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AMNESIA
Le dieci di sera. Per molti
la giornata si avvia al suo termine naturale: divano, televisione, Buonanotte
cara… buonanotte caro, letto; per me sta per cominciare. L’Amnesia è
un locale dalle parti del Gasometro, chi conosce Roma sa dov’è. Ci passo le notti del sabato, bisogna pur
vivere, no? Il basso della musica non è ancora frastuono, ma una vibrazione
sorda, un battito cardiaco che risale dal pavimento attraverso le suole delle
scarpe e va a installarsi nello sterno. L’aria odora ancora del profumo chimico
del detersivo al limone, che entro un’ora sarà cancellato, quando l'alito
alcolico della folla, il sudore e un miscuglio di profumi costosi e deodoranti
pubblicizzati si mescoleranno in un unico, soffocante aroma. Io mi muovo dietro il bancone, nella
mia isola illuminata immersa in un acquario che si prepara a ribollire.
Controllo le scorte, allineo i bicchieri, taglio i lime con la precisione
meccanica dei gesti abituali. Faccio calcoli, anche. Se mi va male con le
mance, questa notte pagherà due ore di affitto della
mia stanza a San Lorenzo; se mi va bene, anche una rata delle tasse universitarie.
Sono un contabile del divertimento altrui, un fantasma che serve pozioni per
rendere la notte colorata a chi può permetterselo.
La gente comincia ad affluire, prima a
piccoli gruppi, poi a ondate. Eccoli, i miei clienti. Non conosco i loro nomi,
ma ormai so distinguerli per categorie. Gli Erasmus, che si accontentano
di qualche birra; i turisti, che chiedono cocktail improbabili sentiti nelle
serie TV; quelli delle borgate, che ordinano super alcolici e si guardano
attorno in cerca di tossici da rifornire, di cellulari da rubare e di ragazze
da portarsi in macchina; e poi ci sono loro, quelli che spendono senza star lì
a contare i soldi e che le ragazze se le scelgono, le prendono e lasciano:
perché possono. Un gruppo di questi viene ogni sabato, arrivano verso le
undici, rumorosi come un'onda anomala che si prende il suo spazio, occupano il
privé rialzato sulla sinistra, che considerano il loro palco personale. Mi
hanno dato l’incarico – e mance appropriate – per tenerglielo libero, e io lo
faccio. Il capo del branco è un tipo con la mascella dura e l'aria di chi non
ha mai ricevuto un rifiuto, ho sentito che lo chiamano Lillo, o Antonello. La
sua ragazza si chiama Tiziana, è bionda, carina e ben fatta. Stasera indossa un
vestito nero così corto che è difficile girarsi da un’altra parte; mentre si
allaccia le scarpe sportive e infila sotto al tavolino quelle eleganti, ride a
una battuta del suo uomo. Ride, ma forse nemmeno l’ha sentita. I suoi denti
perfetti sono il risultato di costose mascherine trasparenti e di ottimi
dentisti, ma il sorriso non riesce a scaldarle gli occhi. Per me è solo La
ragazza del tavolo sette.
I loro amici si attardano, si guardano
attorno, indicano il deejay, indicano qualcuno sulla pista. Quando finalmente
si siedono, Lillo o Antonello fa un cenno secco nella mia direzione.
Il primo ordine della serata. Inizia
il rituale. Mentre mi avvicino, lui passa il braccio sulle spalle di Tiziana, un
gesto ostentato, di possesso, più che di affetto. Sembra quasi mi voglia
dimostrare qualcosa, per come mi fissa. La musica è alta, mi chino per captare
le ordinazioni, comincio dal tipo più vicino e dalla ragazza con i capelli
rossi accanto a lui, e poi man mano tutti gli altri. Loro gridano, ma la musica
è più alta. Quello che non riesco a sentire lo leggo sul labiale, interpreto i
gesti, ricostruisco dalle serate precedenti: Whisky, Vodka, Aperol Spritz,
Mojito… scorza di limone… niente ghiaccio… doppio ghiaccio… liscio… scecherato…
Tengo tutto
a mente, è la pratica.
Al banco
si è fatta la fila e io sono solo. Servo quelli davanti a me, già sudati ma con
la fretta di tornare in lizza. Preparo per i tavoli. Porto il vassoio in
equilibrio, evitando quanti si aggirano per la sala fregandosene di me. Lillo o
comunque si chiami mi tiene d’occhio – ho l’impressione – manda occhiate
sbieche alla sua ragazza – mi sembra.
Problemi
suoi, penso,
appoggiando i bicchieri davanti a ognuno.
Sto per
tornarmene al mio posto quando lui mi punta contro l’indice e abbassa il
pollice.
Mi
spara!
Perché
poi?
Mah… ne
trovi di gente strana!
Fingo di
non aver visto e tiro dritto al bancone, che già è circondato da più gironi di assetati
in attesa.
Per
un'ora va avanti così. Ordinazioni ai tavoli, servizio in sala, servizio al
banco… non ho tempo di pensare a nient’altro. Poi li vedo, Lillo e Tiziana,
vengono verso di me, sono accaldati, lei si tampona con un fazzolettino di
carta, lui gronda senza ritegno.
«Champagne,»
fa lui.
«In
calice?» all’Amnesia vogliono che si chieda.
«Bottiglia,
cretino,» assesta uno schiaffo con la manona sul banco.
È già
ubriaco, si vede.
Do
un’occhiata verso il buttafuori accanto all’uscita ma poi lascio correre.
Chi me lo
fa fare di rischiare il posto per questo qui?
Appoggio
la bottiglia sul tavolo senza chiedergli che marca preferisca o altro. Con una
certa perfidia gli mollo la più costosa e ritiro i gettoni che ha lasciato sul
bancone bagnato.
«Portamela
al divano,» fa lui.
Passa la
mano dietro la vita alla sua ragazza e si avvia.
Le tocca
il sedere, mentre camminano, senza nessuna discrezione.
Mi
vergogno per lui, posso dirlo?
Il seguito? Appena lo pubblico vi informo tramite social, intanto leggete qualcos'altro, non manca da leggere, qui.
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