto sta che siamo capitati seduti vicini. Lui aveva ventun
anni, per cui, per una diciottenne imbranata qual ero io... insomma, come
spiegare… rispetto agli altri che frequentavo, lui era un uomo, sicuro di sé… simpatico,
sapeva parlare... D’improvviso i compagni di classe mi erano sembrati dei
bambocci immaturi. Insomma, è accaduto, abbiamo cominciato a frequentarci. Ma a
te, hai detto, tutto questo interessa poco. Invece vuoi che ti chiarisca perché
l’ho definito un malavitoso. Ebbene, spacciava droga, ma questo l’ho scoperto
dopo. Con me si comportava in maniera gentile ma, in più occasioni, si era
presentato con ferite ed escoriazioni. Trovava delle scuse, diceva di essere
caduto e cose simili, invece mi arrivarono voci che partecipasse a pestaggi e a
scontri fra bande. Poi, una sera, in discoteca, lo sorpresi mentre passava
qualcosa a qualcuno e ritirava dei soldi. Uno spacciatore, insomma. Così, dopo
qualche discussione, ci siamo lasciati».
«Durante la vostra frequentazione, hai avuto
occasione di conoscere i genitori, qualche amico?»
«Siamo stati insieme più o meno tre mesi e
no, uscivamo da soli. Aveva uno scooter, mi portava in riviera, a ballare… cose
così, ma sempre io e lui soltanto.»
«È un po’ poco, ma qualcosa è. Resta il fatto
che l’appostamento di un cecchino è più una modalità da guerriglia urbana e stona
con l’dea di un regolamento di conti fra bande di spacciatori di quartiere.»
«Non credi all’evidenza di quel filmato?»
aveva gli occhi torvi.
«Dico che l’impressione che fornisce una
ripresa televisiva non è una prova.»
Lo fissava a testa bassa, da sott’insù: «Ti
stai tirando indietro?»
«No… no, ho promesso che ti avrei aiutata in
questa indagine e ti aiuterò. Non fosse altro per liberarti la testolina da
qualsiasi dubbio.»
Lei sorrise e gli fece una carezza: «Sei la
brava persona che ricordavo».
Ritrasse la mano, eresse la schiena, si
ravvivò.
«Bene, professore, quali sono i prossimi
passi da fare?»
«Innanzi tutto un sopralluogo, poi vedremo di
incontrare la madre, sperando ci indirizzi a degli amici, o comunque a qualcuno
che possa aiutarci a conoscere meglio Marco Bardanti e l’ambiente in cui si
muoveva.»
«Senti, per il sopralluogo, pensi di poterti
liberare per domattina?»
«Purtroppo ho un impegno che non posso
disdire, inoltre ritengo che sarebbe opportuno chiedere l’ausilio di una
pattuglia.»
«Ma no, perché ufficializzare? Si tratta solo
di un sopralluogo informale.»
«D’accordo, allora potrei passare a prenderti
verso le quindici e trenta. Qui, se per te va bene.»
«No, preferisco in tribunale.»
Si alzò: «Posso offrirti qualcosa… un
liquore?»
«Cosa? Ah, no, no… piuttosto, pensavo; la
notizia dell’incidente, venne diffusa dalla stampa?
Marianna sfogliò qualche pagina del dossier: «Sì,
tre giorni dopo».
«Dopo tre giorni! Una notizia di cronaca! Non
è strano?»
Lei rifletté un attimo: «Anomalo, sì. È
importante?»
«Mah, potrebbe esserlo,» considerò Sirio,
quindi si riscosse, «beh, adesso è meglio che vada.»
Lei lo accompagnò alla porta. Gli fece un
cenno con la mano, prima di richiudere.
Nessun
bacio, questa volta.
*
Era
passata mezzanotte, la fedele Clio era in attesa. Sirio la avviò e diresse verso
Forlì. Lasciò che i pensieri vagassero. Due circostanze impreviste,
imprevedibili e per un certo verso stranianti, si erano improvvisamente
infiltrate nella sua vita con la telefonata inattesa di Marianna, il pomeriggio
precedente: un amore mancato e un omicidio inverosimile; circostanze entrambe
fatue, vuote e inconsistenti, ma che lo stavano coinvolgendo in una maniera insensata
e addirittura irrazionale. Amore e morte,
pensò, o meglio: né amore, né morte.
Però, forse era ancora presto per dirlo.
Orbene, la personalità volubile della donna passava,
così come avvenuto nella frequentazione precedente, da segnali di disponibilità
verso un rapporto se non amoroso, comunque affettivo o amichevole, a
espressioni di chiusura, quasi di opposizione. L’indagine in cui lo stava
coinvolgendo gli appariva, al momento, irragionevole. La dinamica dell’omicidio
di Marco Bardanti non si adattava alla figura di un teppista, sia pur spacciatore
e malavitoso quanto si vuole, per lui sarebbe apparsa logica una morte
sopravvenuta a seguito di percosse, di una coltellata nel corso di una rissa,
del colpo di pistola sparato a bruciapelo dalla vittima che reagiva a un
tentativo di estorsione. Un ammazzamento a caldo, insomma, non la preparazione,
la programmazione di un attentato che presupponeva la conoscenza del percorso e
del momento in cui il Bardanti sarebbe passato da quell’incrocio; che presupponeva
altresì l’utilizzo di un’arma appropriata – un’arma da guerra o comunque molto
evoluta e non facilmente reperibile – e di un cecchino talmente abile da
centrare un bersaglio in movimento. Restava l’ipotesi, nient’affatto peregrina,
del folle che spara a caso. La cronaca, specie nelle città del nord America, non
lesinava casi di psicopatici che si affacciano alla finestra e sparano sui
passanti per strada, o di alienati mentali che irrompono negli asili vuotando
caricatori di mitragliette parabellum. Per tornare al caso in esame, questo
presunto folle avrebbe raggiunto l’incrocio… in macchina? in autobus? a piedi?
portando con sé l’arma… una pistola di grosso calibro o un fucile, muniti di
silenziatore, peraltro… quindi si sarebbe appostato fra i cespugli a ridosso
dell’incrocio e avrebbe sparato sul povero Marco; in maniera del tutto gratuita
e senza che qualcuno lo notasse. Era possibile?
Eppure il filmato mostrava chiaramente che il
Bardanti aveva abbandonato il manubrio della motocicletta. Ora, se lo scatto
indietro della testa poteva, per extrema
ratio, essere stato provocato da un calabrone che gli sbatteva in faccia o
dalla puntura di una vespa, sicuramente nessun centauro avrebbe lasciato andare
le manopole. Più plausibile frenasse, che con una mano reggesse il manubrio e
con l’altra si liberasse del casco, mai che, lanciato a settanta chilometri
orari, abbandonasse la guida per correre incontro a morte sicura.
Tutto gli appariva troppo illogico, in questa
storia.
2
Il tabellone elettronico nell'atrio Arrivi Internazionali dell'aeroporto di Bologna Borgo Panigale indicava che il volo AA04365 delle ore 10:35 da New York, con scalo a Londra, era in orario. Sirio seguì le indicazioni e si accodò alle altre persone in attesa al varco d'arrivo. Una bambina sui dieci, undici anni faceva saltelli impazienti trattenuta dalla madre; una sedicenne in minigonna e scarpe da palestra si sporgeva verso le porte scorrevoli ogni qual volta si aprivano; un giovanotto atletico con la barbetta rasa sorrideva fra sé; una coppia di anziani si teneva per mano scambiandosi sottovoce dei commenti.
«Sirio, mi amor.»
Patricia correva verso di lui facendo oscillare i capelli biondi legati a coda dietro la nuca e facendo ballonzolare le rotelle del trolley. Si ostinava a voler esercitare il proprio italiano, senza rendersi conto di confonderlo, molto spesso, con lo spagnolo. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò sulla bocca.
«Finally, my love... finalmente.»
Si era soffermata a osservarlo.
«Sei sempre uguale, my friend.»
«E tu sempre splendida.»
La bambina undicenne era corsa incontro al padre saltandogli addosso e facendolo barcollare all'indietro; la sedicenne stava baciando il suo boyfriend con lo zaino in spalla; la coppia di anziani sorrideva e faceva carezze ai due nipotini con gli occhi vergognosi, mentre la loro mamma li sospingeva dicendo: Su, su... salutate i nonni; il giovanotto atletico allargava le braccia verso un altro talmente simile a lui da poter essere fratelli, invece si scambiarono un bacio sulle labbra e adesso si stavano avviando abbracciati verso l'uscita.
Sirio prese la maniglia del trolley e passò il braccio attorno al fianco di Patricia.
«Stanca?»
«Oh, no. Tanta voglia for the sun... di sole, di mare. Subito. Perdere tempo a dormire? No, no, mai,» si lasciò andare a una risata, riversando indietro la testa.
Sirio l'aveva conosciuta tre anni prima, in occasione dell'indagine che fra loro avevano denominato BW139. Una multinazionale americana, la Rocklife & Monthgomery, un colosso nel campo degli armamenti, mirava a vendere dei jet da guerra a prezzo maggiorato al governo italiano. Per raggiungere lo scopo, alcuni dirigenti corrotti della società avevano utilizzato un programma informatico di nuova generazione capace di manipolare la volontà individuale. La maxi truffa era stata sventata soprattutto grazie alla software engineer Patricia Cromowel la quale, in caso di necessità, era anche un'ottima hacker. All'epoca, si era a ridosso del capodanno, lei era venuta in Italia lasciando una New York ammantata dalla neve e trovando il litorale della riviera caldo e accogliente. Avevano trascorso dei bei giorni, a indagini concluse, e si erano amati. Ma anche le cose belle finiscono ed era tornata in patria; però non avevano mai interrotto i contatti, preservando la loro amicizia come un qualcosa di prezioso.
Avevano raggiunto la fedele Clio nel parcheggio.
«Oh, the little city car,» esclamò la ragazza.
«Ho una sorpresa per te,» le rivelò, avviando la vettura, «ho prenotato una camera in quell'albergo, Vacanze Felici, ricordi?»
«Oh yes, muy bello. Staremo assieme giorno y noche.»
Continuava a confondere spagnolo e italiano, ma Sirio evitò di correggerla.
«Purtroppo, per oggi pomeriggio, ho un impegno.»
«Oh...» fece lei, delusa, «avevi promesso.»
«Sì, è vero. Ma ieri, una mia cara amica...»
«Più di me?» inclinò la testa, fissandolo maliziosa da sott'in su.
«Oh no, non più di te,» le sorrise, «ma non ho potuto dirle di no. Comunque, oggi pomeriggio conto di poterle dimostrare che i suoi sospetti sono infondati e sarò tutto per te.»
«Una indagine, dunque? Dai, racconta, racconta,» lo pressò stringendo i pugni.
Durante il percorso dall'aeroporto fino a Cesenatico, la mise a parte dei sospetti di Marianna.
*
La camera 43 dell'hotel Vacanze Felici aveva un piccolo balcone affacciato sul mare.
«Oh, beautiful,» esclamò Patricia sporgendosi dalla ringhiera.
