martedì 1 dicembre 2020

La memoria della carta - Racconto

 



ANTEPRIMA:

La memoria della carta

 

Nella mensa della facoltà, alle due del pomeriggio del primo sabato di maggio, pochi tavoli erano ancora occupati; un gruppo di studenti si stava alzando e raccoglieva le stoviglie; un capannello si attardava accanto a una colonna a discutere. Sirio adocchiò un tavolo discosto vicino a una finestra e ci si diresse col vassoio.

Gilda Cinterini stava indicando alla cameriera dietro al banco una qualche pietanza attraverso il cristallo. Quando si voltò incrociò lo sguardo di Sirio e venne verso di lui.

Avevano avuto una relazione, Sirio e Gilda, qualche tempo prima, quando lei era ancora al primo anno di Scienze Criminologiche; una relazione breve ma incandescente, consumatasi in poche notti di sesso come un fuoco pirotecnico che illumina la notte di stelle colorate per poi spegnersi al culmine dello splendore. Bionda, e tuttora esile e pallida, Sirio ricordò che all’epoca era rimasto colpito dagli irrequieti occhi celesti, di come si accendessero d’eccitazione improvvisa nei momenti più inaspettati.

«Sirio, permetti?» chiese Gilda appoggiando il vassoio sul tavolo.

«Certo» le sorrise Sirio.

Gilda occupò la sedia accanto a Sirio, con le spalle alla finestra.

Sirio era certo che l’avesse raggiunto per un motivo preciso. La osservò mentre spostava i pezzetti di spezzatino nel piatto senza infilzarli, a testa bassa, come assorta.

«Qualcosa non va?» le chiese.

«Mio nonno materno è in ospedale…»

«Oh… mi dispiace.»

Sirio posò la forchetta e si appoggiò allo schienale.

«Ha tentato il suicidio.»

Suicidio. Una delle parole che provocavano un sommovimento dei neuroni nella testa di Sirio.

«Come?»

«Mio nonno vive in campagna, si è tagliato le vene dei polsi con un falcetto. Il mezzadro era entrato nel capanno… l’ha trovato agonizzante.»

«Quanti anni ha tuo nonno?»

«Ottanta.»

Ottanta!

Sirio considerò che forse la questione poteva interessare più un geriatra o uno psichiatra, piuttosto che un criminologo.

Disse: «Una forma di depressione? Con l’età…»

«Ha lasciato un messaggio, guarda…»

Gilda gli passò lo smartphone.

Sirio ingrandì l’immagine del foglio di carta sul touch screen fino a poter leggere:

“Ho ucciso l’uomo sbagliato e non posso perdonarmi”.

Adesso sì che la faccenda si faceva interessante. I neuroni nella testa di Sirio ebbero una accelerazione.

«Ed esiste qualche concreta eventualità che non si tratti di una fantasia?» chiese restituendole il telefonino.

«Che confonda sogni o pensieri con la realtà? Una forma di delirio vuoi dire?» tradusse da brava studentessa del terzo anno Gilda il suo pensiero «non lo so. Di sicuro mi suona strano che un vecchio di ottant’anni si metta ad ammazzare gente…»

«Non è detto che si tratti di un omicidio recente… se di omicidio si tratta.»

«Be’» insistette Gilda «mi suona strano anche un pentimento a posteriori. Come fa un vecchio a scoprire dopo dieci, venti o trent’anni di aver ucciso l’uomo sbagliato, per come dice nel biglietto? Ma poi, ucciso chi? E il corpo dov’è?»

«Se sei convinta di quanto affermi, perché sei seduta davanti a me?»

Gilda scosse la testa: «Adesso il nonno è fuori pericolo, pare che lo dimetteranno entro pochi giorni, ma la mamma ha paura che possa riprovarci, perché… perché è sempre stato un gran testardo, uno che non desiste…»

Gilda gli rivolse uno sguardo mesto: «Mia madre vorrebbe parlare con te».

«Con me?»

Gilda ebbe come un fremito, nello sguardo niente scintille adesso: «Senti Sirio, mia madre sa di noi… sa di te; sì, insomma… della tua professione. Ha tenuto nascosto il biglietto… non se la sente di ufficializzare questa faccenda… polizia, giudici, interrogatori, perizie psichiatriche… a un vecchio. C’è da capirla. Senti, vorrebbe che tu accertassi come stanno veramente le cose prima di prendere qualsiasi decisione.»


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