Il racconto completo è nella raccolta FRAMMENTI DI ADESSO pubblicato con lo pseudonimo Marcello Melis. E' disponibile in pre-ordine su Amazon a questo Link:
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Io non
ce l’avevo affatto contro quel candidato, e se qualcuno ha voluto asserire il
contrario… ebbene, ha mentito.
Il
fatto vero è che il candidato mi aveva, non esattamente perseguitato, ma
ossessionato sì.
Per
capire che intendo, amici miei, immaginate strade, immaginate quartieri e
rioni, immaginate Roma intera tappezzata da un susseguirsi continuo e
ininterrotto di cartelloni inneggianti al candidato.
Ciascuno
traboccante della sua immagine cubitale, intendo.
E
adesso, immaginato che avete questo, con un ulteriore impiego di fantasia
immaginate ancora che quel candidato, in queste sue fotoriproduzioni in
primissimo piano, sorrideva a tutto campo.
Oh,
si badi bene, era un bell’uomo il candidato; e il sorriso che offriva agli
elettori faceva proprio un bel vedere. Quindi non c’era motivo per avercela con
lui, non mi aveva fatto nulla e nemmeno mi era antipatico.
E
allora, Giangi, direte voi, perché l’hai fatto?
Si
è detto anche questo: a causa dell’ossessione.
Io
di mestiere faccio il tipografo.
Ecco,
vedo che cominciate a capire, o perlomeno a intuire.
Lavoravo
proprio nella grande tipografia a cui erano stati commissionati i cartelloni
per la campagna elettorale del candidato. Erano così grandi, questi cartelloni,
che venivano stampati in quindici riquadri, che, dall’alto verso il basso, in
file da tre, così lo ritraevano:
capelli,
calvizie, capelli
tempia,
fronte, tempia
occhio,
naso, occhio
guancia,
bocca, guancia
spalla,
cravatta, spalla.
Ebbene
io, costretto a controllare le rotative, me le vedevo sfilare davanti al naso
tutto il santo giorno queste porzioni anatomiche del candidato: capelli
calvizie capelli, tempia fronte tempia, occhio naso occhio… tanto in ordine
composto quanto in ordine sparso: guancia occhio naso… cravatta bocca occhio… E
dopo le dovevo riunire e dopo ancora accatastare, impacchettare, imballare,
riordinare, spostare, caricare, scaricare, trasportare, trasbordare,
immagazzinare, ricaricare, riscaricare e ritrasportare per tutto il tempo che mi
imponeva il contratto di lavoro. Ma non finiva lì, perché poi, a sera, quando
uscivo dai capannoni della tipografia, l’immagine del candidato, ricomposta ora
nella sua magnifica grandezza, seguitava a osservarmi dall’alto dei cartelloni
lungo i bordi delle strade.
Beh,
direte voi, giunto a casa, poi basta!
Ma,
no… macché!
Io
abito in due stanzette a primo piano e tutte le finestre affacciano su una
piazza vasta che, trovandosi alla periferia estrema, si va a perdere nei campi.
C’è da credere che qualcuno, per nascondere agli occhi dei cittadini lo
spettacolo di quella campagna così desolata, abbia voluto contornare la piazza
di cartelloni pubblicitari: tutti abbigliati sul davanti, ma forse anche nella
parte verso i prati, con l’immagine sorridente del candidato.
Per
me non c’era pace. Non avevo bisogno di affacciarmi per essere tormentato dallo
sguardo benevolo del candidato: quei cartelloni si trovavano giusto alla mia
altezza.
Beh, gli
ultimi fra voi obietteranno che, giunta infine l'oscurità della notte,
allora basta.
Macché,
ma no!
Un
cartellone alto due piani rivestiva il fianco del palazzo davanti al mio letto;
il quale palazzo, da questo lato, non ha le finestre. L’intonaco, poi, è così
malandato e brutto che per non turbare la vista del vicinato si era deciso di
nasconderlo con quel viso bonario e sorridente. Potenti fari, inoltre,
sistemati con grande studio, illuminavano a spolvero quel cartellone di quasi
un ettaro. Ebbene, il sorriso del candidato stava in linea proprio col mio cuscino.
Ma
chiudi le persiane! Abbassa le tapparelle! Tira le tende!
Concluderete voi, persone senza problemi e dalla soluzione facile.
Beh,
facile a dirsi, per voi e per chiunque altro! Non per le mie fobie multiple:
che posso farci? ho paura del buio e temo i luoghi chiusi!
Ma
nel sonno, dirai tu, ultimo obiettore, avrai pur trovato sollievo…
nel sonno dico, dal sorriso di quel candidato che tanto ti ossessionava.
Il
guaio è che soffro d’insonnia.
A
questo punto, chi fra voi ha mai provato un’ossessione – di qualsiasi genere,
intendiamoci – sa per certo che sconvolge l’ordine naturale dei valori,
l’obbiettività dei giudizi, l’equità dei pareri; che offusca ogni altro aspetto
della vita. Sa bene, costui, che l’oggetto ossessionante assurge al primo posto
nei suoi pensieri, spingendo a calci e gomitate tutti gli altri sotto di lui.
Così,
dopo giorni di campagna elettorale, avevo un solo desiderio: non rivedere mai
più il candidato; il che, fra tanti altri desideri che mi sarebbero stati
facilmente consentiti, mi era invece precluso fermamente. In tipografia
distoglievo lo sguardo, mi distraevo, mi giravo altrove; per la via mi osservavo
i piedi; in casa camminavo come di lato i gamberi, con le spalle alle finestre;
la notte stavo a occhi chiusi o voltato verso il muro; ma inutilmente, perché
alla minima distrazione, al breve sollevarsi delle ciglia, il sorriso cubitale
del candidato incombeva su di me.
Basta!
Si
è trattato di una scintilla, di un lampo, di un moto fulmineo di ribellione, di
un volersi infine riscattare e difendere.
Imposizione
per imposizione, mi sono detto.
E
ho agito.
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