Subito sotto di loro i villeggianti affollavano la piscina, occupavano sdraio e lettini, leggevano libri al riparo degli ombrelloni; i bambini facevano tuffi e si inseguivamo sull'erba. Poco più in là, sulla strada, le automobili procedevano adagio, cercando parcheggio o uscendone. I marciapiedi erano gremiti di ragazze in prendisole ridotti e di giovanotti a torso nudo. Gli ombrelloni nel lido si protendevano fino al mare, fitti e allineati come militari in parata. Frotte di bagnanti lungo il bagnasciuga. Riflessi di luce bianchissima baluginavano sulle increspature dell'acqua e motoscafi scorrevano lenti, al largo, inseguiti da una scia silenziosa. Dal beach volley nell'arenile arrivavano a intermittenza le incitazioni smorzate dei giocatori e dal chiosco dello stabilimento balneare giungeva la musica di una canzone latinoamericana. Si udiva qualche strombazzamento dalla strada e poi, sotto di loro, risuonavano il brusio smorzato dei villeggianti e le grida festose dei ragazzini.
Patricia gli circondò le spalle con le braccia e lo baciò.
«Gracias,» gli sospirò sulla bocca.
Il solito problema della lingua, ma non era il momento di sottilizzare. Sirio l'abbracciò, tenendola stretta cominciò a dirigersi verso il letto, ma lei, agitandogli l'indice davanti al naso, disse sorridendo: «Non si può».
«Perché?»
«La tua amica Marianna ti aspetta.»
La lasciò andare, a malincuore.
«Hai ragione, mi dispiace. Che farai?»
«Oh, non preoccuparti per me, starò benissimo... mare, sole... ho tutto quello che voglio. Tu vai, vai pure a svolgere la tua inchiesta.»
Gli sembrò di sorprendere una luce maliziosa, mentre lo diceva.
*
Il traffico, sulla E45, era particolarmente intenso, a causa di rallentamenti per lavori stradali, il climatizzatore della vecchia Clio era andato in tilt dopo appena dieci minuti dalla partenza e il vento che entrava dai finestrini era rovente. Sirio, alle quindici e venticinque, accostò al marciapiede davanti al portone del tribunale. Qualcuno dietro di lui strombazzò e il carabiniere che piantonava l'ingresso gli fece segno di proseguire. Si fermò più avanti e chiamò Marianna col cellulare.
«Arrivo fra un attimo,» gli rispose.
La vide attraverso il retrovisore esterno dopo circa venti minuti.
«Tu pensi che ti sto facendo perdere tempo,» esordì, allacciandosi la cintura di sicurezza.
Il marciapiede riverberava come il fumo di un falò.
«Tutto dipende da ciò che troveremo.»
«Perché, pensi che troveremo qualcosa, dopo tre anni?»
Benedetta ragazza!
Gli stava rivolgendo le stesse obiezioni che lui aveva prospettato il giorno precedente. Senza rispondere avviò la vettura.
L'incrocio incriminato era nella periferia nord di Bologna, tra le frazioni di Villa Sistina e Casalmaggiore.
«Che desolazione,» disse Marianna.
Erano arrivati dalla stessa strada percorsa tre anni prima dalla Ford Fiesta del Parraci. Avevano accostato in uno slargo sterrato prospiciente un cancello di legno ed erano scesi. Tre anni prima, la motocicletta di Marco Bardanti era sopraggiunta dalla sinistra, dove le due carreggiate erano divise da una siepe. Superato il crocevia, lo spartitraffico centrale si allargava in una fascia alberata invasa da cespugli spontanei.
«Come intendi procedere?»
Indossava la gonna e una camicetta bianca. Un abbigliamento poco adatto a un sopralluogo in campagna. Incespicò con i tacchi nel terreno sconnesso e si appoggiò al braccio di Sirio, per non cadere.
«Questa mattina,» le rispose, «sono passato in facoltà...»
«Siamo quasi a ferragosto, non è chiusa?»
«Ho chiesto un piacere a un'amica della segreteria, che mi ha fatto entrare. Ho preso in prestito questo.»
Estrasse il metal detector dal baule della Clio.
«Ci servirà?»
«Se davvero qualcuno ha sparato, dovrebbero esserci i bossoli.»
Arrivarono all'incrocio.
La telecamera, preannunciata dal cartello azzurro, era sospesa a un palo metallico, sufficientemente in alto da riprendere le quattro vie semaforizzate. La strada di fronte a quella da cui provenivano, più stretta, con l'asfalto sconnesso, era costeggiata da frutteti. In fondo si scorgevano una serie di edifici rurali.
«Non si vede nessuno,» accennò Marianna, «saranno disabitati?»
«Intravedo dei panni ad asciugare, oltre quel ciuffo di alberi.»
«Se qui qualcuno ha sparato, potrebbero aver sentito?»
«Adesso il silenzio è assoluto,» considerò Sirio, «ma il giorno dell'incidente il frastuono prodotto dal TIR che ha investito Marco dopo la caduta dovrebbe aver coperto il rumore, sempre che qualcuno abbia effettivamente sparato e non sia stato usato un silenziatore.»
Marianna si guardava attorno.
«Dove mai avrebbe potuto appostarsi un uomo col fucile?»
Sirio sollevò il braccio, indicando il punto dove lo spartitraffico si allargava, alla loro destra.
«Soltanto laggiù, nell'ombra degli alberi, nascosto dai cespugli.»
Attraversarono.
Nella frescura relativa prodotta dalle chiome, ronzavano mosche; il terreno era coperto da uno strato sottile di foglie polverizzate, sterpi e aghi dei pini; mentre lo smuovevano con le scarpe, odorava di polvere e humus.
«E adesso?» chiese Marianna.
«Lo stato dei luoghi è mutato, ci sono cespugli dove prima non c'erano. Credo che sarà necessario battere a tappeto tutto questo tratto.»
Lei girò attorno lo sguardo: «Ci vorrà molto?»
«È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo,» scherzò Sirio, ripetendo una frase sentita nei film. «Ho promesso di aiutarti a cercare delle prove che avvalorino la tua ipotesi e lo farò, ma se non troviamo riscontri, dovrai accettare l'evidenza e rassegnarti.»
Marianna assentì con la testa e spostò le foglie col piede.
«Mi sembra un'impresa impossibile,» sospirò.
Era un po' tardi per recriminare. Sirio scacciò un moscone che continuava a ronzargli attorno alla faccia e avviò il metal detector. Considerò che Patricia, bella e disponibile, avrebbe trascorso il pomeriggio in spiaggia da sola, mentre lui sarebbe stato qui a cercare le prove di un improbabile omicidio commesso tre anni prima. Si impose di non pensarci e si mise al lavoro.
*
Sirio aveva mentalmente suddiviso lo spartitraffico in settori, secondo le possibili direttrici di mira di un ipotetico cecchino; escludendo le posizioni nascoste, quelle da cui la linea di tiro sarebbe risultata coperta dai tronchi degli alberi, dai cartelloni pubblicitari o da altri ostacoli. Inutile scansionare aree da cui il bersaglio non era visibile. Quindi aveva iniziato, a partire dai primi cespugli a ridosso dell'incrocio. Ormai erano le sette, l'aria immobile satura di afa. La polo e i jeans, intrisi di sudore, gli aderivano addosso. Il traffico veicolare era stato pressoché inesistente. Erano transitati dei trattori e un gruppo di ciclisti che chiacchieravano fra loro e nessuno, nel fitto ombreggiato di quella macchia di vegetazione, lo aveva notato. Il metal detector aveva ronzato diverse volte, scoprendo lattine di bibite, tappi di bottiglie e un mazzo di chiavi arrugginite. Marianna, a braccia conserte e la faccia scontenta, aveva fatto un po' su e giù lungo il ciglio della strada, poi, con la Clio, era andata a cercare un posto dove acquistare dell'acqua da bere.
Il contadino smilzo si era affacciato dalla cabina di un trattore con le ruote enormi e gli aveva gridato:
«Ohilà, stai sminando? Bada che l'ultima guerra è finita nel quarantacinque.»
Ridacchiava, si riteneva arguto e spiritoso ma Sirio, accaldato, irritato dalle mosche che lo tormentavano e dalla sete, gli aveva rivolto una smorfia di fastidio; ma quello, fingendo di rispettare il semaforo al rosso, aveva aggiunto:
«Non vuoi formaggio? Uova...? Beh, se ti interessa mi trovi in quella casa là, quella con i panni stesi».
Era ripartito, sbuffando una nuvola scura di nafta bruciata.
Trascorsa una mezz'ora, Marianna non si vedeva ancora e Sirio, esasperato, aveva ormai deciso di interrompere quell'inutile lavoro. L'autopattuglia della polizia si materializzò provenendo dalla direzione di Villa Sistina. Vedendolo accelerò lanciando qualche ululato con la sirena. Quando gli fu vicina, inchiodò con un lungo stridore di pneumatici. Scesero in quattro, con addosso i giubbotti antiproiettile e imbracciando mitragliette e pistole.
«Resti dov'è e tenga le mani bene in vista,» si avvicinarono, disponendosi a raggiera di fronte a lui. Sirio si appoggiò al petto l'asta del metal detector e sollevò lentamente le mani fino all'altezza delle spalle.
«Cosa ci fa qui? Mi fornisca un documento, per favore,» chiese il capo pattuglia arrivatogli vicino.
Ma che fine aveva fatto Marianna?
«Ho lasciato il portafogli in macchina,» gli spiegò, indicando con un gesto minimo della testa il proprio abbigliamento.
«Macchina, quale macchina?» si guardò attorno il poliziotto.
«La giudice Marianna Valtesi tornerà fra poco e potrà chiarire.»
L'altro aveva la faccia sospettosa: «Giudice? Quale giudice?»
«Sirio, in che guaio ti sei cacciato?»
La voce era quella di Marianna, le parole non esattamente quelle più appropriate.
Stava attraversando a piedi lo spartitraffico, provenendo dalla corsia opposta; barcollava sul terreno insidioso. Reggeva una bottiglia di brina imperlata di brina. Il tettuccio rossastro della Clio si intravvedeva al disopra dei cespugli.
«Che ha fatto?» chiese al capo pattuglia, indicando con la bottiglia verso Sirio.
L'altro, invece di rispondere, chiese a sua volta: «È lei il giudice Valtesi?»
Marianna inclinò la testa di lato: «Ci conosciamo?»
La situazione stava diventando paradossale, se non addirittura ridicola.
«Puoi mostrare un tuo documento d'identità all'agente, per cortesia?»
«Ho la borsetta in macchina,» agitò la mano libera, per far vedere che non l'aveva con sé, «vado a prenderla.»
Il capo pattuglia sollevò il mento per indicare a un sottoposto di seguirla.
«Marianna, per cortesia, porta anche il mio portafogli. È nel cruscotto.»
Finalmente, dopo che ebbero visionato i documenti ed ebbero eseguito le verifiche via radio si decisero ad abbassare le armi.
«Dottoressa, ha bisogno di assistenza?» chiese il capo pattuglia, mettendosi quasi sull'attenti.
«No, no, grazie. Abbiamo pressoché finito, vero Sirio?»
Gli agenti, fatto il saluto militare, erano tornati alla macchina. Erano ripartiti.
«Fortuna che c'ero io,» esclamò Marianna, «altrimenti avresti passato un bel guaio.»
Sirio pensò che non era il caso di commentare, considerò che il sole era prossimo al tramonto, che era stanco, desiderava una doccia gelata, una buona cena e di dividere il letto con Patricia.
«Direi di andare,» le disse, avviandosi e trascinandosi dietro il metal detector.
Lo strumento emise un ronzio di avvertimento. Il bossolo era coperto dalle foglie.
Si chinò per raccoglierlo:
«È stato utilizzato un fucile, per colpire un bersaglio a circa duecento metri di distanza,» indicò il semaforo e l'incrocio.
Marianna si accosciò accanto a lui: «Adesso, che si fa?»
«Devi far intervenire i RIS.»
«La Scientifica? Significherà dover spiegare a Gragnolo perché ci troviamo qui.»
«È inevitabile.»
«Mi toglierà il caso.»
«Non è detto, in fin dei conti hai dato prova di ottimo intuito investigativo. Potrebbe essere indotto ad assegnare a te anche il nuovo procedimento.»
«Per omicidio a carico di ignoti, intendi?»
«Certo.»
Si rimisero in piedi. Marianna avviò una chiamata sullo smartphone: «Gragnolo? Perdona se ti chiamo a quest'ora... ah, sei a cena. Chiedo di nuovo scusa, ma è importante...»
Parlando, si era allontanata e Sirio ne approfittò per chiamare Patricia.
* * *
Intorno alle due della notte Sirio aprì con precauzione la porta della camera 43 e la lasciò socchiusa. Il climatizzatore, sopra di lui, ronzava e spingeva sulle sue spalle aria fresca. Col chiarore proveniente dal corridoio distinse l'ingresso del bagno, proseguì sulla moquette e si sporse oltre lo spigolo del muro. Patricia dormiva nella parte più distante del letto, il respiro regolare, completamente nuda. Accese la luce in bagno, richiuse in silenzio la porta verso il corridoio, fece scorrere l'acqua nella vasca e si immerse. Aveva saltato il pranzo e la cena, abbassò le palpebre e appoggiò la nuca contro il bordo. Il tepore dell'acqua era gradevole, rilassante. Pian piano sentì la stanchezza scorrere via.
* * *
"My love", aveva esclamato Patricia, quando l'aveva chiamata al telefono dallo spartitraffico incriminato, "sei di ritorno?"
"Purtroppo no, ci sono stati degli sviluppi, abbiamo rinvenuto un bossolo. Qualcuno ha effettivamente esploso un colpo di fucile, qui, per cui adesso dobbiamo aspettare l'arrivo della polizia scientifica per i rilievi ufficiali."
"Ah."
La delusione era stata palpabile.
"Mi dispiace..."
"Non importa", si era ravvivata, "ti aspetterò sveglia."
Le aveva chiesto di non farlo, aveva insistito affinché andasse a dormire: era stanca per il viaggio, per la differenza del fuso orario, il jet lag...
"Mi troverai ad aspettarti, mi amor", era stata categorica lei.
Aveva lasciato il rubinetto aperto, l'acqua gli lambiva le orecchie, percepì che Patricia mormorava qualcosa nel sonno, di là dalla parete sottile. Aprì gli occhi e attese, ma non venne da lui.
Sirio tornò ad abbassare le ciglia.
Parlando, si era allontanato di una decina di passi, lasciando il metal detector come segnale per ritrovare il bossolo. Del sole rimaneva ormai soltanto un chiarore rossastro oltre le alture a occidente. Era stanco. Chiusa la telefonata con Patricia, si era avviato verso la Clio con l'intenzione di reclinare la spalliera del sedile, in attesa degli eventi. C'erano delle grosse pietre nella sterpaglia, aveva dovuto aguzzare la vista per evitare di cadere, e l'aveva visto. Disteso come un verme cattivo e rigido sopra un sasso levigato, giaceva un secondo bossolo identico al primo. Marianna era ancora al telefono, gesticolava e gli arrivavano brani concitati di conversazione. Aveva memorizzato la posizione e si era ritirato in macchina.
Dopo una quarantina di minuti Marianna si era accostata al finestrino:
"Gragnolo era abbastanza irritato, comunque manderà qualcuno a delimitare l'area e a presenziarla fino a domattina, quando farà intervenire gli agenti della scientifica".
"Ne ho trovato un altro."
"Un altro cosa?"
"Proiettile."
"Gli hanno sparato due volte?"
"No, è troppo distante. È stato esploso in un momento diverso."
"Che ne deduci?"
Sirio era sceso dalla macchina e vi si era appoggiato con la schiena.
"È un po' poco per azzardare ipotesi. Posso mai immaginare che uno psicopatico fosse affezionato esclusivamente a questa località e abbia fatto più tentativi prima di riuscire a uccidere una vittima a caso? Oppure che un assassino a sangue freddo volesse effettivamente colpire un bersaglio prestabilito e, conoscendone spostamenti e orari, avesse tentato già nei giorni precedenti di colpirlo, sbagliando il colpo?"
"Fammi vedere il bossolo", aveva chiesto Marianna.
L'aveva accompagnata fino al cumulo dei sassi.
"È orientato verso l'incrocio", aveva constatato lei, "proprio come l'altro. Sirio, dimmi la verità, l'ipotesi dello psicopatico la ritieni plausibile?"
"Improbabile. Vedi, forse non subito, ma dopo qualche tempo, l'eccitazione, la gratificazione per essere riuscito a portare a compimento la propria fantasia malata e soprattutto di averla fatta franca con la giustizia, lo avrebbero indotto a ripetere il crimine. Ricordiamo che sono trascorsi tre anni e non mi risulta si siano verificati casi analoghi."
Lei aveva tirato un respiro profondo: "Questo è vero. L'altra possibilità rimane pertanto quella più valida: volevano uccidere Marco Bardanti e ci sono riusciti".
"Prima di affermarlo con cognizione di causa bisognerebbe accertare se Bardanti è stato effettivamente colpito dall'arma che ha sparato questi bossoli. Direi che è necessario far esumare il corpo e aspettare i risultati dell'autopsia."
"Accidenti", Marianna aveva sbarrato gli occhi.
"Cosa?"
"È stato cremato."
Era rimasta a fissarlo qualche momento, sconcertata, poi aveva aggiunto: "La motocicletta è stata rottamata, il casco gettato via: la madre ha disposto così. Né l'assicurazione né il magistrato hanno avuto motivo di eccepire".
In quel momento erano sopraggiunte due volanti dei carabinieri, con i lampeggianti che coloravano di bagliori azzurrognoli l'incerta luce del crepuscolo.
"Dottoressa Valtesi, sono il maresciallo Bersamini", si era portato la mano alla visiera l'ufficiale, avvicinandosi, "il dottor Gragnolo mi ha spiegato per sommi capi la questione e mi ha incaricato di mettermi a sua disposizione."
Marianna gli aveva presentato Sirio, qualificandolo come consulente del tribunale e aggiungendo che la coadiuvava nell'indagine. Poi gli avevano indicato la posizione dei due proiettili.
"Va bene", aveva assicurato il maresciallo, "lascerò qui due uomini fino a domattina, quando interverranno i tecnici."
Mentre la Clio li riportava verso Bologna, Marianna aveva chiesto: "Adesso, che si fa?"
"Credo che la decisione, a questo punto, sia in mano a Gragnolo."
"Beh, se deciderà di avviare un procedimento contro ignoti e riterrà di affidarmelo, mi aiuterai?"
Non si era mai tirato indietro di fronte a un'indagine e questa si preannunciava sia complessa che stimolante: "Certo".
"Quanto sei caro. Ti adoro."
Si era protesa per baciarlo sulla bocca. Un lungo bacio carico di promesse.
Prima di scendere aveva sospirato: "A domani".
* * *
Sirio uscì dalla vasca, si frizionò nell'accappatoio e andò a distendersi accanto a Patricia. Lei borbottò qualcosa nel sonno e gli appoggiò il braccio sul petto; gli passò entrambe le gambe sulle sue, bloccandolo; il respiro era caldo, i capelli profumati, la sua nudità eccitante, ma continuava a dormire.
La
mattina seguente, mercoledì, vennero svegliati alle otto dal trillo insistente
del cellulare.
«Gragnolo vuole vederci.»
«Anna, cos’è questo plurale maiestatis? Io che c’entro?»
«Ti vuole parlare. Ha insistito. Potevo
dirgli di no?»
Sirio sospirò: «Va bene, quando?»
«Fra un’ora.»
«Un’ora? Ma io stavo dormendo, mi trovo a
Cesenatico, come posso arrivare a Bologna in un’ora?»
«Spicciati!»
La comunicazione venne chiusa.
Patricia, seduta nel letto come una sioux, lo
osservava con gli occhi assonnati: «My
love, che succede?»
«Si tratta di quell’omicidio, te ne ho
accennato. Il magistrato vuole incontrarmi.»
«Ah,» era delusa, «fra un’ora?»
«Già.»
«Non puoi dirgli di no?»
Gli aveva appoggiato una mano sulla coscia,
lo fissava con grande mestizia.
La tentazione era forte: «Potrei, ma… un
cecchino che spara con un fucile di precisione a un furfantello di mezza tacca…
chi sa cosa c’è sotto».
Aveva cominciato a vestirsi di furia.
Quando fu sulla porta, Patricia gli mandò un
bacio in punta di dita e subito dopo gli fece ciao con la mano: «A più tardi,
allora».
* * *
Aveva
impiegato un’ora e mezza per raggiungere il tribunale di Bologna. Una
segretaria bionda, giovane e spigliata lo avevano fatto accomodare in una sala
d’attesa con altre persone. Sirio provò a chiamare Marianna, ma risultava non
raggiungibile. Chiuse gli occhi e appoggiò la nuca contro il muro. La ragazza bruna
nella sedia accanto alla sua, l’aveva notata entrando, espresse un commento:
«Qui fanno il buono e il cattivo tempo, e nessuno può protestare».
Le rispose il tizio calvo seduto di fronte:
«Io, appena entro in posti così… commissariati eccetera, subito mi sento un
indagato».
«Il sospetto. Il sospetto, ragazzi miei…» fu
l’opinione, che rimase incompiuta, del settantenne seduto accanto alla finestra.
Entrarono due giovani, una ragazzo e una
ragazza, con tatuaggi vistosi su braccia e gambe, uscì l’uomo calvo. Entrò un
quarantenne con la ventiquattrore in finta pelle, il tipo dell’avvocato d’ufficio
alle prime armi, in jeans, giacca casual e camicia sbottonata sul collo. Uscì
l’anziano dai motti incompleti. Uscì anche la ragazza della sedia accanto. Sirio
rimase solo, a rimuginare su come avrebbe impiegato molto meglio il proprio tempo
assieme a Patricia.
Pazienza!
Lui odiava i tempi morti, soprattutto se
imposti, e gli piaceva agire in autonomia; due prerogative che al momento gli
erano precluse. Marianna l’aveva posto dinanzi a un mistero che voleva indagare
e risolvere.
Pazienza,
si
ripetette, è questo il prezzo da pagare per
entrare a farne parte.
Finalmente la porta si aprì e la segretaria spigliata
lo condusse dal giudice Gragnolo. Marianna era nella poltrona di fronte alla
scrivania e sorrideva. Accanto a lei, il maresciallo Bersamini si alzò per
stringergli la mano. Il giudice indicò una terza sedia: «Prego, professore, si
accomodi».
Il magistrato doveva aver superato i sessant’anni.
Calvo, naso adunco, fronte e testa punteggiate di macchie cutanee; voce greve, autoritaria.
«La dottoressa Valtesi mi ha riferito nel
dettaglio l’indagine che avete avviato assieme,» le rivolse un sorriso tirato, «e
voglio aggiornarla sugli ultimi sviluppi. Il maresciallo, poco fa, mi ha
confermato che entrambi i bossoli sono stati esplosi dal medesimo fucile e,
sembrerebbe, in un’epoca compatibile con l’incidente occorso a quel
motociclista… Marco Bardanti, vero maresciallo? In questo momento i RIS stanno ancora
setacciando la zona alla ricerca di eventuali ulteriori indizi.»
Bersamini aveva assentito con un cenno del
capo, Marianna ascoltava con attenzione.
Gragnolo si schiarì la voce: «La dottoressa Valtesi
vorrebbe che lei continuasse a coadiuvarla e io concordo. Sono pronto a
sottoscrivere le autorizzazioni necessarie per la sua consulenza, sempre che
lei accetti.»
Picchiettò col medio su alcuni fogli appoggiati
sullo scrittoio, gli rivolse un’occhiata interrogativa.
I tre lo stavano fissando con un’espressione
che sottintendeva sia una domanda che una sollecitazione e lui, pur chiedendosi
come avrebbe potuto dedicarsi a Patricia senza trascurare le indagini, fece un
sorriso e allargò le braccia:
«Perché no?»
Marianna si lasciò andare a un sospiro, il
giudice sollevò l’indice:
«Detto questo, vediamo di entrare nel merito
della questione. Abbiamo in corso un processo per omicidio colposo a carico di
un automobilista che, non avendo rispettato il semaforo passato al rosso,
avrebbe causato la morte del motociclista Marco Bardanti. Nel contempo, il
ritrovamento di alcuni bossoli di arma da fuoco sembrerebbe dimostrare che lo
stesso Bardanti sia stato assassinato da un colpo di fucile. Le motivazioni
dell’omicidio, secondo la dottoressa Valtesi, potrebbero ricercarsi nell’ambito
della malavita organizzata. Vendetta, regolamento di conti tra bande o
similari. Non so se ve ne rendete conto, ma ci troviamo di fronte a un paradosso
giudiziario, che è il seguente: può la vittima di un incidente stradale essere
nel contempo anche la vittima di un killer armato di fucile? Avviando il
procedimento che mi proponete, ci ritroveremmo per le mani un processo di
troppo, non sembra anche a voi? A questo punto, in assenza del cadavere e di
conseguenza non potendo eseguire l’autopsia per accertare le cause della morte,
come si può stabilire quale dei due procedimenti portare avanti e quale
invalidare?»
Marianna si mosse a disagio: «Senza contare che,
nel caso del processo in corso, che si trova ormai nelle fasi conclusive, sarei
personalmente propensa a riconoscere un concorso di colpa all’automobilista, per
indurre la compagnia assicuratrice a un risarcimento in favore della madre del
Bardanti, in quanto unica erede; mentre, nell’altro caso, quello relativo
all’omicidio volontario, non otterrebbe nulla. Inoltre un ulteriore dubbio mi
crea indecisione: non credo che la madre fosse a conoscenza dell’appartenenza
di Marco al mondo della malavita. Avviando il nuovo procedimento, questo
elemento verrebbe inevitabilmente alla luce in maniera cruda e brutale.»
Gragnolo si sporse leggermente dalla sua
parte, la fronte accigliata: «Sei giovane. Comprendo come questo possa turbarti
e rappresentare quasi un caso di coscienza, dal tuo punto di vista; ma, nel
nostro mestiere, a volte è necessario essere obbiettivi e prendere le distanze dai
sentimentalismi e dalle simpatie, un po’ come per i medici, capisci?»
Le aveva parlato con voce paterna, ma siccome
Marianna seguitava a scuotere la testa, aggiunse: «Hai dei ripensamenti? Ti
ricordo che sei stata tu ad avviare questa inchiesta parallela, fuori da ogni
procedura giuridica e senza informarmene, se non a cose fatte.»
La fissava accigliato e Sirio intervenne in
soccorso dell’amica:
«Non rimane che scoprire come stanno realmente
le cose, prima di propendere per un’opzione o per l’altra. Se lei è ancora
dell’avviso, avvieremo delle indagini».
Ci fu una lunga pausa, in cui il magistrato sembrò
soppesare quanto gli aveva appena detto, quindi si protese in avanti.
«Bene, professore, spero che lei abbia le
idee più chiare della dottoressa Valtesi. Dunque, sulla base di quanto emerso nel
corso della riunione, per il momento ritengo di soprassedere all’apertura di un procedimento giudiziario su quello
che abbiamo definito il secondo caso
e di avviare una indagine, chiamiamola preliminare,
per accertare come sono andate effettivamente le cose. Lei e il maresciallo opererete
in sinergia, coordinati dalla dottoressa Valtesi.»
Appoggiò le mani sui braccioli e si alzò.
«Avete una settimana di tempo, per portarmi
elementi concreti; quindi, che altro dire? buon lavoro!»
* * *
Erano
quasi le due del pomeriggio, quando presero posto attorno allo scrittoio di
Marianna Valtesi.
«Da dove si comincia?» esordì, fissando prima
il maresciallo, poi Sirio.
Bersamini era uno di quegli uomini
dall’espressione perennemente preoccupata. Rughe profonde gli segnavano la
fronte e gli angoli della bocca. Prese la parola.
«Per prima cosa è necessario estrapolare dal
fascicolo sull’incidente stradale tutti quegli elementi riconducibili al nuovo
procedimento, soprattutto quelli riguardanti la vittima. Se vuole, metterò al
lavoro qualcuno dei miei.»
Marianna assentì, con espressione pensierosa:
«Certo. E tu, Sirio, che proponi?»
Troppe
incongruenze, in questa storia.
Sirio si strappò alle proprie riflessioni:
«Direi di partire da qualche considerazione.
Dal filmato della telecamera stradale abbiamo visto che Marco Bardanti, dopo
essere caduto dalla motocicletta, è finito con la testa sotto la ruota
dell’autocarro, che lo ha schiacciato. Doveva essere abbastanza malridotto, per
cui mi chiedo: come si è provveduto al suo riconoscimento? Aveva con sé i
documenti o cosa?»
Marianna gli rivolse un’espressione
interdetta: «Sospetti forse che non fosse lui?»
«No, no…» Sirio si sporse in avanti, «come
diceva giustamente il maresciallo, stiamo avviando una nuova inchiesta e
dobbiamo ragionare come se partissimo da zero. Tu hai studiato a fondo il
fascicolo… quindi?»
La risposta giunse un po’ esitante: «Beh, in
effetti i documenti personali di Marco sono stati trovati nella sacca della
motocicletta… no, non li aveva addosso; ma questo che può significare?»
«Nulla, al momento. Andiamo avanti: qualcuno
ha proceduto all’identificazione del corpo?»
«Ma no, Sirio, te lo ripeto, sul luogo
dell’incidente sono stati effettuati i rilievi di rito. È stata informata la
madre. Le hanno fatto vedere il figlio soltanto il giorno seguente, dopo aver
ricomposto la salma. È quanto si fa in questi casi. Il morto era lui, fosse
stato vivo, prima o poi sarebbe tornato a casa, non credi anche tu?»
Un sorriso irritante le tirava le labbra.
«Avrei bisogno di un chiarimento,» sollevò la
mano Bersamini, «nel corso della riunione dal dottor Gragnolo, si è accennato
che Bardanti fosse un malavitoso. A noi risulta incensurato.»
Altre
incongruenze!
L’espressione di Marianna mutò di colpo, si
guardò attorno smarrita: «Quando l’ho conosciuto io, era nel giro dello
spaccio. Sarà riuscito a farla franca».
«Già,» confermò il maresciallo, «deve essere
così. Vorrà dire che attiverò i nostri informatori e che manderò degli agenti
in borghese a fare domande nelle zone che frequentava. Qualcuno dovrà pur
ricordarsi di lui».
«Ho notato un tatuaggio, molto scuro, sul
polso destro, in una delle fotografie scattate dopo l’incidente. O forse si
trattava di una escoriazione, di una ferita dovuta alla caduta. Non si capisce
bene…»
La sua riflessione venne interrotta dal
militare: «Attiverò gli specialisti dell’Arma. Farò eseguire degli
ingrandimenti.»
Sirio lo gratificò di un sorriso: «Grazie,
maresciallo. Intanto vorrei chiedere a te, Marianna, che lo conoscevi. Hai
memoria di questo tatuaggio o di altri?»
«Certo, ne aveva diversi, però non credo di
averci mai dato eccessiva attenzione, o comunque non li ricordo. Ma poi… altri
ne avrà fatti aggiungere dopo che ci siamo lasciati, immagino. Rimane il fatto
che continuo a non capire questo tuo insistere su dettagli irrilevanti. Quale
importanza può avere, visto che il corpo è stato cremato?»
Le
incongruenze confondono, avrebbe voluto spiegarle, ma, era
questa la sede per addentrarsi in una delle sue lezioni?
«Sto solo raccogliendo dei dati,» si limitò a
rispondere, «ripeto, abbiamo la necessità di conoscere quanto più possibile
sulla vittima, per arrivare a capire chi potesse nutrire validi motivi per
uccidere.»
Il maresciallo assentiva: «Se riusciremo a
ottenere un’immagine abbastanza nitida, incaricherò qualcuno dei miei di fare
un giro fra i tatuatori, anche se… mi permetta professore, come la dottoressa
Valtesi, anch’io non ne ravvedo l’utilità».
«Oh…»
esclamò Marianna, lanciando un’occhiata allo smartphone, «sono le tre. Direi
che ci siamo detti tutto. Maresciallo, aspetto le risultanze delle sue
verifiche. Ciao Sirio.»
* * *
Il
traffico si dirigeva verso il litorale, congestionando la E45. Il sole di metà
agosto richiamava madri con nidiate di marmocchi, branchi di giovinastri
rumorosi e coppie di innamorati verso le spiagge. Gente spensierata che andava
a cercare rifugio dalla calura soffocante della città. Sirio si manteneva sulla
corsia lenta, lasciandoli liberi di sfogare l’impazienza. Non riusciva a
concepire gli sbalzi d’umore repentini di Marianna. Le sue ultime parole
avevano avuto il suono sordo di un benservito irrevocabile e questo, se da un
lato avrebbe dovuto fargli piacere, perché gli avrebbe consentito di dedicare
più tempo a Patricia e godersi qualche giorno di relax, per altro verso lo
costringeva a prendere le distanze da una inchiesta che fin dalle prime battute
si era rivelata a dir poco insolita.
A questo punto, considerato l’atteggiamento
di chiusura della sua amica, avrebbe potuto serenamente infischiarsene. Invece
i pensieri, come i cavallucci sulla giostra, continuavano a inseguire semplici
domande che ruotavano attorno a non altrettanto semplici risposte. Assodato che
il cecchino non era uno psicopatico (in tal caso avrebbe continuato a uccidere
con le medesime modalità), rimaneva da capire perché un killer avrebbe dovuto
appostarsi armato di fucile di precisione fra i cespugli di uno spartitraffico
stradale per assassinare un teppista di periferia. A lui venivano in mente solo
due alternative: o non era un teppista (ma allora, cosa?), oppure era stato
ucciso perché scambiato per qualcun altro. Forse una buona dose di fortuna
avrebbe potuto fornire una risposta alla prima ipotesi, per la seconda non
sarebbe bastato un miracolo. E questo era frustrante.
L’insegna “Hotel Vacanze Felici” sovrastava
l’ingresso del parcheggio riservato agli ospiti, Sirio la superò e trovò uno
stallo in fondo.
Di là dalla siepe di cipressetti arrivavano
le voci festose dei villeggianti che gremivano la piscina.
Patricia non era nella camera 43. La custodia
del suo notebook giaceva sull’etagère, aperta ma vuota. Provò a chiamarla, ma
il cellulare risultava irraggiungibile o spento. Indossò il costume da bagno,
dei calzoncini e una t-shirt pulita. Scese nella hall. La receptionist non
seppe dirgli dove fosse andata, non aveva lasciato la chiave. Al bar non c’era,
in piscina nemmeno e al telefono la voce elettronica ripeteva la solita
euforica tiritera. Attraversò il lungomare ed entrò nello stabilimento del lido.
Incrociò il suo sguardo quando sventolò la mano verso di lui per richiamare
l’attenzione. Sedeva su un trespolo all’ombra del gazebo incannucciato annesso
al chiosco delle bibite. Sul tavolino, il notebook col coperchio bianco
sollevato e due bicchieri di liquido arancione. Sullo sgabello accanto, di
spalle, sedeva un tipo atletico in canotta rosa shocking.
«Mi
amor, here I am... qui, sono qui...»
Li raggiunse e Patricia si protese per
baciarlo sulla bocca.
«Lui è Max. Pensa, l’avevo scambiato per uno
che si è imbarcato a Londra sul mio volo. Così l’ho chiamato… e mi ha
raccontato una storia incredibile.»
Il giovanotto atletico, una barbetta rasa che
Sirio aveva già visto, aveva negli occhi la stessa espressione di un cane
sgridato. Gli porse la mano, fece per alzarsi.
«Perdonatemi, tolgo il disturbo.»
Voce pacata, quasi musicale.
«Ma no,» lo trattenne Patricia per il polso,
«Sirio è un criminologo, potrà aiutarti.»
L’uomo sollevò il sopracciglio: «E come?
Ormai…»
«Il tuo amico londinese è sparito?» chiese
Sirio.
Patricia emise un gridolino eccitato: «Lo
vedi? Ti ha appena visto e già ha capito tutto».
«Ho solo fatto due più due. Avevo notato con
quanta trepidazione eri in attesa, alla gare degli arrivi internazionali, ieri
mattina, e con quanto affetto hai abbracciato il tuo amico. Adesso lui non è
qui, tu hai quest’aria afflitta e Patricia ha appena detto che posso aiutarti
in qualità di criminologo. Dunque, vuoi raccontarmi cos’è successo
esattamente?»
Patricia gli fece di sì con la testa. Sirio
accostò al tavolo uno sgabello a trespolo, ci si arrampicò e sedette, con un
piede appoggiato sul traverso e l’altro penzoloni.
Max esitava: «Come stavo raccontando a
Patricia… ho conosciuto Andy su una chat di incontri. Era così gentile… abbiamo
flirtato per qualche tempo sul web, poi abbiamo deciso che mi avrebbe raggiunto,
per una piccola vacanza assieme. Lui vive a Londra…»
«È quanto gli aveva detto, ma, a questo
punto, c’è da credergli?» si era intromessa Patricia.
Sirio approfittò dell’interruzione per
chiedere: «Capiva l’italiano?»
«No, comunicavamo in inglese.»
«OK. Quindi?»
Max sospirò: «Ieri abbiamo trascorso una
giornata d’amore perfetta; poi, stamattina, mi sono svegliato tardissimo, con
una emicrania insopportabile. Non era accanto a me. L’ho chiamato. Era sparito…
e con lui il mio braccialetto d’oro, i soldi che avevo nel portafogli, la carta
di credito e…»
«Trentamila euro. Pressoché tutti i risparmi
sul conto corrente,» finì Patricia per lui.
«Come c’è riuscito?»
«Ha eseguito un bonifico a proprio favore,
dal mio computer,» Max rispose a occhi bassi.
«Come ha potuto?»
«Nel portafogli conservavo un biglietto con i
codici per accedere all’internet banking. Forse ha utilizzato addirittura
l’applicazione installata sul mio smartphone, dopo avermi drogato col sonnifero.
Ho sporto denuncia, naturalmente. Che stupido sono stato… non conosco nemmeno
il suo cognome… il poliziotto mi guardava con un’espressione…»
Accasciato, scuoteva la testa.
«Non vi siete registrati, in albergo?»
«Io avevo già pernottato la notte precedente.
Avevo la chiave, così appena arrivati siamo saliti in camera. Nella hall c’era un
viavai indescrivibile, nessuno ha badato a noi.»
«Ed è sparito anche dai siti web…» indicò
Sirio il notebook di Patricia.
«Già!»
* * *
Patricia,
anni prima, grazie alle sue capacità informatiche, era riuscita a sabotare un
software molto sofisticato, in grado di veicolare i comportamenti delle persone
mediante impulsi subliminali. La Rocklife
& Monthgomery lo aveva realizzato per conto del ministero della difesa
americano, che intendeva utilizzarlo sia in ambito militare che di
controspionaggio. Senza l’intervento della software
engineer Patricia Cromowel un uomo sarebbe morto e lui, Sirio, si
troverebbe tuttora dietro le sbarre robuste di una prigione, accusato del suo
omicidio.
«Fin dove puoi arrivare, con quello?» chiese
Sirio a Patricia, accennando al notebook bianco.
«In teoria, ovunque. Dipende da dove vuoi che
vada e da quanto tempo avrei a disposizione.»
«Hai ancora il numero del tuo volo?» le
chiese ancora.
«Ho il ticket sullo smartphone,» lo orientò
verso di lui per mostrarglielo.
«Molto bene. Allora… American Airlines, volo
AA04365, atterrato a Bologna alle ore dieci e trentacinque di ieri. Cerca la lista
dei passeggeri imbarcatisi a Londra.»
Patricia scosse la testa.
«Non è poco. Mi stai chiedendo di violare il
sito di una compagnia aerea, superare i blocchi di sicurezza e aggirare i vari firewall. Beh, potrei anche riuscirci,
ma non prima del prossimo Natale. Non avresti una domanda di riserva?»
Sirio si rivolse a Max: «Hai provveduto a
bloccare il conto corrente, immagino».
Il giovane aveva seguito quello scambio di
battute con la fronte accigliata.
«Certo,» rispose, «e anche la carta di
credito. Più o meno alle undici e mezza di questa mattina.»
«Bene, se fornisci le coordinate bancarie a
Patricia, vediamo di scoprire dove si trova il bravo Andy, in questo momento.
Vero, Pat?»
«Questo è più facile,» gli rispose lei. Poi,
rivolgendosi a Max, che la fissava interdetto, «sarà come se tu avessi
richiesto in un qualsiasi sportello Bancomat gli ultimi movimenti della carta,
qualche minuto prima del blocco.»
Cominciò a digitare sulla tastiera i dati che
le forniva.
«Ha speso poco più di duecento euro in un
negozio di calzature in via Robespierre, a Cesenatico…»
«È ancora qui?» si guardò alle spalle il
giovane, con gesto istintivo.
«C’era intorno alle nove.»
«Un momento, come conosceva il codice segreto
della carta?» chiese Sirio.
«Beh, deve averlo memorizzato mentre pagavo
il conto del ristorante, ieri a cena.»
Patricia riprese: «Poi ha lasciato cinquanta
euro a un taxi, poco prima delle undici.»
«Si è fatto portare in aeroporto?» chiese
Max.
«Forse… o forse no. Patricia, puoi
individuare quel tassì?» la pressò Sirio.
«Il nome della compagnia, appare sulla
ricevuta di pagamento. Le vetture sostano in una piazzetta a ridosso di via Robespierre.
Vediamo se trovo un varco…» continuava a percuotere i tasti a velocità
iperbolica, «ecco, sono entrata nei loro tracciati GPS.
Verso le nove si sono mosse due macchine. Ho bisogno di incrociare un secondo
dato. Max, qual è il numero di telefono di Andy?»
«Lo ha spento. Ho provato a chiamarlo più
volte.»
«Era spento mentre provavi. Su, dettamelo.»
Lui lo richiamò dalla rubrica e orientò lo
smartphone verso di lei, perché potesse leggerlo.
«Eccolo,» esclamò Patricia, dopo qualche
tentativo sulla testiera del personal, «lo ha acceso per pochi minuti, verso le
dieci. Bingo! Taxi e smartphone si trovavano nel medesimo punto della E45.»
Sirio la incalzò: «La vettura, dimmi, ha
proseguito fino all’aeroporto?»
«Sì.»
«Ti dispiace dare un’occhiata alla partenza
del prossimo volo per Londra?»
«L’ho già fatto io,» esclamò Max, «alle undici,
questa notte.»
* * *
Erano
quasi le sette di sera, il lido si andava svuotando. Le ombre si protendevano
in direzione del mare. Sotto la tettoia annessa al chiosco delle bibite,
giovani in bermuda colorati e ragazze in minigonne jeans prendevano il posto di
bagnanti in costume da bagno e infradito. Sirio ragionava in fretta.
«Abbiamo poco tempo,» considerò.
«Per fare cosa?» chiesero quasi assieme gli
altri due.
«Per fermarlo.»
«Lo ritieni possibile?» domandò Patricia.
«Forse no, ma voglio provarci. Intanto… puoi
seguire il flusso del denaro uscito dal conto di Max e vedere dov’è finito?»
«Se conoscessi la sua identità, se disponessi
del tempo necessario e di qualche applicazione pirata, ci riuscirei. Al
momento, per come stanno le cose, sarebbe possibile soltanto alla sua banca o agli
informatici della polizia; ma, negli USA, questo
è consentito soltanto dietro ordinanza di un giudice. Qui da voi ritengo sia più
o meno lo stesso.»
Gli
informatici della polizia… un giudice… Sirio inseguiva velocissimi
pensieri.
Sotto gli sguardi accigliati degli altri due,
richiamò un numero dalla rubrica dello smartphone e inviò la chiamata.
«Maresciallo Bersamini? Sono… ah, ha il mio
numero nella memoria! Bene, dovrei rubare pochi minuti del suo tempo…»
Gli fu necessario un buon quarto d’ora per
riferirgli la disavventura del giovanotto in canotta rosa seduto sullo sgabello
accanto a lui.
«Sappiamo che il truffatore, che si faceva
chiamare Andy, in questo momento è in aeroporto e intende imbarcarsi per Londra
col prossimo volo. È l’ultima occasione che abbiamo per fermarlo e assicurarlo
alla giustizia.»
«Professore,» disse il maresciallo, «comprendo
il suo… chiamiamolo entusiasmo e voglio sorvolare sulle modalità utilizzate per
conoscere la posizione del presunto sospettato, però, lei mi insegna, io non
posso arrestare un cittadino, oltretutto uno straniero, a semplice richiesta di
chicchessia, fosse anche un criminologo.»
«Ma… non potrebbe almeno sollecitare la
compagnia di volo a rivelarci la sua identità?»
«Sirio,» la voce all’altro capo della linea,
divenne meno formale, «non capisco a cosa potrebbe servirle e, seconda cosa, le
sembrano proposte da fare a un maresciallo dei carabinieri nell’esercizio delle
proprie funzioni?»
Sirio ignorò l’eccezione e insistette: «Però,
se inseguendo il flusso del denaro trafugato si scoprisse che è finito sul
conto corrente di questo Andy, sarebbe una prova e si potrebbe intervenire.»
«Sarebbe una supposizione! Avvengono miliardi
di transazioni bancarie, in ogni momento, e non è detto che siano delle truffe.
La prego, non insista, il suo cliente ha sporto denuncia, la legge farà il suo
corso.»
La denuncia avrebbe solo fornito dati per
aggiornare statistiche, sapeva Sirio. Tenne per sé questa considerazione e aggiunse,
con un tono carico di sottintesi:
«Potrei chiedere un favore alla giudice
Marianna Valtesi, in questo senso.»
Bersamini sbuffò apertamente: «Che posso
dirle? Faccia come crede».
Aveva chiuso senza salutare.
Sirio sorrise.
«Adesso Marianna,» disse, come fra sé,
spostando il pollice sui tasti del cellulare.
Anche a lei riassunse la disavventura di Max
e le comunicò la propria intenzione di fermare Andy. Anche lei lo diffidò dal
prendere qualsiasi iniziativa, perché, ripetette più volte, agiva al di fuori
di qualsiasi prassi giuridica.
«Dovresti saperlo!» aveva riagganciato, anche
lei senza un saluto.
«Sei impazzito?» esclamò Patricia, «come
potevi sperare in una risposta diversa?»
«Sapevo perfettamente cosa mi avrebbero
risposto, sia l’uno che l’altra, ma lo scopo delle telefonate era tutt’altro.»
«E quale?» Patricia era perplessa.
«Lanciare un sasso nello stagno provoca onde,»
le sorrise, mostrandole l’espressione più furbesca del proprio repertorio.»
«Sei pazzo,» disse la ragazza.
Max seguiva quei battibecchi senza capire.
«È tardi,» Sirio ignorò il commento, «e
dovremo sbrigarcela da soli. Perciò mettiamoci al lavoro, se vogliamo
concludere questa faccenda entro le undici.»
* * *
Anche
quel giorno Sirio aveva saltato sia il pranzo che la cena. Stava diventando una
poco salutare e alquanto incresciosa consuetudine. Cambiatisi di fretta, tutt’e
tre adesso correvano sulla E45 in direzione dell’aeroporto di Bologna Borgo
Panigale, stipati nella piccola utilitaria viola col climatizzatore fuori uso e
l’aria calda che scorreva attraverso gli spiragli dei finestrini.
Sirio accennò con un gesto della testa al
personal che Patricia teneva appoggiato sulle ginocchia: «Attiva il tuo lancia
razzi».
«What?
Lancia… razzi?»
«So bene che nelle tue mani quel notebook può
trasformarsi in una rampa di lancio per testate nucleari,» le ammiccò.
«Ah, okay,
che vuoi che faccia?»
«Il nostro Andy ha acceso il cellulare per
pochi minuti, poi è tornato irraggiungibile e lo è tutt’ora, giusto?»
«È così,» confermò Max, dal sedile
posteriore.
«Se avesse sostituito la SIM,
tu, Patricia, tramite l’indirizzo IP del
cellulare, potresti risalire al nuovo numero?»
«Se ha fatto qualche telefonata, sì.»
«Allora procedi. L’ideale sarebbe di poter
entrare nel suo telefonino prima che lo spenga all’imbarco.»
La piccola Clio viaggiava al di sopra dei
limiti di velocità consentiti, il ticchettio dei tasti del personal sovrastava
il brontolio del motore e il fruscio dell’aria.
«Ci sono,» esultò Patricia, «sono nel suo smartphone.»
«Bene. Adesso, nel tuo miglior inglese, invia
questo sms al nuovo numero di Andy: Caro
Andy, le scarpe che hai acquistato in via Robespierre, prima di salire sul
tassì per fuggire, non ti permetteranno di andare lontano. Il percorso dei
trentamila euro che hai trafugato dal conto corrente di Max, mi porterà fino a
te. Sarò la tua ombra. Ti aspettano solide manette e una cella con sbarre
robuste.»
«Non capisco, ma okay, fatto.»
«Molto bene. Adesso, tramite il GPS,
riesci a seguire i suoi spostamenti?»
«Ecco… yes…
lo vedo. Posso anche aumentare la risoluzione
e collocarlo nello spazio, se vuoi.»
«Certo. Dov’è?»
«È nell’atrio partenze.»
«Dobbiamo fare in modo che abbia l’impressione
di essere osservato.»
«Cos’è? Una tecnica di condizionamento, di
quelle che insegni nelle tue lezioni?»
Forse stava pensando proprio alla tecnica
usata contro di lui nell’affare del BW139, ragionò Sirio, ma, invece di
rispondere, le pose delle domande:
«Hai visto The Truman Show? Hai letto 1984
di Orwell? Nessuno può trovarsi a proprio agio in un reality che lo insegue a
tempo indeterminato. Soprattutto se ha la coscienza sporca».
«Del tipo: Il grande fratello incombe su di te?» Scherzò Patricia.
«Scriviglielo,» disse Sirio.
«Davvero?»
«Perché no. Deve sentirsi i nostri occhi
addosso, come se fossimo lì e potessimo scrutarlo.»
«Si sta spostando,» disse lei, «è nel bar
dell’aeroporto.»
«Scrivigli: Goditi questi ultimi momenti di libertà, fra poco l’unico caffè che
potrai bere ti sarà offerto dalle prigioni italiane.»
Patricia, concentrata, seguitava a percuotere
la tastiera.
«Okay,» ripetette, premendo il tasto di
invio.
«Puoi verificare se lo ha letto?»
«Li legge tutti subito. Me lo immagino… a
fissare incredulo il cellulare e a guardarsi attorno.»
«Non capisco,» giunse la voce di Max, dal
sedile posteriore, «cosa contate di ottenere?»
«Pressione psicologica. Continueremo a
bersagliarlo finché saremo lì.»
«A quel punto?»
«Se conosco la natura umana, qualcosa
accadrà.»
«Si starà chiedendo chi siamo,» si intromise
Patricia, «forse starà immaginando che lo sorvegliamo tramite il circuito delle
telecamere. Starà cercando di capire se sia possibile.»
Tacquero per alcuni minuti. Nell’abitacolo
angusto rimase il fruscio monotono della velocità, coperto dal ticchettio intermittente
della tastiera.
«Ho reperito nel web una fotografia recente dell’area
ristoro,» disse la ragazza.
«Inviagli un sms come se ti trovassi sul
posto e potessi osservarlo.»
«Il cartellone
della pubblicità ti nasconde, ma so che sei lì... può andar bene?»
«È perfetto. Invialo.»
«Pensate che potrei scrivergli dei messaggi
anche io?» chiese Max.
«Perché no. Bombardamento a tappeto!»
Continuarono a tartassare il nuovo numero di
Andy finché furono in vista delle luci dell’aeroporto. La Clio, senza
rallentare, diresse verso gli ingressi delle partenze internazionali.
«Patricia,» disse Sirio, «un ultimo messaggio
dal notebook: Non prenderai quel volo…
poi passa l’applicazione sul tuo smartphone.»
Bloccò la Clio in un’area destinata alla
sosta dei pullman e scese.
«Fatto,» disse Patricia, uscendo a sua volta,
«e adesso?»
«Vediamo di mantenere la promessa che gli
abbiamo appena fatto.»
Corsero tutt’e tre verso l’atrio illuminato.
* * *
Mancavano
due minuti all’apertura dei cancelli d’imbarco. Sirio rilevò l’informazione sul
tabellone luminoso e attraversò l’atrio senza rallentare. Lunghe code di
passeggeri affollavano il banco del check-in e fu costretto ad aggirarle. Raggiunse
la gare del volo per Londra e si fermò a osservare la fila in attesa.
«Lo vedi?» chiese Patricia, raggiungendolo.
«No.»
«Eccolo,» ansimò Max tendendo il braccio.
Il suo sosia aveva fatto capolino e li aveva
scorti. Era uno dei primi della fila. Si era ritratto.
Sirio afferrò Max per il gomito e lo sospinse
avanti, Patricia affrettò il passo, per rimanergli vicino. Le persone in attesa,
man mano che li notavano, si facevano da parte con espressioni preoccupate. Raggiunsero
Andy, che rimase a fissarli immobile, a occhi sbarrati.
«È lui?» chiese Sirio a Max, in inglese.
«Yes.»
«Deve venire con noi in commissariato,» gli
intimò, sempre in inglese.
L’altro alzò di scatto le mani, mentre una
voce alle spalle di Sirio, di Patricia e di Max scandiva, in un inglese
scolastico ma accettabile:
«Mister Andrew Hastings, da questa parte,
prego, dobbiamo eseguire un controllo».
Il maresciallo Bersamini afferrò Andy per il
gomito e lo indusse a seguirlo verso il posto di polizia dell’aeroporto.
«Stavo riferendo alla dottoressa Valtesi i passi
intrapresi per avviare la nuova inchiesta,» esordì, quindi aggiunse, porgendogli
una cartella grigia, «il mio staff ha raccolto i dati salienti in questo
dossier.»
Sirio la aprì subito. Nella fotografia in
cima alla pila dei documenti, Marco Bardanti poteva avere al massimo diciotto
anni. Una faccia squadrata, giovanile e impavida; capelli chiari e occhi neri
puntati al centro dell’obbiettivo; collo robusto, mal contenuto dal colletto
sbottonato della camicia.
«È quella sulla carta d’identità?» chiese.
«Sì, e anche sulla patente.»
«Ne abbiamo qualcuna a figura intera?»
«Non da vivo,» rispose il maresciallo, «dai
documenti d’identità rileviamo che era alto un metro e ottantadue.»
Sirio sfogliò le fotografie scattate sul
luogo dell’incidente, fascicolate in ordine cronologico. Nella prima, la testa
si trovava ancora sotto la ruota dell’autocarro, le braccia avevano pose
scomposte, le gambe ripiegate. Sirio le osservò tutte con attenzione.
Mostravano le operazioni delle autogru dei vigili del fuoco per sollevare il
veicolo. Seguivano varie inquadrature della salma ricomposta, distesa
sull’asfalto della strada, coi nastri di sbarramento attorno, il carro mortuario
in attesa e i poliziotti che allontanavano i curiosi; altre mentre il cadavere
veniva ispezionato dal medico legale. Il volto era irriconoscibile, la
corporatura massiccia, atletica. Indossava dei jeans, un giaccone nero di pelle
e scarpe sportive. Ne aveva persa una, nell’incidente, e il calzettone era
lacero, il piede insanguinato. Il fascicolo conteneva anche i fotogrammi a
scatti singoli del filmato della telecamera stradale, ma confusi, essendo stati
estrapolati da immagini in movimento; inoltre il motociclista indossava il
casco integrale ed era ripreso di spalle. Del tutto inutili, quindi, ai fini di
un riconoscimento.
«Ti vedo perplesso,» disse Marianna, accigliata,
«ancora nutri dubbi che non fosse lui?»
Non aveva voglia di intraprendere una discussione
su quell’argomento.
«No, no. Esaminavo semplicemente il dossier.»
«In quella scheda,» il maresciallo indicò il
documento successivo, «abbiamo riassunto tutte le informazioni che siamo
riusciti a raccogliere.»
«Originario della provincia di Cosenza,»
lesse Sirio, «il padre, anche lui Marco, era un operaio edile e lavorava per
un’impresa locale. È morto in un infortunio sul lavoro quando il figlio aveva
dieci anni. La madre, Immacolata Falani, detta Tuccia, l’anno successivo lo porta a Bologna; vanno a stare da un
suo fratello, Giustino Falani, e la sua famiglia, in una casetta colonica in
località Quadraro, tra le frazioni di
Villa Sistina e Casalmaggiore, a nord di Bologna, dove tuttora risiede. Tre
anni dopo, quando Marco ha quattordici anni, la famiglia dello zio fa ritorno a
Cosenza, mentre il ragazzo rimane con la madre nella casa colonica. Frequenta
le scuole medie nell’istituto Luigi
Pirandello di Villa Sistina. All’età di diciotto anni consegue la patente
di guida e acquista uno scooter della Honda, che vende tre anni dopo per
comprare la motocicletta su cui è morto, una BMW 650. All’epoca la sua residenza
era ancora presso la madre e non risulta intestatario di alcun conto corrente
bancario.»
Marianna, che aveva ascoltato con molta
attenzione, si riscosse: «Quest’ultimo dettaglio confermerebbe la sua appartenenza
alla microcriminalità, un mondo in cui qualsiasi transazione avviene esclusivamente
per mezzo di denaro contante».
Il maresciallo assentì con la testa: «È molto
probabile, ma c’è qualcosa che non torna. Come avevo promesso, ho cercato di
attingere qualche indicazione su di lui attraverso i nostri informatori
abituali. Ebbene, nessuno ricorda un pusher che risponda alle sue
caratteristiche fisiche e nessuno lo ha riconosciuto nella fotografia, quella
che è a inizio del dossier.»
«Niente di strano,» si agitò la donna,
«questo non prova niente. Nella fotografia aveva diciotto anni; a ventitré,
quando è morto, poteva essere molto diverso… è sufficiente che per qualche
tempo sia andato in giro con la barba, o con i baffi… perché non si ricordino
di lui.»
«Certo, certo,» disse il maresciallo, condiscendente.
Sirio sollevò dal dossier un’altra
fotografia.
«Vedo,» disse, «che effettivamente la vittima
aveva un tatuaggio, sul polso destro. L’immagine è sgranata, a causa del forte
ingrandimento, ma ritengo ci siano pochi dubbi sul fatto che si tratti di un
teschio.»
Marianna si rivolse al maresciallo: «Ha poi
fatto ricerche, presso i tatuatori della zona?»
«Sì, ma nessuno ha riconosciuto in quella immagine
il proprio stile, come dicono loro,
né ricorda Marco Bardanti. Quest’uomo,» sospirò, «oltre a essere stato privato
del futuro, sembra non aver avuto nemmeno un passato. Comunque, volendo
proseguire le indagini, potremmo fare ricerche fra i compagni del Pirandello, a Villa Sistina, chissà non
fosse rimasto in rapporti d’amicizia con qualcuno.»
«Certo,» confermò lei.
«Nel contempo,» si intromise Sirio, «dovremmo
rivolgerci a chi sicuramente lo conosceva…»
«E chi?» fu precipitosa Marianna.
«Sua madre,» le rispose, alzandosi.
* * *
Quando
l’autovettura dei carabinieri arrivò all’incrocio, il semaforo era sul verde.
Lo superò a bassa velocità e imboccò la strada sulla sinistra, oltre lo
spartitraffico alberato. Su entrambi i lati si estendevano frutteti e campi arati
di fresco. Il tetto di qualche casolare faceva capolino al disopra degli alberi
e qualche mucca pascolava sui prati in declivio. Un cane abbaiò al loro
passaggio e li inseguì per un breve tratto. Il maresciallo Bersamini, che
sedeva di fianco al carabiniere alla guida, sollevò lo smartphone, mostrando la
mappa sul piccolo schermo: «Siamo quasi arrivati. C’è una stradina, sulla
destra. Dobbiamo percorrerla per circa un chilometro».
«Per recarsi in città, Marco doveva per forza
attraversare l’incrocio dove è morto. Non ci sono altre strade,» osservò
Marianna, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Bersamini tese il braccio.
«Ecco, entra qui,» disse all’autista.
Il varco nella siepe di rovi diventava un vialetto
sterrato, quasi invisibile fra l’erba incolta. Quanto rimaneva di un vecchio
cancello in legno giaceva a terra, sulla destra, sommerso dalle spine. Un
cascinale malandato si intravedeva, più avanti, sulla sinistra, seminascosto da
un alto noce che formava una vasta macchia d’ombra sul terreno, davanti alla
casa. A una finestra del piano superiore mancava la persiana e un tratto di
grondaia penzolava dal tetto, sul punto di cadere. L’acqua di un fontanile
rifletteva, con leggeri bagliori, i raggi del sole pressoché allo zenit. Galline
razzolavano per l’aia.
I quattro occupanti scesero dall’autopattuglia.
Mentre il carabiniere rimaneva accanto alla macchina,
il maresciallo, Marianna e Sirio arrivarono alla porta, che era spalancata.
Bersamini bussò sull’anta e scostò la tenda scacciamosche. L’interno era in
penombra, non perveniva alcun suono.
«C’è nessuno?» diede voce il maresciallo.
«Che succede?»
Si voltarono. La donna era apparsa dall’angolo
della casa. Indossava dei calzoni senza forma, una camicia da uomo e scarpe da
lavoro infangate. Nella mano destra reggeva una piccola zappa, con l’altra
sciolse il fazzoletto che le copriva la testa e liberò i capelli, neri, striati
di fili candidi. Un grosso cane da pastore smise di saltellarle attorno e venne
scodinzolando verso di loro. Marianna si ritrasse.
«È buono,» li rassicurò, avvicinandosi e
appoggiando la mano sulla testa dell’animale, «è un cucciolone… ma… voi?».
«Signora Bardanti…» si presentò Marianna,
«sono il magistrato che indaga sulla morte di suo figlio, dovremmo porle alcune
domande.»
L’altra non rispose subito, appoggiò la
zappetta al muro e chiese, con lo sguardo sospettoso: «E perché?»
Aveva una voce stridula ma controllata, con
una forte inflessione dialettale. Pronunciava la e aperta, prolungava le ultime vocali delle parole in una
leggerissima eco.
«Non potremmo entrare in casa?» suggerì
Sirio.
Lei lo fissò a lungo. Scrutò Marianna e il
maresciallo in divisa. Sembrò soppesare il significato del carabiniere accanto
all’autopattuglia.
Fece un gesto con la mano: «Venite».
La cucina era fresca, rispetto alla calura
esterna.
Un grande camino, adesso spento, occupava
buona parte del muro di fronte alla porta. Le pareti e il soffitto erano
ingrigiti dalla fuliggine. La stanza aveva due finestre, che erano aperte; i
vetri conservavano la fuliggine dell’inverno. La più vicina affacciava verso la
strada d’accesso.
Sirio guardò fuori. Il carabiniere faceva su
e giù nell’ombra del noce, si era tolto il berretto e si stava asciugando la
fronte col palmo della mano. Sotto al davanzale dell’altra finestra, sul
ripiano di marmo di un vecchio lavandino in cemento, erano appoggiati ad
asciugare due piatti e due bicchieri. Oltre i vetri si scorgeva, sul retro
della casa, un orto in pendenza. Il loro arrivo doveva aver interrotto la donna
mentre preparava i solchi per la piantumazione. Una zappa, più grande di quella
lasciata vicino all’ingresso, giaceva abbandonata nel campo. Gli sembrò di
scorgere un movimento, fra la vegetazione, un poco più avanti.
La donna indicò le sedie impagliate attorno
al tavolo: «Potete sedervi».
Marianna prese posto accanto a lei, Sirio
all’altro capo del tavolo, il maresciallo rimase in piedi, vicino alla porta, con
le mani dietro la schiena.
«È morto tre anni fa, che c’è da chiarire?» si
protese in avanti la donna.
Il dossier del maresciallo riportava la sua
età, cinquantatré anni, ma, a causa della pelle riarsa dal sole e delle rughe
profonde sul viso, ne dimostrava almeno dieci di più.
«Sono sorti degli elementi nuovi… necessitano
ulteriori indagini,» spiegò Marianna.
«Cioè? Non capisco.»
«Forse Marco non è rimasto vittima
dell’incidente stradale, forse gli hanno sparato.»
«Sparato? E chi gli avrebbe sparato?»
«È quanto stiamo cercando di capire. Lei
potrebbe aiutarci.»
La donna strinse gli occhi fino a farli
diventare due fessure: «E come?»
Marianna sedeva eretta, l’espressione attenta.
Doveva aver ripassato con molta attenzione le tecniche di interrogatorio.
«Ci pensi bene,» disse, «aveva dei nemici? Qualcuno
poteva aver motivo di rancore nei suoi confronti?»
Le domande di routine. La donna, concentrata,
rispondeva strascicando le parole, con quell’intonazione propria delle sue origini.
«Ma no. Era un bravo ragazzo. Un lavoratore!»
«Lavorava?» sembrò sorprendersi Marianna, «e che
lavoro svolgeva?»
La madre doveva aver colto la leggera
precipitazione con cui aveva posto la domanda, esitò, prima di rispondere.
«Beh…
non aveva un impiego fisso. Faceva quello che gli capitava. Il muratore, il
manovale… guidava il camion… anche il trattore… oppure faticava nei campi. Insomma,
quello che capitava.»
Marianna si voltò verso Sirio. L’espressione
mostrava incredulità e Sirio dovette intervenire per distrarre la donna, prima
che se ne accorgesse:
«Viveva qui con lei?»
«Sì… con me.»
«Dormiva qui?»
La domanda la sorprese: «Che dice? Non
capisco?»
«Le chiedevo se rientrava, la sera… o se invece
non rimanesse fuori, di notte.»
Adesso, di fronte a una domanda diretta,
esitava. Marianna tratteneva il respiro, il maresciallo, impassibile, seguiva
ogni parola.
«Beh,
non sempre.»
«Aveva amici, immagino, qualche ragazza…»
riprese il controllo Marianna.
L’altra strinse le labbra: «Certo, alla sua
età… ma perché tutte queste domande?»
«Può dirci il nome di qualche suo amico, le
ha mai presentato qualche fidanzatina, le ha mai nominato qualcuno che gli ha
dato lavoro?»
«No, non mi parlava delle sue cose… lui era
fatto così. Ma insomma, che c’entra tutto questo con la sua morte?»
«Dobbiamo capire perché gli hanno sparato,»
si intromise Sirio, brusco, per provocarla.
«Nessuno gli ha sparato,» reagì la donna. Tratteneva
la voce per non urlare, le mani protese, le dita spalancate. Gli occhi lucidi, ma
non di pianto, bensì d’ira trattenuta. «Mio figlio è morto con la testa
schiacciata sotto le ruote di un autotreno. E questo è tutto.»
Si alzò. Ma Bersamini sbarrava la strada:
«Non abbiamo finito, signora. Dobbiamo vedere la camera di suo figlio».
* * *
La
stanzetta si trovava esattamente sopra la cucina. Le finestre, con i vetri
puliti, erano disposte nella medesima posizione. La branda, accostata al muro
sulla sinistra, il lenzuolo di bucato, rimboccato tutt’attorno, il cuscino
teso. Di fronte, l’armadio, di appena due ante. A seguire, prima della finestra
che affacciava sul retro, un piccolo tavolo con sopra un computer portatile,
col coperchio sollevato, la sedia spostata dal tavolo.
«Ha ospitato qualcuno, di recente?» chiese
Sirio.
«Ma no. Cosa va a pensare? Tengo in ordine
questa camera…» parlava a testa china, remissiva, adesso, «come se Marco possa un
giorno tornare e trovarla pronta. Beh…
fantasie sceme di madre!»
Sirio conosceva, insegnava, la cinesica, la
scienza che studia il linguaggio sincero del corpo. Questa donna mentiva, ma…
su cosa?
«Ho notato,» le disse, «che nemmeno qui ci
sono fotografie di suo figlio.»
Lei continuava a evitare di incrociare sguardi:
«Che ci trova di strano? Siamo gente di campagna, non siamo abituati a queste
cose».
«Direi che possiamo riscendere,» disse
Marianna, voltandosi.
Sirio fece in modo di uscire per ultimo. Mentre
gli altri erano per le scale e non potevano vederlo, aprì una delle due porte
che affacciavano sul pianerottolo. La camera da letto della madre. Era
pressoché al buio. La finestra, in fondo, doveva essere quella senza persiana
che aveva notato arrivando. Robusti portelloni interni tenevano fuori la calura
e la luce. Un letto matrimoniale, disfatto da un solo lato. Gonna e maglioni
abbandonati sulla spalliera di una sedia. Sul comò, che si trovava accanto alla
porta, soltanto una spazzola per capelli e qualche capo di biancheria intima dimenticato.
Nessun cosmetico e, anche qui, nessuna fotografia.
Richiuse.
L’altra porta doveva corrispondere al bagno.
Dalle voci capì che gli altri erano arrivati al piano terreno e dovette
affrettarsi a raggiungerli.
Uscì nella luce e nel calore violento del
pomeriggio. I tre erano in piedi sullo spiazzo, l’autista stava lasciando il
rifugio ombroso del noce per avvicinarsi.
Notò,
nell’ombra fitta dell’albero, la lunga catena abbandonata al suolo, il
pagliericcio lercio e la bassa tettoia di legno appoggiata a dei mattoni.
«Tiene il cucciolo di pastore alla catena?» chiese.
La donna girò d’istinto la testa: «Eh? Ma no.
Avevamo un altro cane. Faceva buona guardia però era cattivo, attaccava tutti e
dovevamo legarlo. È morto… saranno più o meno tre mesi».
Marianna si passò la mano sulla fronte
accaldata, scosse la testa verso Sirio, con l’espressione che diceva: Che c’entra?
Lui la ignorò e insistette, rivolto alla
donna: «Prima, ho notato un’altra zappa, sul retro, nell’orto, e ho scorto qualcuno.
Mi è sembrato che si nascondesse».
«C’era qualcuno? Un vagabondo, può darsi, ogni
tanto capita.»
«Lei non ha paura a stare qui da sola?» le
chiese Marianna.
«Paura? E di cosa? Chi dovrebbe voler fare
del male a una vecchia inutile come me?»
«Direi che è tutto, direi che possiamo…»
Marianna stava per voltarsi verso la macchina
allorché Sirio l’interruppe:
«Mi scusi, signora, ho bisogno del bagno».
La donna esitò. Poi disse, accennando col mento:
«Di sopra, la porta di fronte alla scala».
* * *
Se
a Bologna erano le tre del pomeriggio, a Morgantown, in Virginia, dovevano
essere le nove del mattino e Patricia, con ogni probabilità si trovava al
tavolo di cucina dei suoi genitori a sorseggiare il primo caffè americano della
giornata, mentre la pancetta per la prima colazione finiva di abbrustolire sul
fornello.
Sirio inviò la chiamata mentre saliva i
gradini a due per volta.
Prima, non visto, aveva premuto il pulsante
di avvio del personal computer nella stanzetta di Marco. Purtroppo richiedeva una
password. Coprendolo col proprio corpo aveva aspettato che tornasse a
oscurarsi. Gli altri, soprattutto la madre, non si erano accorti di niente.
«Mi amor,»
rispose Patricia dall’America.
«È importante. Poi ti spiego. Ho qui davanti
a me un computer protetto da password. Basandoti sulla posizione del mio
smartphone, lo puoi rilevare?»
«Se il localizzatore GPS è
attivato potrei riuscirci.»
«Bene. Datti da fare!»
«Wath?»
«Come cosa? Fallo!»
«Non mi trovo in casa…»
Benedetta ragazza, dove se ne andava in giro
di mattina presto?
Glielo chiese. E lei: «Sono da un mio amico childhood friend... come dite voi?
D’infanzia. Mi amor, ho una vita
privata anch’io, cosa credi?»
Sentì lo scrocchio di un bacio, dall’altra
parte dell’oceano.
«Come sarebbe da un amico?» si allarmò.
L’altra dovette fraintendere:
«Perché, are
you a jealous man?»
«Geloso? No, no, di cosa? Il problema è che ho
bisogno di conoscere il contenuto di questo personal.»
«Si tratta dell’inchiesta che ti ha tenuto
lontano da me?»
Immaginava la sua espressione made in USA di
ironico disappunto.
«Sì,» le rispose, «ed è importante e
urgente.»
«Allora devi darmi mezz’ora per raggiungere
il mio notebook e attivare my dark applications.»
«Pat, non ho a disposizione mezz’ora.»
«Beh, trovala, mi amor,» ridacchiò lei, chiudendo.
Sirio sospirò, lasciò il cellulare accanto al
computer e ridiscese.
* * *
Quando
uscì sull’aia assolata, la madre di Marco, seguita da Marianna e dal
maresciallo, si stava dirigendo verso la vettura in sosta nello spiazzo, alla
quale stava confluendo anche il carabiniere addetto alla guida. Avevano fretta
di andarsene.
«Scusate,» disse Sirio. Tutti si girarono
verso di lui. «Vorrei porle qualche altra domanda,» si rivolse alla donna.
Sia lei che Marianna ebbero lo stesso sguardo
impaziente e scontento, ma lui non intendeva tralasciare dettagli, ora che
l’inchiesta stava entrando veramente nel vivo. Inoltre doveva far passare
almeno mezz’ora.
«Suo figlio, come molti ragazzi della sua
età, si era fatto tatuare, immagino.»
L’impazienza di Marianna diventò uno sbuffo
contrariato. Quella della madre un’esitazione pensosa.
«Beh… sì.»
«Dove esattamente, in quali parti del corpo.
Me ne può descrivere qualcuno?»
La risposta si fece attendere: «Oh… sulle
braccia… disegni strani, che non ricordo».
«Una farfalla colorata, sul polso destro?»
«Sì, quella sì, me la ricordo.»
«Un’altra cosa. Marco è stato coinvolto
nell’incidente alle nove di mattina, come mai? Voglio dire, usciva sempre a
quell’ora?»
«Perché me lo chiede?»
«Per favore, è importante, risponda alla
domanda.»
«Sì, alle nove meno un quarto.»
«Un po’ tardi per recarsi in cantiere, o nei
campi…»
Lei, disorientata, si guardò attorno.
«In quel periodo, non lavorava.»
«Ma usciva con precisione a quell’ora. Aveva
qualche altro impegno?»
La donna si passò le mani sui fianchi, come
per stirare la stoffa dei calzoni sformati che indossava, tese le labbra in un
sorriso ansioso.
«Forse faceva qualche altro lavoro…»
«Mi sta dicendo che non ricorda dove si
stesse recando suo figlio il giorno in cui è morto?»
La stava osservando attentamente e non gli
sfuggì il guizzo degli occhi che cercavano una via di fuga. Anche Marianna e il
maresciallo stavano prestando attenzione alle sue reazioni.
«Questo è strano,» intervenne Bersamini, «dobbiamo
immaginare che ci stia nascondendo qualcosa?»
Lei serrò le labbra e disse, all’improvviso decisa:
«Ho risposto alle vostre domande. Adesso, per piacere, dovrei tornare al mio
lavoro».
Non avrebbe aggiunto altro, era chiaro. Sirio
finse di palparsi le tasche.
«Ho dimenticato il telefonino di sopra,» fece
per voltarsi, ma la donna lo prevenne.
«Glielo prendo subito,» si affrettò verso la
casa.
«Che ne pensate?»
Marianna passava lo sguardo dall’uno
all’altro.
«Non è stata del tutto sincera,» scosse la
testa il maresciallo.
«Sì, ma su cosa?» chiese Marianna.
«Ne parliamo in macchina,» Sirio fece un
cenno della testa in direzione della donna, che stava tornando. Poi, quando li
ebbe raggiunti, le porse un biglietto da visita: «Signora, mi chiami, se
dovesse venirle in mente qualcosa.»